Islanda

Islanda
arcobaleno sotto la cascata di Skogafoss in Islanda

lunedì 2 novembre 2015

Colpa e Istinto

L'Azione è sempre istintiva.
Scopo della ragione è ricondursi a istinto, perché l'istinto
deve determinare l'azione ed è, come quest'ultima, unitario.
Non esiste ragionamento ben condotto che non abbia come conclusione
la riconferma dell'istinto da cui è partito per diffrazione e dunque non giustifichi l'azione che ne è scaturita.
Cercare di convincere un'altra persona della giustezza della nostra azione significa cercare di creare in lui le percezioni che inneschino lo stesso istinto, e invano ci si sforza altrimenti.
Stessi istinti non abbisognano di razionalizzazioni, per trovare accordo,
e non si troverà mai accordo razionale laddove non ci sia accordo istintivo.
La nostra capacità di percepire (sensibilità) è uguale alla nostra capacità di ragionare (razionalità), per cui, chi ragiona allo stesso modo si risolve anche ad agire nello stesso modo, perché il flusso logico del pensiero riceve la sua intensità e direzione appunto dalle percezioni. Se queste sono di raffinata fattura, e sono complete, anche il ragionamento sarà profondo e dunque completo; mentre, chi percepisce rozzo, ragiona rozzo, e sbaglia analogamente su tutte le questioni interconnesse sulle quali si disputa: tale distanza empirico-razionale indica la distanza tra due caratteri e la naturale ostilità di essi.

La Colpa è la diversità.
L'uomo può sentirsi colpevole solo quando è braccato dagli altri, che fanno sentire la loro presenza in lui, penetrata con la pressione esterna.
Discolparsi significa riconquistare se stessi, scacciare l'intruso: questo il processo di giustificazione.
Esso si innesca ogni volta che le nostre forze aumentano, sicché smembriamo fisicamente il nemico e ci liberiamo della sua minacciosa pressione, e lo espelliamo dalla nostra memoria attribuendo a lui tutti i nostri errori e mancanze, e riacquisiamo così l'autostima, ossia la pienezza di sé, la coerenza del nostro spirito (forma mentis, ovvero la bandiera), come prima o dopo abbiamo conquistato la pienezza del nostro corpo (forma fisica: ovvero la spada). Quando noi sbagliamo, è sempre colpa degli altri. Ossia: siamo colpevoli in quanto ci sono degli altri intorno a noi, che influenzano la nostra vita e noi, per essere liberi, ossia di nuovi innocenti, dobbiamo sconfiggerli. L'Unico, solamente, è innocente: poiché non ha più nemici.
Ma finché avremo dei nemici saremo sempre colpevoli, ovvero non sereni, poiché essi si fanno sentire. Ci danno il senso della loro presenza: ovvero un senso di colpa.

Il senso di colpa è sgradevole perché il diverso non è assimilabile, sicché lo rigettiamo. "Rinfacciare a qualcuno le sue colpe" significa fargli presente quanti nemici ha ancora da combattere, quanti essi sono ancora in grado di fargli del male. Noi vogliamo che le colpe dei nostri nemici siano incancellabili perché non vogliamo sparire dalla loro vita fino a che non li avremo annientati e domineremo incontrastati il mondo: sicché dobbiamo presidiare i nostri possedimenti sul suo territorio, non dobbiamo lasciarlo libero, dobbiamo ostacolare la sua attività. La sua colpevolezza è per noi una piacevole fortuna espansiva e corrosiva, opprimente, intantoché raccogliamo le forze per un attacco risolutivo e dunque mortale. "Scontare la colpa" significa portare il giogo del prossimo. "Incolpare" significa insinuarsi nel prossimo ed instaurare uno stato di occupazione. "Avere delle gravi colpe" significa essere molto deboli nei confronti del prossimo: le colpe si alleviano non appena aumenta la nostra forza, e con essa il nostro influsso sulla realtà. 

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