Mettere gli enti sullo stesso piano è
il mezzo affinché i deboli sottomettano i forti con la forza del
numero e sovvertano la gerarchia sociale. Ma i più deboli sono
corrotti e dunque incompleti sicché mirano alla distruzione perché non possono sussistere. Dalla posizione elevata, i deboli distruggono
e disorganizzano, riducendo, per gradi, il mondo alla nullità che è
la loro forma di esistenza assoluta, ossia unica. Ogni essere brama
di essere unico, ma perché possa diventarlo positivamente, deve
essere in potenza perfetto. Chiunque possieda una imperfezione
intrinseca vuole perire portando con sé l'intero universo. Ma non
può farlo direttamente, deve rispettare dei passaggi. Il primo
passaggio è sopravvivere, seppure in posizione subalterna rispetto ai
forti. Sicché si sforza, cristianamente, di promuovere la tolleranza
tramite la pietà, ossia la partecipazione alla sofferenza dei deboli
da parte dei forti: questa ha come conseguenza il rispetto, la
rinuncia alla loro soppressione, poiché tramite la colpa essa è
diventata dolorosa. Anche qui, l'unico modo che ha il debole per
sopravvivere è legare la sua materia ai forti, penetrare nel loro
essere e attecchire, legandosi al loro destino. Una volta garantita
la sopravvivenza, è consentito il secondo passaggio, quello che deve
invertire la gerarchia sociale, per non essere più sotto il comando
dei forti i quali non possono essere ingannati a lungo, e dunque
tollerare la presenza di deboli nel loro organismo e conseguentemente
nel mondo esterno. La strategia cristiana escogita adesso il
principio di uguaglianza: i deboli non devono essere più solamente
tollerati, ma equiparati ai forti ed ecco che nasce la democrazia per
cui la quantità sovrasta la qualità e sottomette i nobili. In
questo modo i deboli si garantiscono una vita sicura e una gestione
delle particelle forti ancora presenti e resistenti nel corpo
sociale. Ma non è possibile fermarsi qui: esse sono ancora un
pericolo; dovunque le si rispetti, ovvero si rispettino le loro
esigenze vitali, queste ultime non possono che agire per riprendere
la propria energia, la propria posizione ed infine completare la loro
essenza uccidendo i deboli e divenendo gli unici. Allora la fazione
dei deboli prende a dire che la forza va condannata, che non è
tollerabile in quanto intrinsecamente criminale, e promuove la
soffocazione e poi l'eliminazione della razza ariana. Come vediamo,
la razza inferiore non può saltare alcun passaggio, pena la
sconfitta da parte dei superiori. Essa deve dire 1) siamo più
forti di quello che siamo: dovete tollerarci 2) siamo
forti quanto voi: dovete rispettarci e metterci fisicamente
sul vostro stesso piano 3) siamo più forti di voi: sicché
dobbiamo disprezzarvi e annientarvi. L'unica forma di esistenza non
transeunte è l'unicità, il diverso è sinonimo di nemico mortale,
ogni nostro agire è un transire, un divenire, una catena d'essere ad
ogni cui anello siamo scremati di un'impurità, fino alla nettezza,
la meta, l'idea, l'identità. Questa riflessione implica che non si
possa pronunciare la parola "uguaglianza" senza essere dei
criminali, e giammai tale parola viene pronunciata liberamente da un
ariano e dunque considerata un valore (vale a dire una condizione
di esistenza). L'uguaglianza è al contrario la garanzia della
sconfitta e della morte dei migliori ad opera dei peggiori. Una volta
che si è affermato che due esseri sono uguali si è condannato
l'intero universo, si è giustificata qualsiasi nefandezza (ex
falso quodlibet), si è spianata la strada al crimine. Quando il
forte vince diventa pura qualità. Quando vincono i deboli (uso il
plurale perché i deboli possono vincere solo collettivamente, essi
sono pluralia tantum) divengono pura quantità: ma la quantità
è pluralità assoluta e dunque priva di anima, è esistenza
negativa, ossia inesistenza. Il capitalismo ha tolto parte dell'anima
(aspirazione all'unità) alla materia inventando l'individualismo, la
felicità dei singoli, la crescita liberale e dunque competitiva,
destinando gli enti a un progressivo logoramento, non potendo il
libero mercato prescindere dalla concorrenza e dunque impedendo il
monopolio, la possibilità di un vincitore nella corsa
all'antonomasia, scopo ultimo della retorica della pubblicità.
L'ideologia comunista ha cercato di
accelerare il normale decorso della malattia capitalista, che
approda appunto al comunismo, stato di cose in cui la selezione,
essendo soltanto fittizia nel sistema di libera concorrenza, opera al
contrario, ossia favorendo l'avvento di un solo marchio che produce
un prodotto di qualità infima, dovendosi adattare all'ultimo livello
della società, quello meno pregiato, dal momento che pretendere
qualcosa di meglio significherebbe violare il principio di
uguaglianza e fare torto agli ultimi. Il capitalismo ha cominciato a
scavarsi la fossa tollerando i deboli, spartendosi il mercato con
loro, senza comprendere che i migliori si sarebbero fatti col tempo
trascinare nel viscidume, nell'inefficienza, nella sconfitta: poiché
la debolezza non è stata eliminata dall'organismo ed è contagiosa.
Convergendo dunque, per via degenerativa, disgregante, la materia
migliore alla materia peggiore, l'esito naturale del capitalismo è
il comunismo, ossia la fine della civiltà. Il comunismo come regime
storico ha fallito perché ha preteso un passaggio troppo brutale al
suo dominio: lo spirito di autoconservazione dei popoli ha reagito
avversandolo. Ma il comunismo è riuscito a portare – conquistando
metà del mondo e poi fallendo – tutto il pianeta sotto l'orbita
capitalista in cui è convogliato dopo la sua caduta: il questo modo
in nessun paese si è conservato un regime aristocratico, e la
democrazia liberale, il mercato globale, porterà il mondo tutto d'un
pezzo alla disgregazione. È necessario reagire con un
internazionalismo aristocratico.
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