La
vita deve trovare un canale di scorrimento, irriverente e ardita tra
tutti i fattori che le sono ostili, proseguire su un sentiero di
vittoria in piena
felicità: solo
questo consente il
trapasso; non importa
quanto esso sia angusto, tortuoso o sotterraneo: ma la battaglia per
la vita non può essere arresa o disertata. Ogni mortificazione è
infatti imposizione
soverchia delle circostanze, è il dover
sottostare al tallone di chi ti odia, o a biechi strati d'umana
incomprensione; ma ogni rinuncia e sopportazione del dolore sono
temporanei:
ed invero rivolti a una maggiore affermazione
della vita. Il vero martire è sempre un vittorioso, mai un
rinunciatario. La sua religiosità consiste nel non mollare. Il suo
senso del sacro non è altro che amore per la vita. Egli ne sacrifica
invero gli elementi ininfluenti o soffocanti la più pura essenza,
quelli che ne impediscono la piena realizzazione, ancorché
posticipata: quest'essenza non viene invero mai
sacrificata. Si disprezza tutto per avere tutto, ossia si rifiuta il
parziale e l'imperfetto, un'offesa all'Archetipo, all'Idea della
Vita; si combatte contro la morte, imponendola a ciò che soffre, in
quanto imperfetto o incompleto.
Nell'eroe
il nichilismo è viatico per l'assolutismo, per l'affermazione
assoluta a partire da circostanze pessime, ed egli vuol toccare il
fondo per darsi la spinta più poderosa verso la suprema altitudine.
Nessun commento:
Posta un commento