Islanda

Islanda
arcobaleno sotto la cascata di Skogafoss in Islanda

sabato 26 dicembre 2015

Aironi


Non avevo mai visto
tanti aironi tutti insieme

buono che ci sia acqua a destra
e a sinistra

buono questo freddo tiepido
e la nebbia più alta del suolo

inizia a invidiare questo,
bastardo

invitano fetenti
a rinunciare
predicano l'abbandono come prassi abitudinaria
e beatificante
lascia a costoro
le loro immonde sconfitte
tu sii sempre vivo fino a dilaniarti
e senti quel masso
sopra di te pensando che
puoi scagliarlo come una pallina
nell'alto dei cieli e farlo
piombare sul nemico

è giusto essere puniti per ogni distrazione o debolezza

godi le umiliazioni più profonde
deriva più lontano, dove
non si torna indietro
e si abortisce
per rinascere più forti e cattivi

metempsicosi, traslazione, sublimazione
nuovi prodotti chimici
ma l'albero cresce
ed è saggio

ditegli quando non è tempo
di falegnamerie improvvisate
e sia selvaggio nella sua ragione

ho sempre tenuto a darti tutto, stella
e a salvarti perché fossi grata alla vita...
ora per te sono lieto di essere grato alla morte
perché dal sacrificio si alzano
le meraviglie dell'architettura

non avevo mai visto

tanti aironi tutti insieme



Promontori già battuti


Essere idee
bardate d'acciaio
si da poter cavalcare
tra sabbie e genti

sentire l'essenza
di un conflitto identitario
e scegliere
d'istinto

è necessario per non soffrire

mitiga

ci sarà tempo
per pagare con la stessa moneta
ci sarà tempo
per un mondo spietato di saggezza
occupati intanto di poesie vigorose
dure ad uscire da
queste nebbie serpeggianti
vuoti energetici & dubbi

sono stanco di inventarmi
quello che non c'è
deve prendermi d'improvviso
lo cercherò -
ma non inseguirò più nessuno
non ne vale la pena

non vagare più
devi sapere cosa vai a cercare
e devi seguire gli indizi
sii sempre forte abbastanza
per vincere e gustare

dalla brughiera non compare nulla
e spesso ciò che compare è sopravvalutato
dalla mia anima non spunta niente di nuovo
nè ci sono immagini suggestive che chiamano
a meno di non considerare suggestiva
un'ulcera all'esofago
ma devo scrivere per forza
altrimenti perdo l'identità e
la speranza

ho chiuso la partita
con queste montagne.


Frammentaria



Devo trattarvi come foste leggeri
biechi macigni ammucchiati nel tempo
e che non tagliaste ma foste gentili
neri imbarazzi ficcati qui dentro

uomini colti non sanno capire
che il mondo sia colto di quel che sa fare
resti un bel libro per ogni funzione
ogni superfluo è da eliminare

chiamasi "pura", tra torbide azioni
lei che concentra le forze in un punto
tu ottieni progressi e poi rivoluzioni
se te ne stai ritto dove sei giunto

anche per questo devi accettare
di non poter innovare mai troppo
lascia gli indizi a chi dovrà seguire
se alla tua via è impedito il galoppo

si chiama "paura" quella che senti
perché hai ben saputo cosa vuol dire
viver futuri ed esser presenti
e nessun fato ti possa graziare

ma la paura è figlia del vuoto
quello riempito in te dal nemico
che ti corrode con il suo moto
e delle sue fronde senti l'intrico

tienila salda la tua autostima
sciogli vergogna, mastica rabbia
rammenta a te stesso chi ha sbagliato prima
sentiti il dio della mietitrebbia

devi aumentare il vigore dei calci
la sicurezza dei moti d'attacco
e non pensar che milioni di falci
sian sempre pronte a tenderti scacco

però ricorda, mio ragazzone
che ogni buon gesto, che il cuore appaga
ha un'integerrima condizione
che tu sia pien di bandiera & spada

partire storpi porta sconfitte
inesorabili e corrosive
perdi terreno, ma anche le accette
e i capisaldi del tuo sentire

chi non agisce per sempre accorto
scivola inquieto dalla parte del torto

ma in questo mondo di violazioni
di ogni nostro limbo privato
accusi tutti di collusioni
e non sai se è vero, o te lo sei sognato

sai perché questa tu non la chiudi?
perché l'hai voluta lasciare aperta
perché attingesse da altri lidi
quando la spiaggia può esser deserta

le poesie vanno scritte in fretta
son tutte quante fotografie
può esserci il mondo in presa diretta
letto attraverso le cose mie

ed è così che si scrive grande
ma se dimentichi quel momento
poi devi farti troppe domande
hai impigliato nel tempo il talento

il messaggio ha perso unità d'intenti
puoi avanzar, ma qualcosa stride
versi veloci diventan lenti
se anche la penna qualcosa uccide

e sei sfasato nell'espressione
hai già imbastito nuovi cantieri
stavi scrivendo dell'altro e altrove
perché devi porlo datato ieri?

almeno ne abbiamo preso coscienza
il testo è autoreferenziale
ed aspettando una nuova udienza
spero che vi sia piaciuto uguale

Dobbiamo essere



se non siamo
Arte
fino in fondo
dobbiamo dissolverci
l'imbarazzo è disumano
dobbiamo essere magia
altrimenti meglio morire

ma davvero
ammira solo
colui che emula
via tutti i balordi
chi non soffre del brutto
non deve guardare il bello

è irresponsabile lasciare qualcosa
di deturpato, ma è turpe non distruggere
quando guerra chiama

uomo, lasciati dimenticare
crea qualcosa di nuovo
da ricordare




giovedì 10 dicembre 2015

Il lavoro. Forza e bellezza

La "bellezza del lavoro", canone fondamentale dell'etica sociale tedesca, è nata così. Creato dal nazismo il Fronte tedesco del Lavoro, fu formulata la domanda: un'officina, un cantiere, un laboratorio, una fabbrica possono essere – senza danno – belli?. La risposta era stata affermativa e tutte le recenti attrezzature produttive del Reich, anche quelle sorte durante la guerra, furono ispirate a quella risposta. Luce, nitore, ordine, proprietà, finestre ampie spalancate su visioni agresti, piantagioni di verde e di fiori in ogni spazio industrialmente non utilizzato, vasi di fiori ai davanzali delle officine fumose. Architetti di prim'ordine furono incaricati di erigere fabbriche e cantieri e lo fecero spesso come se essi fossero stati i mandatari degli stessi operai che vi dovevano star dentro.
Bellezza del lavoro ed obbligatorietà del lavoro. Una legge del 1935 stabiliva che tutti i cittadini tedeschi dei due sessi, di qualunque condizione, nel periodo intercorrente tra il compimento degli studi secondari e il servizio militare "sono tenuti a servire il popolo nel Servizio del Lavoro". La stessa legge definiva quell'obbligo un "servizio d'onore" e sanciva che aveva per scopo il compimento di opere di utilità collettiva. Dal primo ottobre del '37 la legge ebbe pratica applicazione. Il reclutamento delle falangi dei lavoratori obbligati fu fissato al principio del ventesimo anno, la durata del servizio a sei mesi. Per le donne il servizio del lavoro fu inizialmente volontario: diecimila furono le giovinette che chiesero di lavorare nel primo anno; nel 1939 furono circa trentacinquemila. Scoppiata la guerra, l'obbligatorietà divenne norma inderogabile, con qualche temperamento suggerito da convenienze contingenti. Il crescente bisogno di manodopera aveva infatti trascinato la quasi totalità delle diciannovenni, anche quelle che in tempi normali non lo avrebbero fatto, a impiegare il loro tempo in occupazione rimunerate: non v'era pertanto bisogno di obbligarle a far ciò che già facevano spontaneamente. I sociologhi tedeschi consideravano questa istituzione come ineluttabilmente rampollata dal trattato di Versaglia seguito alla guerra del 1914-18. In base a quel trattato la Germania perdè – senza considerare le colonie – il 9,5% della sua popolazione e il 13% del suo territorio. Il Paese che si considerava afflitto da un eccesso di popolamento ebbe dunque aggravato quel guaio dal trattato, che, inoltre, sottrasse alla Germania, all'ovest e all'est, territori altamente produttivi e precisamente il 17,7% dei campi di segale, il 16,4% dei campi d'orzo, il 14,8% dei campi di frumento e il 18% dei campi di patate, peggiorando così quella deficitaria situazione alimentare cui essa dovè la perdita della prima guerra mondiale.
Quando il nazismo, nel '33, assunse il potere predisponendo di restaurare la salute e la pace della Germania e si trovò sulle spalle sette milioni di disoccupati, affermò subito il principio che pacificazione interna e difesa del Paese non potevano essere conseguiti che ad un patto: che la nazione fosse indipendente dal punto di vista alimentare e non più alla mercè di una nazione straniera, che poteva anche affamarla negandole i rifornimenti alimentari.
Sopra ventinove milioni di ettari di superficie coltivabile, non meno di otto milioni e mezzo di ettari erano allora troppo umidi e un milione di ettari troppo aridi; ossia un terzo della superficie agricola utilizzabile era in condizioni di non dare il reddito necessario. Vi erano, inoltre, circa quattro milioni di ettari acquitrinosi suscettibili di essere resi fecondi; e un milione di ettari soggetti a periodiche inondazioni. C'era la possibilità di strappare al Mare del Nord quelle parti della costa dello Schleswig Holstein di cui il mare si era impadronito da secoli; c'erano, nel Sud-Ovest della Germania, cinque milioni di ettari di terreni così frazionati che il contadino doveva accudire a una serie di piccole frazioni lontane le une dalle altre, e quindi malamente sfruttati. C' era, in sostanza, da affrontare e risolvere un immane problema di bonifica terriera che richiedeva eccezionali risorse di braccia.
Il Servizio del Lavoro fu concepito e nacque col proposito di assegnarlo a quelle bonifiche. Ma poi, rimandato anche per effetto della guerra il compimento delle grandi opere risanatrici, al Servizio del Lavoro si affidò di assolvere, sempre nel campo terriero, tutto quanto aveva carattere urgente.
Nel 1936, tre anni dopo che il nazismo era giunto al potere, il capo del Servizio del Lavoro poteva annunciare che esso aveva incrementato di 50 milioni di marchi il reddito terriero, come se la Germania, in sostanza, avesse acquistato un nuovo territorio di 150 mila ettari, quanta è la superficie della regione della Sarre, quanto occorreva al vettovagliamento annuale di una città di trecentomila abitanti. A quell'epoca il 70% degli operai del Servizio del Lavoro erano adibiti a lavori agricoli, il 15% a lavoro silvestri, il 15% a lavori di carattere sociale (come colonie urbane e rurali di abitazione). Ecco qualche esempio documentato dei frutti di quella attività. A una quarantina di chilometri a nord-ovest di Berlino vi sono ottantamila ettari di terreno costituenti le paludi del Reno e dello Havel, oggetto, da due secoli, di studi e progetti di redenzione, abbandonati per lo più per l'alto costo delle opere di risanamento. Il Servizio del Lavoro, costruendo oltre duecento chilometri di canali maggiori e minori di raccolta delle acque soverchie, ha avviato quella regione a diventare addirittura l'ortaglia di Berlino. Sulla costa del Mare del Nord, parecchie migliaia di ettari di terreno, già soggette alle volubili vicende delle maree, sono state definitivamente protette mediante costruzioni di dighe: terreno fertilissimo, particolarmente adatto all'allevamento del bestiame mercè le sue prosperose praterie. Il piano di attuazione prevedeva di strappare al mare undicimila ettari di terreno. È stato ugualmente merito del Servizio del Lavoro la redenzione di seimila ettari di paludi della Slesia, già paradiso di cacciatori avventurosi. Altri ottocentocinquanta ettari di terreni pantanosi furono redenti nel Drömling (provincia della Sassonia). Il Servizio del Lavoro venne fatto intervenire in ogni circostanza di infortuni e di sinistri come rotture di dighe, inondazioni, incendi di foreste, danni cagionati dalla neve e dal vento.
Scoppiata la guerra, il Servizio del Lavoro fu utilizzato anche per occorrenze belliche. Fu detto che le compagnie del Servizio del Lavoro avevano aperto la strada alle armate e non fu affermazione retorica laddove, come in Polonia prima ed in Russia poi, le armate dovettero procedere su terreni in cui quasi non esisteva una strada nel senso moderno della parola. Appena le stazioni ferroviarie bloccate dagli attacchi aerei cadevano in mano dei Tedeschi, gli uomini del Servizio del Lavoro, nella loro uniforme color della terra smossa di fresco, riattivavano il traffico.
Il lavoro obbligatorio delle donne si svolse in principio soltanto presso aziende rurali. Ogni mattino esse raggiungevano il luogo del lavoro, ritornandone dopo mezzogiorno. Aiutavano la massaia nel cortile, nel giardino, nel pollaio, nella cura dei ragazzi; un aiuto, in rapporto all'economia nazionale, che non si poteva contenere in cifre, ma certo molto importante. Ci si era preoccupati di non nuocere alla femminilità, evitando che il rigidismo disciplinare e militare governante il servizio maschile avesse comunque a esser travasato nel campo muliebre. Taluno si era anche chiesto se non poteva nuocere all'estetica, ossia alla gentilezza, alla raffinatezza, all'eleganza delle giovinette cittadine, l'imposizione prolungata, nell'età del pieno sviluppo, di lavori duri, non certo fatti per conferire delicatezza alla persona. Il rilievo non fu preso in considerazione da chi si preoccupava soprattutto della salute, della prosperità e della fecondità della donna: tutte cose non compromesse ma avvantaggiate dalla vita all'aperto, faticosa ma sana e propulsiva. Man mano che i richiami degli uomini sotto le armi procedevano e si faceva sempre più urgente il bisogno di mano d'opera, l'obbligatorietà del lavoro trascurò ogni limite anche per le donne. Esse furono mandate nelle officine e nei laboratori al pari degli uomini e assunsero lavori tipicamente maschili. L'amministrazione delle poste ne assunse non soltanto per recapitare la corrispondenza a domicilio, ma anche per guidare i furgoni elettrici. Le ferrovie le assunsero come controllori viaggianti; le tramvie sotterranee come regolatrici della partenza dei treni. Finché si potè, si cercò di assegnare loro incombenze più adatte al sesso e alla condizione civile. Così le donne degli istituti religiosi, distolte dalla vita monastica, ebbero anche incarichi nei laboratori di sartoria e di biancheria, nelle infermerie, nelle guardarobe degli ospedali e dei ricoveri.
In talune grandi città la donne che più o meno apertamente facevano vita galante, traendone i mezzi di sussistenza, furono mandate a far le cameriere in ambienti di un certo tono, dove mancavano i camerieri maschi; per cui si videro tipi supereleganti di femminette dalle unghie e le labbra di porpora, pettinate come principesse, servire squallide zuppe e piatti di verdura incondita. Si fecero inchieste sul commercio a minuto e quando il numero delle commesse parve esuberante, particolarmente nei negozi di lusso ove era poco il lavoro manuale e molto il prestigio della venditrice, se ne distolse una parte per impiegarla in lavori più proficui.
Disposizioni regolamentari a carattere municipale stabilivano che soltanto la famiglia con cui o più figli in tenera età aveva diritto, in via di massima, a tenere una domestica e in questo modo si raccolsero altre falangi di donne che, distolte dai lavori ancillari, accrebbero gli eserciti femminili mandati al combattere nelle officine. D'altronde la circostanza che ogni donna maritata aveva, se appena possibile, il diritto di prendere il posto del marito nella sua occupazione rimunerata portò ad un rapido aumento del contingente delle donne anziane nel quadro dell'economia di guerra. Di fronte a cento donne che nel 1932 esercitavano un mestiere o una professione, nel 1941 se ne ebbero centosessantaquattro perché erano occupate anche le donne oltre il sessantacinquesimo anno, nonché donne maritate e madri di famiglia. Alle donne che per ragioni di età o d'altro non avevano nessun obbligo e che pure si offrivano volontariamente, fu rilasciata una tessera di riconoscimento personale con impressa la lettera K (Krieg: guerra) significante che esse erano operaie o professioniste o lavoratrici per necessità di guerra e fu una tessera che costituiva un documento d'onore, quasi una decorazione.
Anche a prescindere dalle necessità di guerra, il lavoro, così concepito e organizzato, si considerò nella nuova Germania come la maggiore "scuola della nazione". In tutto il mondo, dal principio del secolo, la meccanizzazione della produzione aveva strappato moltitudini di uomini dal suolo cui erano attaccate per travolgerle nella lotta di classe: borghesia contro proletariato, proletariato contro borghesia. Più di altre nazioni, nel periodo tra il '18 e il '33, la Germania subì le conseguenze di questa lotta. "Un male -scrisse Hitler – cui non si rimedia con articoli di fondo e con eloquenti discorsi. La nuova morale del lavoro non si fa sui banchi di scuola, ma nella vita e soprattutto nella vita dei campi, ove i figli di famiglie di tutte le classi sociali lavorano in comune, e così si cancellano le differenze sociali e si realizza una fusione nazionale altrimenti non conseguibile; chè il figlio dell'operaio constata che il figlio del borghese è degno di stima quanto se stesso e l'artigiano si convince che anche il giovane dell'Università può essere un vero camerata; e si impara da tutti che ogni lavoro manuale o intellettuale è nobile ed onorevole se eseguito da gente onesta con scopi onesti".
"è una concezione – ha scritto ugualmente Hitler – lontana dal marxismo e dal liberalismo e per la quale la nozione di borghese diventa tanto ridicola quanto quella di proletario".
Fino dal 1924 alcuni giovani avevano unito i loro sforzi per aiutare i contadini che non riuscivano da solo ad assolvere tutti i compiti produttivi. Sorse così il movimento che si chiamò degli "Artamani" formato da idealisti desiderosi di tradurre in realtà le idee dibattute nell'ambito dello spirito.
Fu quello il germe da cui nacque il servizio agricolo della gioventù hitleriana. Il concetto fondamentale di queste iniziative fu sempre quelli di applicarvi giovani che altrimenti non avrebbero avuto alcun contatto con la vita dei campi: non soltanto, dunque, uno scopo di aiuto contingente, ma anche la creazione di nuovi nuclei di agricoltori, chè la terra in Germania è fascinatrice cui raramente si resiste.
Il rapporto di lavoro era regolato da un contratto tipo tracciato dal Ministero del Lavoro e dalla Corporazione dell'Agricoltura; la fatica aveva una durata di sessanta ore settimanali; gli abiti di lavoro, come l'uniforme della gioventù hitleriana, venivano forniti gratuitamente. Così il vitto e l'alloggio. Mentre nel 1937 soltanto il dieci per cento dei giovani che avevano effettuato il servizio agricolo si dichiararono disposti a rimanere in campagna, nel 1941 la proporzione salì al trenta per cento. L'organizzazione della gioventù hitleriana incluse circa sette milioni di ragazzi dai dieci ai diciotto anni (Giovane Popolo, Gioventù Hitleriana e Associazione delle Ragazze Tedesche). I dirigenti di ogni nucleo gruppo o centuria (di poco più anziani dei ragazzi loro affidati, in base al concetto che la gioventù deve essere guidata dalla gioventù), seguivano corsi speciali in scuole regionali. Pratica sportiva, soggiorno estivo in luoghi pittoreschi, escursioni intese alla conoscenza integrale del proprio Paese, riunioni settimanali nei "focolai" istituiti presso le Case del Partito, partecipazione assidua alle iniziative assistenziali del partito, erano i compiti normali.
Ma in tempo di guerra se ne aggiunsero altri: per esempio distribuire alle famiglie carte annonarie per evitare alle massaie perdite di tempo negli uffici e agli sportelli, raccogliere per le strade ed anche a domicilio offerte per i fondi assistenziali, aiutare i contadini durante la mietitura, raccogliere erbe medicinali e castagne selvatiche.
Era compiuto della gioventù hitleriana di far pervenire ai soldati del proprio comune giornali locali affinchè avessero assiduamente notizie della propria terra, nonchè la raccolta assidua del vecchio ferrame. Le fiduciarie dell'associazione femminile inoltre, al pari delle studentesse, prestavano servizio nelle fabbriche per offrire alle operaie la possibilità di congedi supplementari.
Solitamente giovani e ragazze venivano chiamati al servizio dall'inizio alla fine del loro diciannovesimo anno, ma si chiamavano prima le ragazze che avevano superato l'esame di maturità e intendevano studiare all'Università e quanti potevano dimostrare ci aver bisogno, per ragioni professionali, di effettuare il servizio prima del diciannovesimo anno. Erano esonerate le ragazze di condizioni fisiche minorate o sottoposte a procedimento penale o, in casi eccezionalissimi, per "peculiari necessità familiari". Anche l'impiego della gioventù femminile avveniva generalmente nei lavori agricoli, soprattutto estivi; essa era ospitata, di solito, in accampamenti da cui ogni mattina sciamava verso le case coloniche e le masserie. Mezza giornata di fatica e mezza di studio e ricreazione. A lato a questo era il "Servizio Rurale", che mobilitava i giovani nel periodo di raccolta per aiutare i contadini. Altra istituzione analoga era invece l'Anno agricolo: ragazze dai 14 ai 17 anni impiegate dietro loro richiesta per un ciclo annuale di lavori agricoli accolte in speciali case di campagna o presso gli stessi coloni. Altra istituzione il così detto Anno obbligatorio per le ragazze che esercitavano una professione qualsiasi: avente lo scopo di far conoscere alle ragazze come si governa la casa, affinché, al momento di sposarsi, fossero già allenate.
Considerevoli in tempo di guerra, via via che l'impiego della donna aumentava, le disposizioni protettive del lavoro femminile. Così una legge stabilì che nelle fabbriche di laterizi le donne non dovessero portare carichi eccedenti i quindici chili; nelle fabbriche di conserve esse non potevano chiudere scatole più pesanti di un chilo; nelle fabbriche di scarpe non dovevano accudire a macchine con comando a pedale; la giornata lavorativa, fuor che nelle fabbriche di armi, non doveva eccedere, per nessuna ragione, le otto ore. Inoltre la donna che doveva lavorare di notte doveva sempre fruire di un giorno di riposo settimanale; era stata esclusa rigorosamente dai lavori minerari; nelle officine doveva lavorare, per quanto possibile, seduta.

Così protetto, l'esercito delle donne in tuta assunse proporzioni imponenti (fissando il 100 il numero delle donne occupate in una fatica extradomestica nel 1932, esso salì a 150 nel 1940 e a 178 nel 1941); ma l'impiego della donna maritata non fu considerato come un ideale della politica sociale germanica, bensì come necessità transitoria imposta dalla guerra.

Freestyle



Sappi tu, uomo, che ogni tuo diritto
è stato conquistato nella storia
che prima eri uno stolto derelitto
sicché non ti si addice questa boria

con leggerezza inetti parassiti
che nulla mai avranno da insegnare
eredi delle caste vincitrici
ti umiliano nel corpo e nel morale

hai ben capito che non è abbastanza
per compiere lo storico passaggio
quello che fai – ma la circostanza
ti indica i confini del coraggio

com'è cosparso il petto d'imbarazzi
la pelle si ritira entro se stessa
sopra 'l mondo che invade i tuoi palazzi
ti elevi con la meta e la saggezza

pensa all'egocentrismo che distorce
quanto piccoli siam per tutti gli altri
puntale all'obiettivo, le tue torce
unico sol che possa riscaldarti

non preccuparti mai, se chi ti odia
non ha le armi in pugno e il cul parato
ben allo stesso modo che l'invidia
non dee mai angustiare l'invidiato

cerca soltanto di esser sempre in forma
collezionare armi, le migliori
poco si azzarderanno, quei signori
ad attaccare un duro che si afferma

e poi cosa vuoi mai, tu ti stupisci
che qualche stronzo qui ti voglia male?
Sai che gli hai fatto tu, nei sogni consci
L'odio non è per niente originale

credi di averne a iosa, e l'hai provato
studiati amico, un bel libro di storia
fra le torture che hanno escogitato
quel che faresti tu, è ancora aria!

Quando m'indebolisco nella mente
o ancora il corpo è stanco o frastornato
sento quant'è lontano il mio frangente
tutto il mio mondo, a chi non c'è mai stato

e qui capisco allora le reazioni
scelte giudizi e suoi comportamenti
siamo diversi come costellazioni
come le lingue di due continenti

sappi che non li devi convertire
lasciali al loro animo piccino
se ti potrai imporre col potere
bruto li poterai dal tuo giardino

cazzo di un dio, la prendo più leggera
più leggerezza val meno ragione
dato che la ragione, quella vera
serve per risalir da un'immersione

non credere di esser più corretto
se accetti di salir poco alla volta
tanti balordi già ti hanno corrotto
ma ci son scorciatoie nella lotta!

Ma la tua vita ti ha mortificato
tanta vitalità che sembri morto
pare che allor ti voglia traghettato
con le tue merci verso un altro porto

ed una cosa ben mi rompe il cazzo
"libero arbitrio" è detto, ma perché
non posso avere un'arma – e se m'incazzo
vedo se usarla o no, come fai te?

Vedo se scaricarla su un passante
o premerla forte contro la mia tempia
voglio DECIDER della vita empia
la libertà è la mano sul pulsante

hanno pulsato troppo le meningi
più non le voglio spremere per nulla
questo stile di nuoto a cui ti accingi
oggi consentirà di stare a galla.

Nessuna debolezza



Mettere gli enti sullo stesso piano è il mezzo affinché i deboli sottomettano i forti con la forza del numero e sovvertano la gerarchia sociale. Ma i più deboli sono corrotti e dunque incompleti sicché mirano alla distruzione perché non possono sussistere. Dalla posizione elevata, i deboli distruggono e disorganizzano, riducendo, per gradi, il mondo alla nullità che è la loro forma di esistenza assoluta, ossia unica. Ogni essere brama di essere unico, ma perché possa diventarlo positivamente, deve essere in potenza perfetto. Chiunque possieda una imperfezione intrinseca vuole perire portando con sé l'intero universo. Ma non può farlo direttamente, deve rispettare dei passaggi. Il primo passaggio è sopravvivere, seppure in posizione subalterna rispetto ai forti. Sicché si sforza, cristianamente, di promuovere la tolleranza tramite la pietà, ossia la partecipazione alla sofferenza dei deboli da parte dei forti: questa ha come conseguenza il rispetto, la rinuncia alla loro soppressione, poiché tramite la colpa essa è diventata dolorosa. Anche qui, l'unico modo che ha il debole per sopravvivere è legare la sua materia ai forti, penetrare nel loro essere e attecchire, legandosi al loro destino. Una volta garantita la sopravvivenza, è consentito il secondo passaggio, quello che deve invertire la gerarchia sociale, per non essere più sotto il comando dei forti i quali non possono essere ingannati a lungo, e dunque tollerare la presenza di deboli nel loro organismo e conseguentemente nel mondo esterno. La strategia cristiana escogita adesso il principio di uguaglianza: i deboli non devono essere più solamente tollerati, ma equiparati ai forti ed ecco che nasce la democrazia per cui la quantità sovrasta la qualità e sottomette i nobili. In questo modo i deboli si garantiscono una vita sicura e una gestione delle particelle forti ancora presenti e resistenti nel corpo sociale. Ma non è possibile fermarsi qui: esse sono ancora un pericolo; dovunque le si rispetti, ovvero si rispettino le loro esigenze vitali, queste ultime non possono che agire per riprendere la propria energia, la propria posizione ed infine completare la loro essenza uccidendo i deboli e divenendo gli unici. Allora la fazione dei deboli prende a dire che la forza va condannata, che non è tollerabile in quanto intrinsecamente criminale, e promuove la soffocazione e poi l'eliminazione della razza ariana. Come vediamo, la razza inferiore non può saltare alcun passaggio, pena la sconfitta da parte dei superiori. Essa deve dire 1) siamo più forti di quello che siamo: dovete tollerarci 2) siamo forti quanto voi: dovete rispettarci e metterci fisicamente sul vostro stesso piano 3) siamo più forti di voi: sicché dobbiamo disprezzarvi e annientarvi. L'unica forma di esistenza non transeunte è l'unicità, il diverso è sinonimo di nemico mortale, ogni nostro agire è un transire, un divenire, una catena d'essere ad ogni cui anello siamo scremati di un'impurità, fino alla nettezza, la meta, l'idea, l'identità. Questa riflessione implica che non si possa pronunciare la parola "uguaglianza" senza essere dei criminali, e giammai tale parola viene pronunciata liberamente da un ariano e dunque considerata un valore (vale a dire una condizione di esistenza). L'uguaglianza è al contrario la garanzia della sconfitta e della morte dei migliori ad opera dei peggiori. Una volta che si è affermato che due esseri sono uguali si è condannato l'intero universo, si è giustificata qualsiasi nefandezza (ex falso quodlibet), si è spianata la strada al crimine. Quando il forte vince diventa pura qualità. Quando vincono i deboli (uso il plurale perché i deboli possono vincere solo collettivamente, essi sono pluralia tantum) divengono pura quantità: ma la quantità è pluralità assoluta e dunque priva di anima, è esistenza negativa, ossia inesistenza. Il capitalismo ha tolto parte dell'anima (aspirazione all'unità) alla materia inventando l'individualismo, la felicità dei singoli, la crescita liberale e dunque competitiva, destinando gli enti a un progressivo logoramento, non potendo il libero mercato prescindere dalla concorrenza e dunque impedendo il monopolio, la possibilità di un vincitore nella corsa all'antonomasia, scopo ultimo della retorica della pubblicità.
L'ideologia comunista ha cercato di accelerare il normale decorso della malattia capitalista, che approda appunto al comunismo, stato di cose in cui la selezione, essendo soltanto fittizia nel sistema di libera concorrenza, opera al contrario, ossia favorendo l'avvento di un solo marchio che produce un prodotto di qualità infima, dovendosi adattare all'ultimo livello della società, quello meno pregiato, dal momento che pretendere qualcosa di meglio significherebbe violare il principio di uguaglianza e fare torto agli ultimi. Il capitalismo ha cominciato a scavarsi la fossa tollerando i deboli, spartendosi il mercato con loro, senza comprendere che i migliori si sarebbero fatti col tempo trascinare nel viscidume, nell'inefficienza, nella sconfitta: poiché la debolezza non è stata eliminata dall'organismo ed è contagiosa. Convergendo dunque, per via degenerativa, disgregante, la materia migliore alla materia peggiore, l'esito naturale del capitalismo è il comunismo, ossia la fine della civiltà. Il comunismo come regime storico ha fallito perché ha preteso un passaggio troppo brutale al suo dominio: lo spirito di autoconservazione dei popoli ha reagito avversandolo. Ma il comunismo è riuscito a portare – conquistando metà del mondo e poi fallendo – tutto il pianeta sotto l'orbita capitalista in cui è convogliato dopo la sua caduta: il questo modo in nessun paese si è conservato un regime aristocratico, e la democrazia liberale, il mercato globale, porterà il mondo tutto d'un pezzo alla disgregazione. È necessario reagire con un internazionalismo aristocratico.