L'Azione
è sempre istintiva.
Scopo
della ragione è ricondursi a istinto, perché l'istinto
deve
determinare l'azione ed è, come quest'ultima, unitario.
Non
esiste ragionamento ben condotto che non abbia come conclusione
la
riconferma dell'istinto da cui è partito per diffrazione e dunque
non giustifichi l'azione che ne è scaturita.
Cercare
di convincere un'altra persona della giustezza della nostra azione
significa cercare di creare in lui le percezioni che inneschino lo
stesso istinto, e invano ci si sforza altrimenti.
Stessi
istinti non abbisognano di razionalizzazioni, per trovare accordo,
e
non si troverà mai accordo razionale laddove non ci sia accordo
istintivo.
La
nostra capacità di percepire (sensibilità) è uguale alla nostra
capacità di ragionare (razionalità), per cui, chi ragiona allo
stesso modo si risolve anche ad agire nello stesso modo, perché il
flusso logico del pensiero riceve la sua intensità e direzione
appunto dalle percezioni. Se queste sono di raffinata fattura, e sono
complete, anche il ragionamento sarà profondo e dunque completo;
mentre, chi percepisce rozzo, ragiona rozzo, e sbaglia analogamente
su tutte le questioni interconnesse sulle quali si disputa: tale
distanza empirico-razionale indica la distanza tra due caratteri
e la naturale ostilità di essi.
La
Colpa è la diversità.
L'uomo
può sentirsi colpevole solo quando è braccato dagli altri, che
fanno sentire la loro presenza in lui, penetrata con la pressione
esterna.
Discolparsi
significa riconquistare se stessi, scacciare l'intruso: questo il
processo di giustificazione.
Esso
si innesca ogni volta che le nostre forze aumentano, sicché
smembriamo fisicamente il nemico e ci liberiamo della sua minacciosa
pressione, e lo espelliamo dalla nostra memoria attribuendo a lui
tutti i nostri errori e mancanze, e riacquisiamo così l'autostima,
ossia la pienezza di sé, la coerenza del nostro spirito (forma
mentis, ovvero la bandiera), come prima o dopo abbiamo
conquistato la pienezza del nostro corpo (forma fisica: ovvero la
spada). Quando noi sbagliamo, è sempre colpa degli altri.
Ossia: siamo colpevoli in quanto ci sono degli altri
intorno a noi, che influenzano la nostra vita e noi, per essere
liberi, ossia di nuovi innocenti, dobbiamo sconfiggerli.
L'Unico, solamente, è innocente: poiché non ha più nemici.
Ma
finché avremo dei nemici saremo sempre colpevoli, ovvero non sereni,
poiché essi si fanno sentire. Ci danno il senso della loro
presenza: ovvero un senso di colpa.
Il
senso di colpa è sgradevole perché il diverso non è assimilabile,
sicché lo rigettiamo. "Rinfacciare a qualcuno le sue colpe"
significa fargli presente quanti nemici ha ancora da combattere,
quanti essi sono ancora in grado di fargli del male. Noi vogliamo che
le colpe dei nostri nemici siano incancellabili perché non vogliamo
sparire dalla loro vita fino a che non li avremo annientati e
domineremo incontrastati il mondo: sicché dobbiamo presidiare i
nostri possedimenti sul suo territorio, non dobbiamo lasciarlo
libero, dobbiamo ostacolare la sua attività. La sua colpevolezza è
per noi una piacevole fortuna espansiva e corrosiva, opprimente,
intantoché raccogliamo le forze per un attacco risolutivo e dunque
mortale. "Scontare la colpa" significa portare il giogo del
prossimo. "Incolpare" significa insinuarsi nel prossimo ed
instaurare uno stato di occupazione. "Avere delle gravi colpe"
significa essere molto deboli nei confronti del prossimo: le colpe si
alleviano non appena aumenta la nostra forza, e con essa il nostro
influsso sulla realtà.
Nessun commento:
Posta un commento