Il mare nero per la notte dell’anima
che in questo corpo fu disamata e spenta
conserva suoni antichi in spessa sordina
uditi nel grigio rimpianto
di un giovane che ancor poteva tutto
Amor era la cassa gentile
che spandeva quei suoni nell’aria
e li rendeva toccanti
dava luce al verde degli alberi
tingeva d’incanto gli scorci cittadini
dava senso al peregrinare randagio
e ora mi chiedo come potrai
Tu affrontare il nero terrore
di quel mare – essere antidoto
a ciò che non conosci
il dolore del Niente
non sei sprofondata
negli abissi – come puoi
trarmi in superficie?
E chi ti assegnerebbe mai
questo compito improbo?
dinanzi al tuo ipotetico rifiuto – il cuore oramai
un disco metallico, forse un sasso
seccamente dubbioso se anticipare
la fine o aspettarla: quale scopo può davvero
il Balsamo, la Stufa, il Vento, la Luce?
ti vedo tradire un’anima stanca
che ancora prova a credere
di potersi riaccendere
e danzare, correre, innalzarsi e scoppiare
riuscire a ingannare il tempo perduto
che nemmeno sembra avere la forza più
di gridare la sua protesta
se ci fossi; in quale veste però, ci sarai?
tessevo trame di sogno, ti trascinavo
nel bosco fatato
ma se tu sei come tutte, sicché non mi amasti allora
dovresti forse farlo con questo anziano ragazzo?
tra gli sterpi e le ortiche
esponendomi a criminosi
muri di ghiaccio
impenetrabili e vili
stupidi e ignari
giocavamo a giochi diversi
ho fatto tutto da solo
ma questo gioco vuol la sua controparte
o si ripiega e muore su sé stesso.
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