Islanda

Islanda
arcobaleno sotto la cascata di Skogafoss in Islanda

giovedì 10 dicembre 2015

Nessuna debolezza



Mettere gli enti sullo stesso piano è il mezzo affinché i deboli sottomettano i forti con la forza del numero e sovvertano la gerarchia sociale. Ma i più deboli sono corrotti e dunque incompleti sicché mirano alla distruzione perché non possono sussistere. Dalla posizione elevata, i deboli distruggono e disorganizzano, riducendo, per gradi, il mondo alla nullità che è la loro forma di esistenza assoluta, ossia unica. Ogni essere brama di essere unico, ma perché possa diventarlo positivamente, deve essere in potenza perfetto. Chiunque possieda una imperfezione intrinseca vuole perire portando con sé l'intero universo. Ma non può farlo direttamente, deve rispettare dei passaggi. Il primo passaggio è sopravvivere, seppure in posizione subalterna rispetto ai forti. Sicché si sforza, cristianamente, di promuovere la tolleranza tramite la pietà, ossia la partecipazione alla sofferenza dei deboli da parte dei forti: questa ha come conseguenza il rispetto, la rinuncia alla loro soppressione, poiché tramite la colpa essa è diventata dolorosa. Anche qui, l'unico modo che ha il debole per sopravvivere è legare la sua materia ai forti, penetrare nel loro essere e attecchire, legandosi al loro destino. Una volta garantita la sopravvivenza, è consentito il secondo passaggio, quello che deve invertire la gerarchia sociale, per non essere più sotto il comando dei forti i quali non possono essere ingannati a lungo, e dunque tollerare la presenza di deboli nel loro organismo e conseguentemente nel mondo esterno. La strategia cristiana escogita adesso il principio di uguaglianza: i deboli non devono essere più solamente tollerati, ma equiparati ai forti ed ecco che nasce la democrazia per cui la quantità sovrasta la qualità e sottomette i nobili. In questo modo i deboli si garantiscono una vita sicura e una gestione delle particelle forti ancora presenti e resistenti nel corpo sociale. Ma non è possibile fermarsi qui: esse sono ancora un pericolo; dovunque le si rispetti, ovvero si rispettino le loro esigenze vitali, queste ultime non possono che agire per riprendere la propria energia, la propria posizione ed infine completare la loro essenza uccidendo i deboli e divenendo gli unici. Allora la fazione dei deboli prende a dire che la forza va condannata, che non è tollerabile in quanto intrinsecamente criminale, e promuove la soffocazione e poi l'eliminazione della razza ariana. Come vediamo, la razza inferiore non può saltare alcun passaggio, pena la sconfitta da parte dei superiori. Essa deve dire 1) siamo più forti di quello che siamo: dovete tollerarci 2) siamo forti quanto voi: dovete rispettarci e metterci fisicamente sul vostro stesso piano 3) siamo più forti di voi: sicché dobbiamo disprezzarvi e annientarvi. L'unica forma di esistenza non transeunte è l'unicità, il diverso è sinonimo di nemico mortale, ogni nostro agire è un transire, un divenire, una catena d'essere ad ogni cui anello siamo scremati di un'impurità, fino alla nettezza, la meta, l'idea, l'identità. Questa riflessione implica che non si possa pronunciare la parola "uguaglianza" senza essere dei criminali, e giammai tale parola viene pronunciata liberamente da un ariano e dunque considerata un valore (vale a dire una condizione di esistenza). L'uguaglianza è al contrario la garanzia della sconfitta e della morte dei migliori ad opera dei peggiori. Una volta che si è affermato che due esseri sono uguali si è condannato l'intero universo, si è giustificata qualsiasi nefandezza (ex falso quodlibet), si è spianata la strada al crimine. Quando il forte vince diventa pura qualità. Quando vincono i deboli (uso il plurale perché i deboli possono vincere solo collettivamente, essi sono pluralia tantum) divengono pura quantità: ma la quantità è pluralità assoluta e dunque priva di anima, è esistenza negativa, ossia inesistenza. Il capitalismo ha tolto parte dell'anima (aspirazione all'unità) alla materia inventando l'individualismo, la felicità dei singoli, la crescita liberale e dunque competitiva, destinando gli enti a un progressivo logoramento, non potendo il libero mercato prescindere dalla concorrenza e dunque impedendo il monopolio, la possibilità di un vincitore nella corsa all'antonomasia, scopo ultimo della retorica della pubblicità.
L'ideologia comunista ha cercato di accelerare il normale decorso della malattia capitalista, che approda appunto al comunismo, stato di cose in cui la selezione, essendo soltanto fittizia nel sistema di libera concorrenza, opera al contrario, ossia favorendo l'avvento di un solo marchio che produce un prodotto di qualità infima, dovendosi adattare all'ultimo livello della società, quello meno pregiato, dal momento che pretendere qualcosa di meglio significherebbe violare il principio di uguaglianza e fare torto agli ultimi. Il capitalismo ha cominciato a scavarsi la fossa tollerando i deboli, spartendosi il mercato con loro, senza comprendere che i migliori si sarebbero fatti col tempo trascinare nel viscidume, nell'inefficienza, nella sconfitta: poiché la debolezza non è stata eliminata dall'organismo ed è contagiosa. Convergendo dunque, per via degenerativa, disgregante, la materia migliore alla materia peggiore, l'esito naturale del capitalismo è il comunismo, ossia la fine della civiltà. Il comunismo come regime storico ha fallito perché ha preteso un passaggio troppo brutale al suo dominio: lo spirito di autoconservazione dei popoli ha reagito avversandolo. Ma il comunismo è riuscito a portare – conquistando metà del mondo e poi fallendo – tutto il pianeta sotto l'orbita capitalista in cui è convogliato dopo la sua caduta: il questo modo in nessun paese si è conservato un regime aristocratico, e la democrazia liberale, il mercato globale, porterà il mondo tutto d'un pezzo alla disgregazione. È necessario reagire con un internazionalismo aristocratico.  

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