Islanda

Islanda
arcobaleno sotto la cascata di Skogafoss in Islanda

giovedì 30 giugno 2016

Il ragno



Il picco si dev'essere sfiammato
di rabbia atroce e morso sempiterno
il dente non dev'esser lancinato
da fitte che ricordano l'inferno

allora tu puoi prender carta e penna
lento nel corridoio del commento
e tingere quel segno che ti accenna
a ciò che non puoi dir con fiero accento

dacché ci sono orde nere e truci
schierate ben la fuori e d'ambo i sessi
bramose a che ti squarti e che ti bruci
punir la verità coi suoi eccessi

tu sai il nostro dolore essere figlio
di atavica viltà che non tagliò
raccolta nelle vesti del coniglio
la testa ad un nemico che negò

sicché lui crebbe fino ad insinuarsi
nelle complesse lande del tuo regno
e allora l'uomo ebbe a macerarsi
braccato nella tela del suo ragno

ti accusano di ciò che tu hai subito
ti fanno colpa la tua stessa rabbia
la torcon nella piaga con il dito
avvolgono la loro nella nebbia

pagasti sì due volte da innocente
per le vie d'un sistema criminale
che sta alleato ai rei, e che non sente
ragion d'idea, né torto personale

ed ecco che tu sbotti ed ora pensi
che le tue affermazioni più cruente
non fossero sbagliate e che i tuoi sensi
non mentano sul cuore della gente

difficile è attingere alle fonti
di amore e gioia – poiché circondate
sono da quei cattivi elementi
che le hanno intrise, che le hanno guastate

e allora qui tu devi distillare,
agire operazione di filtraggio
e ciò che più dovrebbe rilassare
richiede intelligenza e più coraggio

oppure trasferire più lontano
la tua soddisfazione in altro regno
ma esprime la sua sete la tua mano
lacera per la tela di quel ragno

allora pare che non ci sia scelta
arte di guerra e cauto compromesso
richiede il mondo, e di stare all'erta
sull'uscio fino al giorno del trapasso

si deve qui combattere e mangiare
avulsi alle regole del gioco
sapendo che se tu le vuoi cambiare
puoi farlo solamente poco a poco.  



domenica 26 giugno 2016

Al fondo del pensiero



Sarebbe giusto
che un uomo vivesse

delle sue Idee, giacché
esse vivono di lui

Vi consegniamo alla carta
per non avervi più in testa

o Pensieri...

dalla carta arrivate
alla testa di molti

che col corpo sostengono
i mali irrisolti

dal tal corpo erompono
in fiamme gialle

vogliono il presente
dietro le spalle

che or li sostenga
quando era sostenuto

sicché dall'audacia
di un uomo arguto

il pensiero sia giunto
a una nuova Carta

che dall'alto fiera e serena
commenta

le fattezze di un mondo
di già scolpito

secondo il pensiero
di quell'uomo ardito

che ora terrà le sue posizioni
più intollerante dei vecchi padroni

e di eterno e sacro
vorrà sancire

ciò per cui tanto
ebbe a patire

non è forse questa la ruota che gira
che l'occhio dello studioso attira?

ad ogni passaggio, qualcosa manca
che tutto rovescia, poiché l'uomo stanca

e soltanto colei che da questo si esime
dai suoi apogei, è l'idea Sublime

la spada lucente della sua azione
non è passibile di ritorsione

se tu del concetto hai toccato il fondo
sei destinato a far finire il mondo.  


venerdì 24 giugno 2016

Fuori dal Caos - manifesto politico per la meritocrazia integrale


 

Fuori dal Caos - manifesto politico per la meritocrazia integrale

 

 

Capitolo I

 

Il sogno non riposa

 

Improbe imprese aspettano una nuova umanità. Che essa si discagli dai residui del moderno e scolpisca la propria mente è condizione di una marcia suadente e salvifica. Che questa marcia divenuta istinto informi lo stile della nostra vita e non perda la sua linfa è condizione affinché i progressi conquistati diano nuovo lustro allo spirito umano e speranza di realizzazione a ciò che questi pensa e fantastica. Dobbiamo trovare la forza di credere. La fede nasce talvolta da un evento, talaltra dal fulgore di una parola inattesa. Qui detengo la forza delle parole e debbo donarla preminentemente a chiunque si avvicini a questo movimento, dacché gli eventi, ancora, non sono in mano nostra e hanno un tratto regolarmente negativo e scoraggiante: noi dobbiamo qui distogliere lo sguardo da codeste contingenze storiche, confortarlo nell'intimo del nostro amor proprio e indirizzarlo al nucleo dei nostri pensieri, laddove come in una stanza segreta possano stagliarsi sul muro in tinte familiari e nuovamente allettanti, di nuovo credibili. Il problema prioritario di chi si accinga a intervenire sulla realtà è creare – e poi quotidianamente nutrire – una nuova fede. Stabiliremo col tempo quale spazio riservare al Rito, ma già intuiamo che la ritualità dovrà diventare un carattere peculiare della nostra vita d'ogni giorno, informante tutte le nostre azioni.

Il lavoro sarà il nostro ristoro, e il ristoro il nostro lavoro. Quando una fede viene ritrovata, essa si esprime in un sentimento di gioia: essa non dovrà mancare – come manca nel cuore delle persone coscritte alle cause – dentro i nostri petti e dovrà essere il perno che sostiene i nostri passi nella sofferenza, e nella resistenza che il mondo moderno vorrà decisamente contrapporvi.

Il futuro non viene regalato a nessuno: il futuro è di chi se lo prende.

Quel che oggi domina, domina per inerzia e per le ricchezze che detiene.

È possibile che il sistema sia rivolto ad un baratro, e non siamo stati lontano dal pensare che la saggezza stia nel lasciarci scivolare in questo baratro e che solo dalle rovine autogene della civiltà presente possa sorgerne una nuova: che occorra quindi dare tempo al tempo e che questo giovi alla nostra causa - allorché, sarebbe addirittura opportuno aumentare la distruttività del sistema colludendosi attivamente con esso, ed appropriandosi temporaneamente dei materiali vantaggi conseguenti, al pari di ciò che fanno tutte le persone corrotte e corruttrici. Ma la disillusione ci ha colti in proposito, dacché notiamo in noi un carattere avulso a questi atteggiamenti, nonché l'effettiva impossibilità di campare decentemente in una squallida vita imposta dall'esterno, laddove anche le condizioni del benessere materiale – grande conforto delle anime alienate – sono state gradualmente corrose dalla crisi economica. Non trovo dunque istintivo né precisamente dignitoso, entro un mondo che vuole schiacciarci, l'indulgere nella passività, o nella sola attività intellettuale studiosa e preconizzante nuove rivoluzioni: poiché anche quest'ultima presuppone il poter vivere da filosofi e artisti, per molti anni ancora, arricchendo la nostra bandiera di tutto ciò che può illuminare e come risultato favorire l'azione. Senza dubbio, meglio si prepara una battaglia, meno si dovrà combattere: fino al parossismo secondo cui l'uomo onnisciente ottiene infine la vittoria senza combattere. Tuttavia, Torre d'Avorio non ci è stata donata in sorte; siamo nel mezzo dello sfacelo generale e dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo. Per sognare e riflettere è infatti già necessario combattere, in un mondo che ha paura della forza ideale che è possibile raggiungere e pone allora ostacoli plurimi e talvolta imponenti all'attività e alla crescita spirituale non conformi. Sarà dunque l'elemento esterno della Storia a prendere in noi la fatidica decisione: se il filosofo potesse dedicare i prossimi cinquanta anni alla tessitura della bandiera, lo farebbe per istinto e con ragione. Ma lo stesso istinto che non ci vuole morti e la ragione che ci mostra mancanti le condizioni di tale ricerca invocano ora a gran voce una soluzione diversa, di fatto un compromesso, che potrebbe però rivelarsi vitale e inaspettatamente vincente. Il carattere che assumerà allora questo manifesto teorico-programmatico è quello della transitorietà, del dinamismo e dell'elasticità dei concetti: fermo il proposito di uscire dal guado di quest'epoca.

 

Ora, siamo tutti consapevoli della caducità della vita umana e della fragilità di corpo e anima.

Per questo dobbiamo, da un lato, tenere sempre ben curati questi ultimi e quanto alla vita, secondo la nostra filosofia, non invece accudirla come si accudisce un bambino pauroso e viziato, ma spenderla senza indebito risparmio, traendone il massimo potenziale che possa essere poi, una volta che questa insignificante e transitoria carcassa ci avrà abbandonato, ben tramandato alle prossime generazioni che lo utilizzino come base per innalzarsi - od anche criticamente distanziarsi - sopra quello che noi abbiamo creato. Un principio fondamentale della nostra etica è che la vita non finisce con la vita. Pertanto essa non è sacra, non è il bene maggiore né quello principale, ma solo uno strumento per ottenere qualcosa di trascendente e necessariamente collettivo. Noi dobbiamo agire in conseguenza della certezza di avere poco tempo per realizzare il nostro potenziale, ma non per arraffare e godere il più possibile, irresponsabilmente verso gli altri e verso i posteri, e verso una meta superiore da cui gli spiriti più nobili si sentono invero attratti mentre quelli meno sensibili non ne avvertono l'esistenza e devono dunque essere aiutati in questo senso, e se necessario spronati affinché si distolgano dalle loro spassose ghiande e modestie d'obiettivi per rivolgere l'azione a qualcosa di più elevato. Si ha dunque il diritto di godersi la vita compatibilmente con questo dovere, che verrà specificato meglio nel seguito. Tutto il resto è peccato capitale. L'Idealismo è anche l'atteggiamento che impone di non lasciarsi travolgere dallo sconforto di una debolezza constatata in noi, paragonata all'obiettivo: in questa circostanza dobbiamo sempre pensare di poter aumentare la nostra forza, non quindi essere costretti ad abbassare la mira.

 

 

Capitolo II

 

PRINCIPI FONDAMENTALI

 

 

La politica è l'arte di organizzare. La giustizia si compone di purezza e ordine.

 

Ogni individuo deve realizzare pienamente il suo potenziale positivo, ovvero tutta la purezza e l'ordine che le sue autonome azioni possono creare, e contemporaneamente essere impedito – da autorità superiori, e genericamente dalla maglia strutturata del Sistema – a realizzare il suo potenziale negativo, ossia tutta la contaminazione e il disordine che le sue autonome azioni possono creare. Il lavoro del sistema nei confronti di ogni singolo sarà quello di scolpirlo affinché si liberi di tutte le sue debolezze contingenti; quindi, inserirlo nel ruolo professionale che compete alla sua virtù naturale e coerentemente acquisita, e gli sarà vietato l'intervento diretto in qualsivoglia contesto di giudizio e d'azione presuppongano virtù naturali o di maturità acquisita che non gli appartengono, o ancora non gli appartengono. La chiave risolutiva dei problemi di una società è che la gerarchia naturale dei cervelli corrisponda alla gerarchia socio-politica. Questo movimento politico promuove quindi la Meritocrazia Integrale, sinonimo di Corporativismo, ed anche di Socialismo. Confermo dunque che il vero socialismo è di destra, in quanto animato da un intento organizzativo che vuole massimizzare il benessere generale, nel solo modo in cui possa essere massimizzato: ossia identificando i soggetti e mettendoli ognuno al proprio posto, cosicché possano massimamente produrre senza punto nuocere.

 

L'Uomo è orbene un ente biologico con un potenziale da amministrare, ed ogni uomo ne ha uno diverso: sicché criminale è qualsiasi principio egualitario che imponga uguale trattamento, diritti e doveri a individui ineccepibilmente differenti.

 

In barba alle tanto celebrate quanto becere Dichiarazioni dei diritti universali dell'uomo e del cittadino (1789 e 1948), sotto lo stato organicista nessuno avrà in dono, per il semplice fatto di essere venuto al mondo, altro diritto che quello di essere trattato conseguentemente al suo valore naturale, vale a dire al suo potenziale biologico buono e cattivo. La maggior parte dei testi filosofici che hanno poi trovato applicazione in documenti giuridici fondamentali come quelli citati fanno riferimento ad un concetto astratto di "uomo", che risulta essere un tizio assai più virtuoso di quanto non siano gli uomini reali nella loro parte maggioritaria. Pertanto si tratta di testi infondati empiricamente bensì campati in aria e dunque, validi forse in un mondo favolistico e non reale, se anche non avessero – come invece hanno – molteplici contraddizioni interne. Né i singoli cittadini né le Istituzioni e gli Stati che pretendono di rappresentarli ragionano in base a quei principi, ed il loro comportamento reale ha tutt'altra faccia, matrice e ispirazione. Basta un'analisi grossolana e neppure approfondita della vita nazionale e internazionale dei paesi membri delle Nazioni Unite e che si fregiano del titolo di Democrazie Liberali per constatare che praticamente tutti i principi contenuti nelle due Dichiarazioni fondamentali dei diritti umani (1789 e 1948), non solo non vengono osservati rigorosamente (e ammesso che si possa pretendere rigore applicativo a norme contraddittorie), ma il più delle volte sono cinicamente violati.

 

Non si possono sancire principi etici basati su una conoscenza imperfetta o davvero fuorviante del genere umano, della pasta di cui è fatto, come non si può progettare una costruzione senza la conoscenza fisico-tecnica dei materiali, e chi compisse simili atti di leggerezza o di consapevole frode, getterebbe la civiltà in preda allo sfacelo dato da una natura umana che erompe imperiosa e si discosta da quel modello etico teorico imposto legislativamente, che nessuno riesce a mettere in pratica poiché le leggi le applicano sempre dei componenti del genere umano, le cui caratteristiche abbiamo trascurato o volutamente travisato.

 

È l'esperienza a suggerirci che a questo mondo la virtù è rara e il difetto la regola, e che un uomo che incontriamo per strada è primariamente un pericolo da cui guardarsi, solo in secondo luogo un'occasione di arricchimento. È norma di prudenza che ci si assicuri, prima che un'espansione, di non perdere quello che già si possiede: cosa molto facile ad avverarsi visto il volgare predone, l'egoista, l'imbecille, ed il cinico guastatore che spesso si dimostra l'essere umano. L'uomo, in generale, non è che brodaglia con un poco di arsenico, e la salute della società non dipende tanto dalle sue virtù, quanto dalla capacità politica di amministrarle; ed i suoi difetti naturali, spesso companatico necessario delle virtù, vanno trattati non già nell'ottica della repressione punitiva, bensì nell'ottica della sottrazione dell'effetto: ogni uomo non è tanto malvagio in se stesso, quanto per il ruolo nocivo che assume nella vita degli altri, ed è incompetente solo relativamente a quel ruolo; se agli individui indegni viene sottratto il seggio da cui possono nuocere, e gli strumenti con cui possono farlo, essi non risultano odiosi, in quanto si odia solo il danno che si riceve, non il danno potenziale. Pertanto ognuno ha il diritto di essere un cretino e un asino, ma non di comportarsi come se fosse un'aquila. Questo partito attua quindi una politica positivamente discriminatoria (condizione del benessere, della giustizia, del socialismo), ma non dura nei confronti delle persone, ad eccezione di nature criminali o psicopatiche veramente ineducabili.

Il sistema giudiziario in un paese dove viga la Meritocrazia Integrale - che viene attuata dall'origine sui nuovi nati e li accompagna nel percorso sociale di vita - sarebbe invero superfluo: poiché le ingiustizie non si verificano, essendo queste causate dalla contaminazione e dalla discrasia, ossia dal cattivo stato di salute di individui naturalmente virtuosi oppure dalla presenza di individui spregevoli in posizione autorevole su altri. Un sistema non politicamente meritocratico, dapprima arma la debolezza, poi deve controllare che questa non spari e se spara (come è spesso inevitabile) interviene con processi infiniti e pene che analogamente non mettono più giustizia di quanta non ce ne fosse all'inizio. Ma dacché il collocamento sociale può essere un'operazione difficilissima ebbene con elevata possibilità di errore, un sistema giudiziario deve comunque essere presente: preoccupandosi in prima istanza che gli errori non ricadano nella scelta degli agenti che devono comporlo. Ora, il fatto che un cretino (o malvagio che dir si voglia – secondo l'equivalenza tra carattere morale e carattere intellettivo) sia stato messo fuori posto (evidentemente da un altro cretino) e abbia creato del danno, non lo scusa del danno creato; cosi come tutti gli elementi che hanno compartecipato alla creazione del danno devono pagare: il danno oggettivo richiede una espiazione sofferente, in altre parole una vendetta della persona danneggiata. Pertanto le pene, per quanto rapide e dallo scopo finale riabilitativo, devono avere precisamente un carattere degradante e crudele (come formalmente ma non effettivamente vietato dalle moderne giurisprudenze): esse devono far male per sfogare l'istinto di vendetta della vittima degli errori e per dissuadere il reo dal commetterli di nuovo. Senza questo espediente, il sistema si avvelena con le sue vittime, che non potranno in tal caso sentire di aver ricevuto giustizia, e non stimeranno il sistema stesso. I torti che subiamo consistono infatti sempre nell'essere guastati (contaminati) nella nostra integrità (salute) o messi fuori luogo, laddove non abbiamo potuto agire conformemente alle nostre regolari abilità. Ognuno deve pertanto, dopo il danno, guarire, ossia ripurificarsi e riprendere il proprio ruolo. Questo presuppone in via preliminare di alterare – in forma di sfogo – equilibri altrui, compresi i malcapitati elementi intermedi che talvolta non possono evitare di essere danneggiati dalla reazione istintiva della vittima, che deve avere dignitosamente un contegno e non aggravare la situazione scaricandosi su innocenti, ma sulla quale non può sempre gravare tutto il peso della sopportazione: infatti, anche ad un'altra persona poteva capitare di subire quel torto, essendoci una discrasia nel sistema (elementi fuori posto), essere dunque lei la malcapitata, sicché è buona norma essere solidali con la sfortuna altrui, che a noi non è toccata; quindi, anche i passanti si abituino, senza diventare veri e propri fusibili alternativi, a smaltire parte dell'urto e a correre nell'animo della persona danneggiata per lenire e accelerare il ristabilimento della sua condizione.

L'azione della giustizia deve essere il più rapida possibile e avere il carattere del repentino ristabilimento della purezza e dell'ordine, ossia della normalità. Niente che non sia caratterizzato da purezza e ordine dovrà, in una società illuminata, essere considerato normale.

Dissi che in uno stato meritocratico, le ingiustizie scomparirebbero con la stessa gradualità con cui perfeziona l'organizzazione. Ho ammesso che possono esserci degli errori perché l'operazione è veramente difficile. Tuttavia, complicare i processi di ristabilimento dell'ordine non è coerente col principio ordinatore: è di fatto ingiusto, sono ingiustizie che si sovrappongono ad altre.

Il buon senso dice che un danno va il più possibile circoscritto, non amplificato, coinvolgendo gente che potrebbe tranquillamente starne fuori. 1) estingui la ferita 2) rimettiti in marcia 3) tanto basti. Questo deve essere il Motto. Noi ci proponiamo di applicare il rasoio di Occam a tutti i processi umani e sociali. Pertanto gli agenti della giustizia saranno unicamente i Poliziotti, che saranno nello stesso tempo investigatori, avvocati, giudici, nonché repentini esecutori delle sentenze. Saranno il corpo d'élite della nazione, le persone massimamente selezionate di tutto il paese. A chi attribuire sittale responsabilità? Rispondo: e perché invece attribuire responsabilità parziali a persone che possono essere ognuna non all'altezza del suo tassello e dunque complessivamente non fare giustizia, e si sentano anche legittimate ad un certo disfattismo, dato appunto dalla collettivizzazione del potere inerente al sistema democratico?

 

Le pene. Ci sono uomini che possono essere dissuasi da un comportamento ingiusto semplicemente da quella sensibilità naturale che prende qui il nome di senso dell'onore. Tali uomini non vanno ebbene puniti, qualora commettano una scorrettezza, perché sostanzialmente non è colpa loro, possono solo essere stati messi fuori posto o resi impuri, cosicché non potessero agire come sono in grado di fare: il rendersi conto di aver sbagliato provoca loro una sofferenza sufficiente a non sbagliare più e – se vogliamo essere sinceri – in sé stessa ingiusta, dacché un tale individuo non avrebbe mai sbagliato in condizioni normali. Ma anche una persona poco sensibile, che non possiede orbene per determinate questioni il senso dell'onore, sbaglia in fondo perché è stata indebitamente chiamata ad intervenirvi. Qualora tuttavia ciò sia accaduto, bisogna fare il possibile per evitare il danno concreto: e non avendo costei il senso dell'onore, può essere dissuasa solo dalla minaccia di una pena fisica, pecuniaria o reputazionale: il Legislatore deve conoscere la persona e studiare una pena che sia efficace, andando essa a ledere ciò che al potenziale reo sta maggiormente a cuore (il corpo, il portafogli, l'immagine): le pene non vanno dunque standardizzate, ed allo stesso reato oggettivo non può sempre corrispondere la stessa sanzione, dacché ognuno ne soffre diversamente, a seconda della sua sensibilità e condizione contingente: cose di cui il Poliziotto deve tenere conto. Egli deve quindi conoscere i cittadini sui quali interviene in nome della Giustizia. Il maggior criterio di sicurezza, in un sistema che si vuole Meritocratico ma che non può avere la certezza di esserlo sempre, e lasci orbene spazio al verificarsi d'ingiustizie, è quello di vergare leggi che descrivono cosa deve essere fatto e come deve essere fatto, le quali saranno rispettate istintivamente dai giusti, da chi possiede il senso dell'onore, e da tutti gli altri per timore di una pena, la quale deve essere prevista in termini generici, adattata poi al soggetto, studiata su misura e somministratagli con certezza in caso di reato. Un reato sarà senza dubbio indice di un errato collocamento: dopo la pena, quindi, il reo sarà cambiato di ruolo, perché se ha bisogno di tale atto dissuasorio coatto, di una violenza dunque, per comportarsi a dovere, egli non è fatto per quel ruolo.

Chi si volesse opporre al principio meritocratico, potrebbe farlo solo in maniera ingenua o consapevolmente ipocrita. La mancanza di meritocrazia, sostituita da un becero e innaturale principio di uguaglianza cui conseguono tolleranza e permissivismo, se non addirittura lassismo, una dirittualità senza dovere, una libertà irresponsabile, crea del danno a tutti. Quando però una persona cade vittima dell'inefficienza, dell'incompetenza, oppure della frode, della maleducazione, della prepotenza e della violenza, ecco che invoca ordine e disciplina, invoca la meritocrazia come sinonimo di giustizia, nonché una sorta di Duce che impedisca il verificarsi di questi fatti perniciosi. Ma spesso tale persona, consapevole di avere dei difetti, per poter essere scusata di questi e agire impunemente secondo essi, si trova a dover giustificare i danni perpetrati dai difetti altrui, continuando a sostenere di fatto il modello democratico. Ella non considera che perdere qualche diritto, nella fattispecie il diritto di mettere all'opera i propri difetti, non è sempre una cosa negativa: ed in questo caso non lo è assolutamente.

Ma l'uomo crede di essere contrario alla dittatura in generale, cioè come concetto, quando è solamente scettico nei confronti dell'aspirante dittatore: perché quest'ultimo non si è ancora conquistato la sua fiducia. L'avversione all'Autorità, il misarchismo, è quindi un pessimismo sociale storico che si spaccia per cosmico. Invero, tutti desidererebbero aver un buon padre, un buon maestro, come una donna sogna in cuor suo di essere posseduta (non schiava) da un grande uomo a scapito della sua paura di incontrare l'uomo sbagliato, un uomo che non sia orbene all'altezza, e allo stesso modo tutti noi, perduti nell'oceano periglioso della vita, vorremmo affidarci ad una grande guida. Il problema è che la nostra fiducia è stata molte volte tradita ed è difficile da rinnovare...fino a che questa persona eccezionale di fatto non compare e ci invade l'animo di una luce realmente nuova, che ci faccia dimenticare il passato. Nella storia, tiranni e dittatori si sono spesso imposti con la violenza e attuato regimi oppressivi e repressivi, conquistando un consenso apparente e fasullo ad opera della propaganda capillare e ingannevole, ma soprattutto della paura. Ma non sono stati amati dal popolo, in quanto hanno tradito i loro bisogni e le loro aspettative. Quelli che sono stati davvero amati è perché hanno amato il popolo e non lo hanno deluso. E il loro potere è stato in qualche maniera legittimato e riconosciuto dal consenso popolare, sicché la dittatura ha di fatto corrisposto con la democrazia: come è necessario affinché funzioni. Non puoi governare, se gli altri non ti obbediscono. Perché ti obbediscano, li devi stupire, li devi impressionare: e di questo si deve preoccupare un aspirante leader, non di giustificare in maniera teorica e astratta il concetto di Potere, come qui sto facendo, peraltro con una prevista utilità. Dimostra pertanto al tuo prossimo che possiedi doti straordinarie, e sarà lui ad assumere un atteggiamento rispettoso e deferente, se non addirittura, nei casi delle più travolgenti espressioni della tua virtù, ad affidarsi a te con venerazione e fervore. Non parlare, quindi, del potere: sii potente.

 

La differenza tra Democrazia e Dittatura sta semplicemente nella modalità di creazione del consenso – necessario in entrambe. In democrazia è razionale; nella dittatura è fideistico. Il governante di un paese democratico è un semplice primus inter pares: questo implica che i suoi elettori capiscono sia i suoi scopi che i suoi mezzi. Il dittatore è invece una personalità, vale a dire un individuo al di sopra della media, di cui il popolo percepisce il carisma, lo slancio idealistico e la grandezza delle sue realizzazioni, tuttavia non comprendendo come diavolo ci riesca. Il potere magnetico del dittatore, l’entusiasmo che suscita, presuppone nel suo operato un residuo di Mistero, ragione del misticismo che lo caratterizza ed attornia, e che lo accomuna a certi artisti e personaggi dello spettacolo, o anche a certi atleti. Per questa ragione è stato detto che la Dittatura è affine alla Religione: che ha scopi salvifici, un Fondatore che si rivolge alle masse, una dottrina rivelata, dei mantra e una certa ritualità (culto) più o meno specificata. Quando un regnante è carente di personalità e ideologia, deve ricorrere ad escamotages come il far cadere il suo mandato da una divinità precedentemente affermatasi; quando invece si proclama esecutore della “volontà della nazione”, si declassa a politico democratico e quindi a uomo ordinario, talché svanisce quell’aura di cui la dittatura ha bisogno per raggiungere i suoi scopi. 

 

Sapete perché il sistema democratico concede una certa libertà d’espressione? Perché gli torna utile. Non è rispetto o considerazione del pensiero del cittadino, ma opportunismo. La libertà di stampa e di parola, la musica e altre forme di espressione sono lo sfiatatoio del malcontento popolare: un modo per neutralizzarlo e renderlo inoffensivo. Come funziona il giochetto? Pensiamo ad un concerto: esso è una sorta di rituale catartico collettivo, nel quale le pulsioni si sfogano in maniera sublimata, altresì con la piacevole sensazione di essere comprese e condivise dal prossimo; mentre l’artista ha trasformato addirittura il suo malcontento in un fonte di reddito e di successo personale, sicché non è più motivato alla rivolta. Ora, cosa succede dopo il concerto? La gente torna a casa, va a letto, e la mattina seguente torna al suo giogo lavorativo, paga quello che deve pagare, e nulla di politico è giammai mutato grazie a quell’evento. Così i libri, che peraltro non legge nessuno, danno una soddisfazione meramente intellettuale agli autori, nonché ai pochi lettori, i quali si sentono in tal modo ed ingannevolmente esentati dal fare qualcosa per cambiare sul serio le cose. Ma la forma più semplice di sfogo è la diretta espressione verbale dei propri fastidi, opinioni e malcontenti: la polemica da bar o da social network (che oltretutto ti rende controllabile e schedabile). Anche la manifestazione di piazza (che è regolamentata) ha la medesima funzione: e deve essere pacifica, pre-comunicata e in diversi casi autorizzata. Ora, è chiaro che se il potere non concedesse questi “diritti” ai popoli, ciò sarebbe molto pericoloso: per lui! La gente si troverebbe realmente oppressa, senza altra valvola di sfogo che scagliarsi contro le istituzioni. 

 

L'uomo moderno riesce ancora a raccontare a sé stesso di essere libero e felice.

Ma non è né l'una, né l'altra cosa. È rassegnato e inebetito nella quotidianità.

Nell'angustia della sua vita, determinata e delimitata da forze esterne, entro i cui confini egli riesce ancora a trovare distensivi, diversivi, piccole soddisfazioni, ed essere quasi padrone nel suo piccolo regno. Tutti sono dittatori nell'angusto regno dei propri interessi, poi si vantano di essere democratici fuori dai suoi confini. Ma non realizzano - o troppo tardi realizzano - che questo regno non è a compartimenti stagni, e che le piccole o grandi dittature altrui prima o poi avanzano dei diritti o inesorabilmente avanzano, anche sui suoi territori, guastando e distruggendo la sua piccola e fragile felicità. Alla negazione dell'intolleranza generale si sostituiscono le personali intolleranze dei singoli, che si fingono liberali salvo poi criticare ferocemente qualsiasi cosa li infastidisca. Cercano di imporre la loro volontà, i loro personali valori, sfruttando ruolo e posizione contingente, e li vediamo negare a Tizio e Caio diritti prima definiti universali ("perchè non se li meritano") senza però responsabilmente approdare ad una politica di meritocrazia radicale. Il disfattismo dell'uomo moderno, la sua pigrizia, viltà, il suo individualismo spacciati per rispetto della libertà altrui gli impediscono di fatto di individuare le molteplici cause dei suoi problemi quotidiani – in cui egli è peraltro impelagato ed impegnato con digressiva possibilità di fuorviare – sicché queste cause, tenacemente ignorate, è come se non esistessero e possono continuare ad agire indisturbate nell'interessato peggioramento delle nostre vite.

 

È possibile fare del sarcasmo con frasi come questa: democratici sono quelli che si accontentano di parlare dei problemi, antidemocratici quelli che vogliono risolverli sul serio. In effetti, la frode democratica è spesso costituita dall'ipocrita disponibilità, da parte di chi ha vinto una guerra ed imposto un sistema di vita che lo soddisfa personalmente, a riconoscere ad altri il diritto al dissenso e alla discussione, e forse anche in un lontano futuro a poter cambiare le cose ammesso che lo si voglia in tanti. Ma di fatto sapendo e auspicando che tale discussione, da cui non può emergere nessuna vigorosa decisione, tantomeno di rottura con i principi fondamentali, servirà da valvola di sfogo ma non da viatico rivoluzionario e non metterà dunque in discussione il suo dominio materiale. Si sono serviti quindi della maschera della democrazia per garantire il mantenimento della loro dittatura maggioritaria. Il vero potere tuttavia, pattuito in qualche modo con la gran massa del popolo, è detenuto da élites altolocate che corrodono sempre di più, col passare dei decenni e con l'arte del silente inganno, il benessere popolare sino a che un giorno il gioco non varrà più la candela perché le maggioranze non hanno più il loro guadagno a sostenere quelle élites che li hanno guidati nell'ultima grande guerra. Se tale interesse reciproco si mantenesse costante, non si potrebbe assolutamente sperare in una rivoluzione. Invece tale sistema degenera nel tempo: tanto che l'uomo odierno non ha più le sue certezze. I suoi problemi aumentano, ed egli prosegue per inerzia e opportunismo, dubitando tuttavia e volgendo lo sguardo altrove, alle nuove proposte e alle nostalgie del passato, sebbene intimorito e prevenuto dal perdurare della propaganda decennale che ha plagiato la sua mente contro "certe idee". Le minoranze, nella storia, possono usare tutti gli inganni che vogliono, ma non possono niente contro l'interesse oggettivo e soverchiante delle maggioranze. Se questo viene, ad un certo punto, sensibilmente meno, non ci sarà potere finanziario, politico-militare, o mediatico che tengano: la rivoluzione sarà spontanea in quanto fisiologica. Possiamo concludere quindi che, per decenni, il Potere non ha deluso i popoli, per lo meno nelle loro fazioni maggioritarie: ha di fatto rispettato i patti, ha dato loro ciò che volevano, li ha resi felici. Ma di questi tempi, il sentore di tradimento si sta facendo sempre più strada: ed è qui che un nuovo mito e una nuova speranza possono nascere e guadagnare terreno. Noi ribelli ci sentiamo detentori di una intelligenza elevata al di sopra della media, rappresentanti di una classe sociale bistrattata dalla storia, umiliata e usurpata dei suoi diritti, e proviamo risentimento verso questa perversa collusione tra il Potere istituito e le masse che lo sostengono. Tuttavia, non possiamo affatto sperare di sfidare le masse: ciò sarebbe pura follia. Dobbiamo invece portarle dalla nostra parte, offrendo banalmente loro più di quel che hanno, senza inganni, senza frottole, ché noi non siamo bravi ad ingannare perché i nostri propositi sono costruttivi ed onesti, non distruttivi: oppure faremmo lo stesso gioco dei nostri avversari. Tuttavia, se vogliamo vedere le cose nell'ottica giusta, dobbiamo ammettere che anche i nostri avversari hanno usato l'inganno più con noi che non con le masse. Giacché: ciò che per qualcuno è tanto piacevole può essere detto, in fondo, così ingannevole? Noi non ci siamo fatti ingannare perché soffrivamo e soffriamo più degli altri. Anche qui: è stata la frustrazione a stimolare la riflessione, non viceversa. È stata la sgradevolezza della superficie, dunque il pregiudizio, a fomentare un'analisi più approfondita: che si è conclusa poi con un negativo giudizio. Ma presso altri, tale superficie era invece una patina brillante e confortevole: tale che non importava guardare cosa celasse di sotto, operazione che peraltro richiedeva un'intelligenza non posseduta. Mi servirò adesso di un'immagine. Se tu vuoi far scorrere le bilie in una direzione, devi inclinare il terreno in quella direzione. Altrimenti sarai costretto a spingerle in salita e poi, non appena sottrai la tua faticosa pressione, esse ritorneranno a cadere nella direzione del terreno. Devi stimolare l'intelletto tramite la volontà, consapevole del primato denunciato da Schopenhauer di questa sul primo, qual motrice delle nostre azioni ed opinioni. Fino a che la gente è emotivamente amica di questo sistema, perché esso ha soddisfatto i bisogni del suo cuore, è assolutamente inutile criticarne i principi, per quanto fossero logicamente attaccabili, o altresì fare del revisionismo storico, che abbia come esito l'inversione dei valori tra le due fazioni e li costringa a dire che hanno sbagliato. Fino a che tale ammissione li costringerebbe a perdere quello che amano e andare incontro a qualcosa che non amano, non te l'accorderanno mai. No... perché essi siano disposti a cambiare posizione, e atteggiamento, devono realmente mutare i loro interessi. E devono pensare che, come sono saliti sulla barca del vincitore, ed ora che tale barca affonda, sia loro ebbene garantito un posto in un'altra barca vincente, che li porti in un posto florido e fecondo, non in una colonia penale o campo di concentramento. Vuoi tu dunque che qualcuno parli male di una persona e sviluppi cattive opinioni su di lei? Non parlare dei difetti oggettivi di questa persona: fa in modo che costei gli faccia un torto personale, che gli interessi di costei vengano in contrasto coi suoi. Fai leva, dunque, sulla Volontà...

È questa la linea in cui intendiamo muoverci: cercheremo non la vendetta ma l'interesse del popolo nella sua interezza, e mostreremo che esso non dipende dalla democrazia liberale, ossia dal regime capitalista, ma al contrario ne è progressivamente guastato. La differenza tra noi e le masse è che noi ce ne siamo accorti prima. Perché siamo più sensibili, quando orbene la malattia non era ancora in uno stadio avanzato e non mostrava quindi sintomi evidenti. Mentre adesso è in uno stadio avanzato e i sintomi cominciano ad essere evidenti anche per loro: e peggioreranno.

La fonte della nostra speranza è dunque il constatare che gli interessi nostri e quelli delle masse apparentemente nemiche, in realtà non sono contrastanti: che il divario tra le Volontà dipende dunque dall'efficienza degli Intelletti che le illuminano, ma "la volontà è una e indivisa in ogni essere". È dunque il primato della volontà invero invertibile in un primato dell'intelletto?

Entrambi sono validi, e questo significa, in fondo, che volontà e intelletto coincidono.

Torniamo a parlare dell'uomo moderno nel sistema moderno e diciamo che egli non è realizzato. Ma anche la sua mortificazione non è affatto o quasi mai dovuta a spirito martirico – a Un che si mette controcorrente per una causa – bensì proprio alle conseguenze materiali del disfattismo generalizzato, verso un sistema che colloca gli uomini a caso e pone i conflitti umani sotto regole che li rendono irrisolvibili ed abbandonano il singolo in un tessuto di costrizioni, impedimenti e fastidi cui egli risponde con una rabbia che non può sfogare se non contro fusibili verso i quali abbia girato la testa, o nella malizia con cui parla male del prossimo con un amico o amica, palese consolazione del fatto che non può concretamente vendicarsi né togliere a quella persona, che ritiene immeritevole, uno specifico diritto. E si rivolge agli psicofarmaci o a varie pratiche pseudo spirituali e pseudo terapeutiche, ascolta santoni da mezza tacca che vendono fumo, senza comprendere che se non si cambia concretamente la realtà si resterà infelici. La Legge ci ingabbia tutti quanti gli uni contro gli altri, raccontandoci che siamo uguali e che dobbiamo paradossalmente tollerarci perché invero non lo siamo... in questo modo pone l'infelicità a dogma sociale e parla di giustizia, come se questa dovesse essere sinonimo di "compromesso". La giustizia non sarà mai compromesso: al contrario, essa è la dissoluzione dei compromessi, tramite strutturazione gerarchica e purificazione in circolo virtuoso. Ora, è sgradevole per un uomo che sia stato succube della prepotente stupidità altrui, che nella sua vile prevaricazione non è stata giammai molto infelice, al contrario di lui, pensare di doversi sbattere non già per punire gli uomini, bensì per aumentare la loro soddisfazione. Tuttavia, noi dovremo essere magnanimi e fare proprio questo: essi si guadagneranno in qualche modo tale piacere agendo doverosamente, e noi stessi ci libereremo della sudditanza e delle tossine incamerate con essa. Il nostro movimento, senza vagheggiare miti di salvezza o credere ai miracoli, si ripropone nei limiti del possibile, di costruire niente di meno che le condizioni oggettive della felicità dell'intera popolazione.

 

 

Capitolo III

 

Sistema economico - riforma del lavoro

e riforma della scuola

 

Ho posto queste tre questioni in un unico titolo poiché esse sono indissolubili e complementari.

La nostra concezione base è che un Paese si deve sviluppare organicamente.

Questo implica come corollario che le sue parti sono interdipendenti e fanno ognuna il suo proprio danno nella misura in cui agiscono egoisticamente. Al contrario, le parti maggiormente sane e ricche del paese devono convogliare parte del loro impegno nel risanamento delle zone degradate o povere. Anche qui: il territorio nazionale è variegato e ogni luogo detiene le sue peculiarità, che andranno tutelate nell'ottica di non inserire elementi inadatti, che producano disarmonia.

Uno Stato che non si prenda amorevole cura del suo capitale umano è destinato a perdere la sua linfa produttiva. Un elemento produttivo che non si applichi pienamente all'organismo statale, irrorandone con la sua energia tutti i tessuti, non realizza il suo potenziale, con il graduale risultato dell'impoverimento sostanziale e il conseguente disfunzionamento formale dell'organismo intero.

In Italia, a causa del sistema politico-economico pluralista e individualista, ossia della disorganizzazione, o disorganicità, un elemento produttivo si ritrova, come un flutto nel mare del libero mercato, a depositarsi quasi casualmente su una struttura produttiva come un'incrostazione che riesce anche a svolgere la funzione d'ingranaggio, sebbene con molto stridore non essendo fatto su misura per quella funzione, e a produrre energia, ricevendone in cambio analogo compenso inferiore al suo potenziale. Tale scoglio rappresenta orbene per lui una temporanea salvezza per non annegare, ma presto l'inadeguatezza tra la sua funzione e quella richiesta da una macchina a sua volta costituzionalmente imperfetta lo porta a perdere la sua funzione produttiva per rimanere solo un'incrostazione che deve essere dissolta e sostituita con una ruota maggiormente adatta, il che purtroppo significa, sotto il sistema liberista, maggiormente atta a produrre reddito a breve termine, ossia un elevato contingente produttivo a basso costo, destinato ad essere reinvestito per l'interesse del privato, licenziando il temporaneo collaboratore e disinteressandosi del suo destino, senza che vi sia uno Stato che possa sopperire a questa negligenza, comportandosi quest'ultimo, a sua volta, in barba alla sua naturale funzione organizzativa, come un privato che deve pensare a massimizzare il profitto, cercando di minimizzare le spese massimizzando i ricavi, soprassedendo al fatto banale che se non funzionano i privati non possono pagare le tasse e quindi non funziona nemmeno lo stato: in un circolo vizioso letale. In questo modo delle risorse produttive (cittadini) potenzialmente valide vengono utilizzate largamente al di sotto del proprio potenziale oppure sfruttate senza possibilità di vera crescita – un concetto che ha significato solo se applicato a quello di Organismo – o addirittura condannate ad uno sterile parassitismo che lede la loro dignità e le può condurre alla depressione o al suicidio. Sostenendo la bieca mentalità dell'adattamento incondizionato alle richieste esterne, del primum vivere, della sopravvivenza come unico obiettivo degno di essere perseguito, si perdono gradualmente tutte le professionalità, le specificità degli organi, che storicamente si svilupparono e perfezionarono tramite un lungo percorso: questo conduce, a lungo termine, alla paralisi della macchina produttiva e all'estinzione per denutrizione dei suoi singoli componenti. Un utensile che venga lungamente utilizzato per una funzione diversa da quella sua naturale, abusando quindi della sua versatilità, contemporaneamente lavora male e si logora, perdendo gradualmente anche la sua funzione naturale ed essendo quindi destinato alla rottamazione. Pensando dunque secondo il gretto ed imbelle principio del primum vivere, si arriva per gradi a non poter più vivere. Tutti i rapporti di lavoro, imperfetti per il modo in cui vengono impostati senza rispetto del concetto di personalità, se non di quello di persona, assumono il tratto dell'occasionalità, per lo più inappagante per via della casuale e quasi sempre forzata scelta del partner, dei tempi ristretti, e conseguentemente il tratto dell'inaffidabilità destinata alla disgregazione, dopo che aveva però richiesto l'impegno. L'analogia non è fuori luogo, dal momento che la vita lavorativa rappresenta la base su cui impostare tutti gli altri aspetti della vita, che ne vengono guastati qualora il primo sia infelice, e ne assumano le forme quasi a guisa di corollari. Non bisogna quindi porsi l'obiettivo di sopravvivere, bensì quello di realizzarsi: se tutti si pongono questo obiettivo, e ne rivendicano coraggiosamente le condizioni, nessuno avrà problemi a vivere: perché nel concetto di benessere è contenuto quello di sopravvivenza, non viceversa. La mancanza di coraggio – spacciata ipocritamente per sano realismo e nobile stoicismo nel sopportare la durezza della vita - è quindi una delle cause principali del declino della civiltà, e con essa degli individui che la compongono: orbene un aggravamento della durezza della vita. Se non si combatte per i propri diritti, presto si avranno solo doveri. Se non si fa il proprio dovere, sarà presto vano avere dei diritti.

Vi è un deplorevole finto socialismo nella mentalità di molte persone che si dichiarano 'di sinistra' e dovrebbero avere tra le loro priorità politiche l'emancipazione del lavoratore dall'alienazione, ma poi dinanzi ai casi particolari di quest'ultima, invitano cinicamente il soggetto ad accettare quello che c'è perché le logiche del capitalismo sono queste, dimostrando di ritenerle in qualche modo giuste e tradendo lo spirito rivoluzionario che dovrebbe animarli, sebbene non ne soffrano nella medesima misura, in quanto che personalmente hanno trovato una sistemazione lavorativa assai meno alienante, e rivelano così il proprio egoismo che stride con un altro principio caro alla sinistra, quello fondamentale di uguaglianza. Ma non vi può essere trattamento equo di persone fattivamente diverse qualora si trascuri la loro personalità nel principale ambito in cui essa va rispettata: il mondo del lavoro, che garantisce realizzazione e la cui specializzazione è condizione del funzionamento dell'organismo e il suo sviluppo naturale. È invero proprio l'egoismo, la trascuratezza delle esigenze altrui, a precludere la realizzazione delle proprie brame egoistiche, che tutti possiedono. L'egoismo è qui sinonimo di miopia. La miopia delle grandi aziende che tiranneggiano il mercato, la miopia dei nostri governanti che pensano al loro interesse (a breve termine appunto), o quello dei cittadini disfattisti che si adeguano a qualsiasi ingiustizia cercando di risentirne il meno possibile a livello personale e accontentandosi di portare a casa uno stipendio destinato – in ogni caso – a diminuire nella misura in cui non si arresti il declino del sistema. Vi è da considerare anche che la versatilità dell'uomo è cosa che diminuisce lungo le fasi della vita: quando siamo giovani siamo magmatici, il nostro carattere non si è ancora ben definito e consolidato, sicché possiamo studiare di tutto e adattarci con più facilità a molti lavori; ma questo decade nella vita matura, quando il carattere si raffredda e consolida, ed ha resistito contro ciò che lo voleva portare lontano dalla sua forma naturale. Ciò è giusto, poiché lo sviluppo sociale, che avanza di pari passo a quello personale, richiede la specializzazione ed è un processo lento, che deve essere coltivato per anni e decenni, se la civiltà vuol arrivare a certi livelli.

 

Per il momento la nostra analisi deve prendere a riferimento un paese che si possa permettere l'autarchia, come non è il caso dell'Italia: poiché la questione del commercio con l'estero, in particolare con nazioni a differente sistema politico, complica parecchio le cose e verrà affrontata in un secondo momento. Ipotizziamo quindi per ora un paese autosufficiente.

 

Il ministero dell'economia detiene obiettivi di sanificazione e sviluppo nazionale e coerentemente con questi deve predisporre un'economia pianificata, cui tutti i cittadini dovranno porgere il loro contributo nella precisa locazione stabilita dallo Stato, mettendo da parte i loro scopi personali o meglio integrandoli in un grande scopo comune (che non significa affatto Comunismo bensì realizzazione della Persona nello Stato), dacché lo stato organicista bandisce l'individualismo e pone delle priorità assolute, che naturalmente tengono conto di quelle relative, ma reali, dei singoli cittadini i quali, come è logico, non saranno meramente utilizzati come strumenti di un progetto astratto o macroscopico, e sacrificati non appena i loro interessi vi si frappongano, oppure qualora non siano più sfruttabili: al contrario, i reali interessi dei singoli si realizzano soltanto tramite il piano di sviluppo nazionale, ossia di concerto con tutti gli altri, che dovranno, gli uni, e su indicazione del governo, farsi momentaneamente da parte per dare la precedenza a un'esigenza più vitale ed urgente, in un secondo momento vedersi ricambiato il favore tramite il riconoscimento di un'analoga priorità. In tale sistema economico il cittadino è contemporaneamente Fine e Mezzo. Questa è forse la parte più difficile da accettare per chi è abituato, nel regime competitivo della società capitalista, a perseguire il proprio profitto come precondizione per soddisfare bisogni materiali e realizzare progetti arbitrari, vaghi disegni di vita, sul cui terreno troverà anche molte opposizioni e potrà giovare sempre di conoscenze limitate ed incerte. In questo modo il singolo soggetto economico procede, ampiamente alla cieca, alla ricerca di un interesse non ben definito:

se non il possedere un determinato quantitativo di beni materiali, posizione e riconoscimenti sociali, che però presuppongono, in primo luogo, che si abbia la certezza che tali cose lo renderanno felice, e in secondo luogo la sottrazione degli stessi beni ad altri cittadini. È quasi ovvio che non possiamo acquisire niente di veramente solido in un sistema che mette tutto in discussione e può sottrarti – tramite la concorrenza - in qualsiasi momento una posizione che evidentemente ritiene tu non debba ricoprire, e poi che la ricchezza non può superare un certo limite se non si distribuisce al massimo: dacché la gente deve avere i soldi per comprare quello che tu produci, dunque avere la possibilità di produrre almeno complessivamente altrettanto, tramite il pieno utilizzo delle proprie forze in un ruolo garantito e adatto alle sue reali capacità.

 

La meritocrazia integrale fa sì che la qualità non sia opzionale, ma doverosa, e che la capacità di consumare sia uguale alla capacità di produrre. Altresì, che nessuno produca cose inutili, dannose o in quantità superflua. La varietà produttiva deve riguardare le tipologie di prodotti, ossia gli articoli; ma non la qualità degli stessi, motivata solo dal fatto che si è lasciato l'accesso alla produzione a una persona immeritevole, il che si traduce in prodotti mediocri che non soddisfano il bisogno. In una economia intelligente vi è un articolo per una funzione: non quindici articoli di marche diverse. E vi è un cittadino, o una ditta, che soli sono in grado di produrlo. Tale cittadino e tale ditta, in generale qualsiasi attività economica intrapresa, non deve avere come obiettivo e movente il profitto privato bensì la soddisfazione del fabbisogno nazionale di quel prodotto o servizio. Se la produzione e la distribuzione, tutelate nelle loro condizioni ottimali dall'autorità statale, non subiranno intoppi di sorta (come invece avviene nella giungla liberale), e non saranno mai private del necessario capitale, il guadagno privato sarà molto alto poiché tutta la merce prodotta sarà stata venduta, avrà trovato un'allocazione, dei consumatori, e avrà soddisfatto un bisogno perché era stata concepita su misura per loro, tramite gli studi di settore. Il profitto privato avrà luogo dunque come conseguenza dell'abbandono della mentalità privatista: esso sarà più elevato per ogni lavoratore e meglio distribuito tra le classi. Occorre quindi una sola azienda per ogni settore produttivo, la migliore su un mercato che non sarà più tale in senso classico-liberista, ed il cui marchio assurgerà alla dicitura di Marchio Nazionale, o potrà in alcuni casi divenirne l'antonomasia [ad es. Findus per i bastoncini di merluzzo]. Dunque, nei supermercati, i prodotti saranno indicati con il loro nome generico: farina integrale di grano tenero (marchio nazionale), vernice antiossidante colore verde scuro (marchio nazionale), stampante laser (marchio nazionale), brugola in acciaio n° 6 (marchio nazionale), pantaloncini traspiranti per corsa (marchio nazionale) ... Ora il grande quesito: e chi dovrebbe produrre questi beni? Anche ammesso che la qualità debba essere obbligatoria e che non sia un concetto soggettivo, dunque che un solo prodotto soddisfa veramente un bisogno: tra i vari spontanei pretendenti alla produzione, come scegli il migliore senza metterlo alla prova? La stessa concezione del nazionalsocialismo tedesco era differente, ossia che la selezione naturale nella lotta per la sopravvivenza, il libero gioco delle forze soltanto può emettere la sentenza, poiché il successo è l'unico metro di ciò che ha valore su questa terra.

Vorrei evolvermi da questa concezione.

Vi è da considerare che il ricorso all'esperimento, nella Scienza, deve essere qualcosa di parsimonioso: poiché è dispendioso, rischioso e compromettente, e si deve sulla minor base empirica dedurre quante più informazioni (dunque fare più previsioni) possibile.

Non è ancora possibile stabili a-priori – ad esempio attraverso un'analisi del corredo genetico – le predisposizioni di un individuo, di modo che, una volta impostato un sistema, il collocamento dei nuovi nati sia automatico e meccanico. Esse andranno dunque testate.

Ma anche ammesso che tramite i test di personalità e intelligenza si sia concluso che un ragazzino è portato per l'imprenditoria, ce ne saranno molti altri valutati come potenzialmente portati - sebbene, poniamo nel settore tessile, solo uno di loro è veramente il migliore tra i nuovi nati in Italia.

Ebbene: solo lui deve sostituire il titolare dell'Azienda Nazionale Tessile; tutti gli altri dovranno avere o un ruolo subalterno all'interno della stessa azienda oppure un ruolo dirigenziale in un altro settore imprenditoriale. Soltanto una selezione superficiale o sprovveduta potrebbe necessitare il fatto che, per rendersi compiuta, i ragazzi aspiranti all'imprenditoria vengano abbandonati ad un libero mercato in cui, da soli, debbano innanzitutto cercarsi i finanziamenti per mettere in piedi un'azienda che produca un bene di cui non si conosce il reale e preciso fabbisogno nazionale, quindi competano con le aziende concorrenti le quali, senza dubbio, non hanno tutte lo stesso standard di qualità, ed infine due su tre siano destinate al fallimento (dunque a quello che si rivela essere stato un tragico spreco di risorse cui consegue la necessità di ricollocamento della persona), oppure a sopravvivere indebitamente in un mercato che consente la presenza di prodotti mediocri, comunque allocati per frode pubblicitaria o perché molti cittadini non possono permettersi un prodotto di alta qualità. Al contrario, la scelta del personale deve essere compiuta nella fase sperimentale della scuola, senza che il mercato stesso sia l'alveo degli esperimenti economici, in cui sopravviva "il più forte" o "il più adatto" che lo si voglia chiamare, o anche "quello che ha maggior accesso ai finanziamenti" giacché la concorrenza è sleale ossia fatta in condizioni impari. Altrimenti, sarebbe come voler costruire di fatto tutti gli edifici progettati anziché valutare prima sulla carta i singoli progetti: nella cui rosa, per una funzione, se ne salva davvero solo uno e spesso nemmeno quello e si deve palesemente ricorrere ad un altro architetto.

 

Si deve attuare, in ogni settore, un uso massiccio della simulazione.

Gli strumenti informatici in proposito sono stati e saranno un'innovazione poderosa.

 

Una domanda sembra sorgere spontanea:

ma senza competizione e ambizione di profitto,

cosa potrà stimolare la ricerca e il progresso?

 

Risposta: Innanzitutto l'amore per una scienza (che da sempre fa a meno dei profitti e in molti casi sfida la miseria, la solitudine, l'ostracismo e la persecuzione politica), in secondo luogo l'imperfezione stessa dei prodotti ed il fatto che – anche in un regime economico monopolistico – essi si perfezionano solo per gradi, man mano che i progressi scientifici operati dalle altre scienze si applicano allo specifico settore. L'Azienda Nazionale mette sul mercato una gamma di spazzolini da denti, oppure rasoi, oppure cellulari, ognuno per una specifica funzione studiata. Ora: tutta l'Italia usa quegli spazzolini, quei rasoi, quei cellulari ma...essi possono comunque avere dei difetti non notati in fase teorico-simulativa oppure in una fase sperimentale basata su un campione molto ridotto della popolazione, mentre adesso abbiamo un bacino di cavie grande quanto la popolazione italiana che può aver riscontrato delle controindicazioni e dunque darci le informazioni necessarie affinché la ricerca prosegua e produca degli spazzolini, dei rasoi e dei cellulari sempre migliori, magari in una gamma più ricca per soddisfare segmenti di popolazione che si rivelano avere esigenze particolari. Lo svantaggio dell'imprenditoria nel libero mercato è inoltre che spesso l'impresa privata non dispone dei finanziamenti necessari per una produzione ottimizzata secondo la miglior tecnologia presente, né quelli per una ricerca approfondita che tale tecnologia possa far avanzare, o ancora deve tagliare sul personale, oppure ha necessità di produrre in fretta per colmare un vuoto di capitale che andrà poi reinvestito in un ampliamento o perfezionamento, ma non elude il fatto che in questo modo un prodotto mediocre è stato messo sul mercato, e che ci sono state perdite economiche. Anche un'azienda statale o un istituto di ricerca pubblico – dovendo competere coi privati e dovendo fare i conti con debiti da saldare e con bieche volontà politiche che impongono altre priorità – nel regime liberale è facile che non dispongano dei fondi sufficienti ad ottimizzare il lavoro. Ma in un regime a monopolio statale dell'economia, laddove l'interesse nazionale non può essere di fatto trascurato, il ministero alloca tutti i fondi necessari, se davvero ha valutato come prioritario un risultato scientifico-tecnico da acquisire in un determinato settore per ovviare ad un problema reale. E se lo stato impone sé stesso come unico finanziatore della ricerca scientifica, ne sarà anche il solo padrone e ne indirizzerà gli scopi, che nel nazionalsocialismo sono il benessere della nazione nella sua interezza. Nello stato organicista la ricerca è venerata e gli scienziati sono sì molto selezionati (anche per il loro bene) ma soprattutto sono protetti. L'ottusità del presente, il legame inerziale al dogmatismo della scienza che per gli individui geniali è già scienza di ieri, questi macigni spinosi con cui si sono dovuti confrontare nella storia tutti gli innovatori, per non parlare delle lobby che difendono interessi privati e dunque pongono ostacoli alla libera ricerca scientifica o ne piegano i risultati o le applicazioni, sono indecenze che lo stato organicista si impone di debellare.

 

Una azienda sola, nazionale, possiede, rispetto a dieci aziende private, almeno sei vantaggi.

1) costa complessivamente molto meno 2) garantisce la massima qualità – poiché tutte le migliori maestranze, materiali e tecnologie disponibili sono convogliate in essa, anziché spartite tra i pretendenti alla produzione, miranti a schiacciare gli avversari 3) non ha concorrenti che la intralcino sul territorio (anche come apparati distributivi, dai camion, ai magazzini, ai piccoli empori, che occupano spazio e costano altre spese amministrative, umane ed un impatto ambientale) 4) produce meno inquinamento e meno rifiuti 5) può giovare di una analisi di mercato molto più esatta e precisa, grazie alla quale eviterà sprechi allocando quasi tutta la merce prodotta 6) in caso di difficoltà o calamità, verrebbe comunque salvata dal Governo, che non può fare a meno di essa.

 

Che la competizione sia il motore del progresso è un dogma liberale che non corrisponde a verità. È banale osservare che cinque bilie corrono più veloce e arrivano più lontano se viaggiano parallele ognuna nel suo binario anziché sgomitare tra loro perdendo energia. Ciò che le muove non è il desiderio di arrivare prima degli altri, ma quello di giungere a destinazione ossia a soddisfare il bisogno produttivo. Anzi, la necessità imposta di arrivare prima degli altri – agendo quindi sotto pressione – può comportare un lavoro frettoloso con conclusioni forzate ed imperfette, oltre che la sottrazione di parte delle risorse necessarie a realizzare i progetti. 

 

Il progresso deve essere qualcosa di reale, tangibile, misurabile. Non ha senso che la ricerca produca una nuova penna o un nuovo telefono dai pregi soltanto apparenti oppure reali ma che differiscono dagli articoli precedenti per delle inezie, trascurabili nella loro funzione ideale, quando il costo di produzione di tali oggetti in termini di lavoro umano, materie prime, inquinamento e smaltimento rifiuti è invece molto alto. Il consumismo danneggia l'ambiente ed il sistema senza veramente arricchire il cittadino, ovvero senza renderlo più felice.

 

Nel sistema che dobbiamo costruire, la ricerca è costante, volta al miglioramento costante ed è finanziata dalla nazione intera. Ogni volta che essa arriva ad una oggettiva innovazione, è adesso scontato che il corpo sociale debba essere preparato ad accoglierla. Lo stato concerterà questa preparazione: vi saranno per tutti i soggetti che devono essere investiti dall’aggiornamento, direttamente o indirettamente, degli avvisi, delle istruzioni, dei corsi di formazione; dopodiché, quando davvero tutti sono pronti, si innestano il nuovo prodotto o il nuovo metodo, ovunque sia previsto, e si prosegue nella produzione, ora migliorata. Fra una invenzione e la sua diffusione sul mercato vi sarà quindi un lasso di tempo chiamato

Vacatio tecnologica.

 

Per azzerare ogni spreco nel mondo della produzione, sia in termini materiali che in termini lavorativi, ovunque sia possibile verrà introdotto il metodo GIUSTO IN TEMPO: che velocizza la produzione, attuata su richiesta, sulla base della visualizzazione di un prototipo. Questo dovrebbe riguardare non solo automobili e strumenti tecnologici, ma anche, ad esempio, l’abbigliamento.

 

Il modello di crescita economica è teoricamente semplice. Dividendo il reddito di una persona in dieci parti, possiamo dire che sette vadano dedicate al consumo, due all’investimento e una al risparmio. Potremmo affermare che una persona, o un’azienda, abbia centrato l’obiettivo e stia muovendosi nella direzione giusta se attua costantemente un 721. Scopo del risparmio è unicamente quello di far fronte agli imprevisti: altrimenti sarebbero soldi stagnanti, inutilizzati. Scopo del consumo è mantenere il livello di benessere presente, soddisfacendo i bisogni costanti e quelli periodici, e garantire con esso la produttività. Scopo dell’investimento è aumentare la produttività nel periodo successivo, innescando un circolo virtuoso. Non bisogna mai risparmiare sui propri bisogni reali, ma solo su quelli superflui: questi ultimi possono essere sacrificati perché non veramente utili ed anzi controproducenti; mentre i bisogni reali vanno soddisfatti onde evitare il logoramento della salute fisica o psichica, che avrebbe certamente delle ripercussioni economiche peggiori. Il risparmio che danneggia la salute è un finto risparmio, un’ansia di crescere che porta a regredire. Inoltre, ogni tanto, qualche sfizio occorre toglierselo, altrimenti prendono piede la depressione e la noia, laddove il piacere è invece il principale incentivo alla vita, così come è la maggior consolazione dinanzi alla sventura.

 

Il livello di soddisfazione dei beni materiali è in un sistema politico-economico destinato a raggiungere, nel tempo, quello dei suoi principi generali. Ogni sistema è in tal senso idealistico, perché è una meta da raggiungere, un percorso da completare, un concetto da realizzare. Ma se l’idea è sbagliata, se non corrisponde al vero spirito dell’uomo, nella stessa misura i cittadini soffriranno, in ogni luogo, nelle piccole come nelle grandi cose, di analoghe insoddisfazioni: prodotti scadenti, impedimenti materiali, attese, macchinosità dei processi, reiterazioni, mancanze, periodiche crisi e ricadute. Nel capitalismo il perfezionamento (il “progresso”) è relegato nel privato, messo a competere con altri privati, e questo è proprio il motivo che limita tale progresso. Il Fine del capitalismo è l’accumulo della ricchezza in poche mani e il conseguente asservimento dell’umanità impoverita e mortificata nelle sue ambizioni: questo rappresenterà anche la sua Fine.

 

All'interno del sistema liberista, è possibile osservare che le aziende che hanno maggiore successo a lungo termine sono quelle che attuano al proprio interno una politica nazionalsocialista. Esse considerano i propri dipendenti non come elementi da sfruttare ma come degli esseri umani da rispettare e pienamente integrare nell'organismo aziendale: li collocano ognuno al posto adeguato, cercano di motivarli e si assicurano che siano sempre motivati, permettono una maggiore compartecipazione agli utili in proporzione ai meriti, investono in corsi di formazione continua, verifiche, operazioni di feedback, li informano delle decisioni aziendali prese ai piani alti...li fanno sentire orbene parte di un team. La loro filosofia, che fa la differenza, è lo spirito di gruppo.

Tali aziende si preoccupano quindi di attuare una collaborazione fruttifera a lungo termine, una crescita collettiva, e per farlo devono fidelizzare il dipendente ancor prima di fidelizzare il cliente. Per fidelizzare il cliente, certo lo devi trattare bene e non ingannarlo, e per fidelizzare il dipendente non puoi sfruttarlo malamente per poi licenziarlo a tuo piacimento: questo comportamento, generalizzato, produrrebbe entro pochi mesi un esercito di derelitti, proletarizzati, depressi e sfiduciati, senza potere d'acquisto e che devono talvolta essere soccorsi dal sistema previdenziale oppure da quello sanitario e psicoterapeutico, diventando una spesa per lo Stato. La chiave del successo si conviene essere quindi, nell'imprenditoria come nello studio, nello sport, nell'arte, e nella vita tutta, la qualità dell'ORGANIZZAZIONE. Ma allora è così difficile fare il passo successivo? Anziché incastonare un metodo vincente entro una struttura (quella liberista) perdente, in quanto competitiva, inserire invece nel gioco quel soggetto fondamentale che si chiama Stato, il quale gestisca come un grande impresario il Suo capitalismo, coordinando una federazione di aziende ognuna monopolista del suo settore? Dal momento che soltanto a breve termine le difficoltà ed il fallimento dei concorrenti possono rappresentare per un'azienda un vantaggio (e presentano comunque lo svantaggio immediato di un sovraccarico di lavoro) ma a lungo termine – se non raggiunge di fatto il monopolio e tutti gli elementi delle aziende fallite sono stati ricollocati – produce la paralisi del potere d'acquisto e quindi una perdita anche per l'azienda leader, nonché un aumento della spesa pubblica che ricade anch'esso sul contribuente, proprio guarda caso in proporzione al reddito. Un'azienda ha dunque ben poco da guadagnarci a mettere in crisi o schiacciare i propri avversari, se davvero non li fagocita ossia li assorbe nel suo organico, rimanendo unica e sola produttrice sul mercato.

 

Dunque, una Banca Nazionale alle dirette ed esclusive dipendenze del Ministero dell'Economia stampa tutto il denaro corrispondente al potenziale produttivo del paese. Perché il potenziale produttivo e non il prodotto interno in un dato momento? Perché i soldi hanno lo scopo di creare liquidità, ossia liquefare le risorse cristallizzate nel corpo della nazione liberandone le energie, tramite il potere d'acquisto e investimento. Ogni anno uno stato deve fare nuovi investimenti, secondo la crescita che vuol realizzare: senza soldi precisamente corrispondenti queste risorse materiali sono bloccate, sicché dovrà stampare tutti quelli che non gli sono già ritornati in cassa tramite la tassazione. Lo stato dovrà stampare, oltre alla moneta che sia fisicamente deperita, quella corrispondente all'aumento del prodotto interno reale. Essendo la tassazione una provvigione sui profitti privati, se lo Stato ha lavorato bene questi ultimi saranno stati, nell'ultimo anno, più alti che nell'anno precedente, sicché l'introito fiscale sarà parimenti aumentato. Ad ogni unità produttiva deve corrispondere sul mercato la presenza di una unità monetaria: solo questo garantisce il potere di scambio.

 

La banca non è un'impresa, né pubblica né privata, perché il denaro non è una merce che possa essere venduta in cambio di altro denaro e dunque convertibile in altra merce che non sia il denaro stesso, bensì è soltanto uno strumento che facilita gli scambi, ed il suo valore come merce (banconota – moneta metallica) è il suo costo di produzione materiale.

 

Il prodotto interno del paese si misura in termini energetici (Joule) ossia in lavoro, e l'unità monetaria (Lira-Euro) deve equivalere all'unità energetica, ossia all'unità operativa, all'operazione semplice: il numero di Euro che costa un prodotto deve corrispondere al numero di operazioni (ossia complessivamente all'energia) che sono state compiute per produrlo.

 

Il ministero dell'economia gestisce pienamente e liberamente il denaro stampato dalla banca nazionale decidendo come investirlo: esso tiene monitorata la condizione economica di tutta la penisola, possiede dati statistici precisi, e studia un piano di sviluppo complessivo, avendo come riferimento il tempo necessario alla realizzazione dell'opera più prioritaria.

Il movimento organicista si propone di eliminare le ingiustizie del Liberismo Puro (individualista) e quelle dello Statalismo Malato (non meritocratico).

 

Immaginiamo ora di poter

 

  1. Ripudiare l'ingiustizia del Debito Pubblico (rifiutare letteralmente di pagarlo)
  2. Debellare tutti gli Enti Inutili

 

Potremmo mica costruirci un esercito tale da poter scacciare gli americani dalle loro basi sul nostro territorio, e riprenderci così la sovranità sulla nostra Italia?

Tagliando tutti gli sprechi e imponendo la meritocrazia integrale, potremmo indicativamente garantire che un operaio generico guadagni 4000 euro al mese, un insegnante 6000, un ingegnere dagli 8 ai 20 mila a seconda dell'importanza dei progetti e delle funzioni, un medico, dai 12 ai 30 mila a seconda della difficoltà degli interventi, un poliziotto o un militare, dai 10 ai 40 mila a seconda del grado...

Lo stato organicista intende impegnarsi affinché il ricambio generazionale sia effettivo ed ottimale senza guastare la godibilità della vita. Pertanto, nessun giovane sarà in condizioni di non poter lasciare la casa paterna, da solo o in coppia, entro i 25 anni, ovvero non appena terminati gli studi, e di non poter acquistare una casa propria. Gli stipendi alti da un lato, i costi abbordabili delle case dall'altro, garantiranno che una giovane coppia possa acquistarne una e pagare il mutuo in un massimo di 10 anni, con rate che gli consentano comunque di avere, al netto di tasse e bollette, ancora una cifra sufficiente a campare non dico "dignitosamente", ma con un tenore di vita elevato, per sé e per i figli. Nessuno vieta, nel nostro stato, che un ventottenne guadagni di più, entro un determinato settore, di un cinquantenne, se davvero è maggiormente qualificato; tuttavia, essendoci la meritocrazia integrale e dunque un percorso scolastico perfetto e una professionalizzazione coerente con questo, con la personalità del cittadino e con le esigenze della nazione, l'anzianità resterà in buona misura sinonimo di maggiori competenze, quindi di gradi superiori e stipendi più alti; fino a quando non si entri nel declino della vecchiaia. L'Ordine e la Concordia, in uno stato, sono un bene più prezioso della Ricchezza: tuttavia quest'ultima ha un'importanza chiave per garantire il passaggio a livelli di ordine e concordia ancora superiori; sicché lo stato non può trascurare il benessere materiale, e tra i suoi obiettivi deve esserci quello di alzare quanto più è possibile il tenore di vita medio. Stipendi alti significano infatti possibilità di indipendenza e condizioni di base per una elevazione spirituale. Una madre di famiglia, lavoratrice, con tali stipendi, potrà permettersi spesso, per i lavori di casa, una domestica, il che le consentirà di andare dalla parrucchiera e dall'estetista (facendone le fortune), rendendosi più bella per sé stessa e per il marito, di praticare danza e aerobica o quant'altro e di stare con i bambini. Un padre di famiglia, lavoratore, e per quanto il fai-da-te rientri nel pacchetto formativo base di tutti i maschi che un giorno dovranno prendere casa e dunque sia insegnato nelle scuole, potranno, dopo una giornata di lavoro, permettersi il giardiniere, l'idraulico, il falegname, l'elettricista e nel tempo che si libera andare in palestra, in moto, in bici, o a pescare con il proprio figlio. L'intera famigliola potrà permettersi svariate uscite a settimana per cinema, teatro, concerti, mostre d'arte, manifestazioni sportive, con tanto di cena fuori, e magari un breve viaggio ogni due settimane o sei, e non esiste che un buon lettore non si possa permettere un buon libro. Non ha senso produrre tanta Cultura se i cittadini non hanno le condizioni materiali, ovvero il tempo, i soldi e il benessere, per adeguatamente fruirne. Del resto gli artisti e gli sportivi, da chi potrebbero essere stimolati, valorizzati, pagati, gratificati se non avessero un vasto pubblico? Così tutti i fornitori di servizi alla persona, di ristorazione e svago, e le professioni tecnico-manuali. È dunque fuor di dubbio che l'elevazione spirituale data dalle attività culturali di un paese necessiti non già solo di una migliore amministrazione delle stesse da parte delle autorità, ma anche del benessere economico della popolazione, e questo può essere garantito solo da un controllo statale dell'economia, da uno stato organicista. La meritocrazia integrale già da sola allevia moltissimo il peso del lavoro, che garantito in condizioni salubri e nessun errato collocamento, realizzerà le capacità umane e minimizzerà l'aspetto usurante; sicché, per quanto la giornata lavorativa standard possa essere dimezzata rispetto ai canoni attuali, ridotta a 3-4 ore, molti non troveranno affatto stressante allungarla fino a 12 ore, così aumentando la produzione o cambiandosi in ruoli secondari che siano compatibili, a patto che, una volta tornati a casa, essi abbiano realmente finito di lavorare e possano dedicarsi a se stessi e ai propri cari. In particolare occorre sgravare i cittadini dall'onere delle scartoffie burocratiche. Il lavoro necessita di abilità, onestà e dedizione: non di pezzi di carta. La burocrazia è quasi completamente inutile e verrà veramente ridotta al minimo indispensabile. Quanto meglio si selezionano, istruiscono e collocano gli uomini, tanto meno dovrà essere la carta a cantare al posto loro, ed il settore terziario sarà sfoltito di uffici, personale e spese inutili, tutte e tre cose da riallocare più proficuamente. Sarà naturalmente debellato il metodo economico consumistico, vale a dire la produzione di beni ad obsolescenza programmata, e sostituito con la produzione perfezionata di beni a lunga durata, in tutti i settori. In questo modo si tagliano posti di lavoro, senza dubbio: fatto sta che non ha senso lavorare per rimediare ai danni che hanno fatto altri e che sono tranquillamente evitabili, quando le energie di questi lavoratori possono essere impiegate, partendo da una condizione di base più sana che ci sostiene tutti, per la soddisfazione di bisogni secondari e quindi per una elevazione della civiltà, oppure essere reimpiegati nel settore primario o secondario, andando a dimezzare le ore di lavoro di contadini, operai, tecnici, insegnanti, ricercatori, commercianti, amministratori, forze dell'ordine, ed anche artisti, senza che il dimezzamento conseguente, degli stipendi, comporti un abbassamento del tenore di vita, dal momento che il costo della vita si è analogamente abbassato in termini ben superiori. Se le auto si rompono di meno, le lampadine non si fulminano, la gente si ammala di meno, i farmaci hanno meno effetti collaterali, il cibo è di alta qualità, gli elettrodomestici sono durevoli, così i capi di abbigliamento e tutta l'oggettistica e l'utensileria, gli arredamenti, gli infissi; se ancora le tasse sono molto più basse che nel sistema capitalista e non ci sono imposte indirette, né spese notarili e in generale poche spese amministrative e burocrazia ridotta all'osso; se la giustizia diviene una cosa rapida e semplice e alla quale si deve ricorrere molto raramente e con spese ben contenute o addirittura inesistenti perché ci sono solo avvocati pubblici o addirittura non c'è più questa figura professionale; se le spese scolastiche sono quasi completamente coperte dallo Stato e le famiglie devono comprare solo l'essenziale alla formazione senza sperperare quattrini nei turpi corridoi variopinti del consumismo e della mala-istruzione: ebbene, uno stipendio dimezzato basterà a vivere più che bene, lavorando di fatto la metà e potendo amministrare il proprio tempo libero.

Nella stessa ottica è opportuno investire sempre sul progresso tecnologico-scientifico senza timore di far perdere lavoro a decine di migliaia di agricoltori e operai: essi diventeranno sempre più tecnici che non manovali, e sempre più specializzati e organizzati. Non bisogna aver paura che il lavoro scarseggi: i problemi sono tanti e tali che ce ne sarà sempre abbastanza da stancarsene, ed affinché la civiltà progredisca complessivamente è necessario che una fascia sempre maggiore della popolazione sia sottratta alle fatiche della produzione primaria o materiale, e che comunque quest'ultima sia una base solida e sana donde l'albero della Cultura possa crescere rigoglioso ed anche veder sfrondati i propri rami superflui da nuovi operatori ecologici culturali. La pletora, la ridondanza, la confusione, la mediocrità ed il pluralismo regnanti nel mondo della cultura risentono infatti delle analoghe fattezze del sistema economico materiale sottostante: chiamiamole pure struttura e sovrastruttura, sottolineando però che non vi è un rapporto strettamente gerarchico ma un circolo ermeneutico, tra le due, una viva collaborazione e appoggio reciproco, come tra due carte da gioco su un tavolo. Nel sistema capitalista questo circolo ermeneutico è un circolo vizioso; mentre nel sistema organicista sarebbe virtuoso: idee corrette sanificano il sistema produttivo e un sistema produttivo più efficiente aumenta il benessere e prepara lo spazio per lo sviluppo ideologico. Nel nostro sistema il concetto di Ricchezza non equivale a quello di quantità di merce prodotta o di denaro in circolazione: ma di Organicità, Coerenza, Salute, Quiete.

Non siamo dunque né per la Crescita né per la Decrescita, ma per una commistione delle due cose laddove siano l'una o l'altra necessarie: e ben sappiamo che lo sono entrambe. Il Prodotto interno lordo è pertanto un parametro che per noi non significa nulla, tanto meno benessere: dal momento che in esso compare anche il reddito generato dai paradossi delle buche e dagli sprechi. Se io mi ammalo, aumento il PIL; se faccio un incidente, aumento il PIL; se bombardo una città, aumento il PIL; se intento a qualcuno una causa giudiziaria, aumento il PIL; se creo un trauma a mio figlio e lo devo mandare dallo psicologo, aumento il PIL; se istituisco un corso di studi inutile, aumento il PIL; se compro 7 sporte di roba che non mi serve, aumento il PIL; se alzo lo stipendio a un parlamentare aumento il PIL…

 

Perché il denaro deve rimanere. In uno stato organico, tutti lavorano per tutti, sicché il denaro potrebbe apparire come uno strumento superfluo, un pezzo di carta o tessera magnetica che complica inutilmente gli scambi materiali di beni e servizi. Sarebbe così se noi avessimo di già la garanzia della completa onestà delle persone: tale per cui tutti fanno il loro dovere e poi nessuno prende più di quanto gli spetta di diritto. Ma l'uomo è pigro, avido e cieco, e naturalmente fallace, anche se ottimamente istruito e poi inserito nel miglior organigramma sociale possibile, sicché in un'economia non monetaria molti sarebbero portati a lavorare meno del necessario e poi, visto che la roba è gratis nei negozi, prenderne in quantità molto superiore al reale bisogno, sprecandola e sottraendola ad altri: per cui il denaro resta il miglior strumento di controllo poliziesco sugli scambi, ed attesta il diritto di acquistare in base a quanto si è prodotto. Se tu dunque non lavori al meglio, non verrai pagato, e se anche lavori al meglio e ti guadagni in pieno lo stipendio, la limitatezza di quest'ultimo è lo sprone migliore a consumarlo oculatamente, così come la prospettiva della morte è il miglior stimolo ad impiegare al meglio la propria vita. Non esiste soluzione ad un problema privo di vincoli, non esiste possibilità di ragionamento se non in presenza di un numero finito di proposizioni: così la limitatezza è la condizione di ogni progetto di vita, e l'onnipotenza non è condizione umana, ma divina. Inoltre la libertà economica in uno stato totalitario rimarrà quella di spendere arbitrariamente il proprio denaro, secondo la percezione del proprio benessere e la conoscenza impareggiabile che ognuno ha di sé stesso: lo stato non determinerà, né controllerà, dunque, tutte le transazioni economiche, materiali e monetarie, che avvengono sul suo territorio: ciò sarebbe utopia e irrigidimento. Ma verrà incontro al cittadino assicurandosi innanzitutto di non mettere sul mercato niente di dannoso, quindi di fornire quante più precise e veritiere informazioni possibile sui prodotti, al fine di agevolare la scelta, e lascerà infine quest'ultima al singolo. Non è scorretto definire questo un sistema "a libertà guidata".

 

Il Prezzo di ogni prodotto o servizio verrà stabilito dallo Stato, seconda quanto oggettivamente esso costa in termini energetici; e lo stipendio di ogni partecipante alla produzione sarà corrispondente all'energia da lui donata (o fatta risparmiare – leggasi: inventori e organizzatori).

 

Il compito dello stato in ambito economico è quello di organizzare al meglio la produzione e la distribuzione, che concretamente spettano ai privati: i beni e i servizi, materiali e culturali, avranno dei prezzi abbordabili perché per metà li si è già pagati con le tasse, che consentono allo stato di armonizzare la produzione e la distribuzione abbassandone di fatto i costi rispetto al regime di libero mercato. In sostanza quello che abbiamo chiamato Stato – in sé stessa una mera astrazione – non sono altro che i privati convertiti all'ottica nazionalista. Gli "organizzatori", funzionari statali che siano in qualche modo sovrapposti ai singoli imprenditori, sarebbero quindi dei fantasmi, delle figure superflue, senza alcuna reale funzione: l'organizzatore è di fatto l'imprenditore, anche quello agricolo, che prima lavorava per il profitto dell'azienda, e adesso lavora per la nazione. Il ministero dell'economia (questo sì è statale) deve poi coordinare i vari settori della produzione. Se si continuano a pagare le tasse, lo Stato deve avere una funzione reale, sovrapposta ed interposta a quella dei privati: in effetti, nel sistema organicista la tassazione è molto più bassa perché lo Stato deve far molte meno cose, la sua struttura è ridotta all'osso. 

 

L'unica cosa tassabile sarà il reddito, non vi saranno imposte sulla proprietà legittimamente acquisita, siano beni immobili o mobili, né sui passaggi della filiera produttiva o nella compravendita, su produzione e consumo, su donazioni e successioni. Elimineremo tutte le imposte indirette.

 

Sarà abolita la figura del Notaio, assente nei paesi anglosassoni.

 

La Terra. La terra non va acquistata perché non è un bene prodotto dall'uomo, ma naturale. Se ne appropria lo Stato che poi la divide in lotti da assegnare alle varie funzioni: agricole, industriali, abitative, parchi, riserve.

 

Il contadino, sia questo un imprenditore agricolo, un tecnico o un bracciante, non si troveranno alienati del proprio lavoro soltanto perché non sono i proprietari della terra: essi sono i proprietari del proprio lavoro che viene trasferito, dietro congruo compenso, alla Nazione e precisamente questo rappresenta la realizzazione e la soddisfazione del cittadino. Nella produzione, lo Stato ci mette i terreni, gli impianti, gli strumenti di lavoro, le sementi, l'acqua, i prodotti per i trattamenti delle colture: il lavoratore ci mette il lavoro stesso, e dovrà pagare di tasca sua soltanto quello che spreca o che rompe per incuria o utilizzo inadeguato.

 

Il Ministero dell'Ambiente attuerà il progetto di Estetizzazione Integrale del territorio nazionale. La nostra Italia deve essere integralmente bella. Non solo il centro storico delle città, non solo i borghi medievali conservati intatti, non solo gli scorci panoramici delle zone costiere, collinari o montane, non solo lagune, torrenti, boschi e foreste, non solo i parchi: ma anche tutte le strade cittadine, tutte le costruzioni abitabili e quelle ad utilizzo industriale o con altre funzioni, i ponti, le periferie, i monumenti, e poi i campi coltivati, gli argini dei canali, le spiagge, le scogliere, i moli, le pinete. Ed ovunque la natura non abbia creato bellezza, la deve immettere l'uomo. I luoghi, laddove ciò non ne comprometta il fascino, vanno resi agibili con bonifiche, insediamenti, strade, sentieri, panchine, fontane; bisogna addomesticare, tagliare, potare, legare, curare la vegetazione, integrarla se necessario e compatibile, eseguire interventi contro gli insetti, costruire capanni, osservatori, abitazioni, gallerie, passerelle, torri, lampioni, fari, istallare torce naturali, rendere abitabili e turisticamente attrezzate zone ancora selvagge, e dare spazio e respiro a nuova architettura. È molto più semplice quest'ultimo aspetto che non il contrastare il dilagato fenomeno dell'Urbanesimo a mano armata. Le nostre città sono in larga misura invivibili e inguardabili, sono un scempio al buon senso e al buon gusto e, fatta eccezione, spesso, per il centro storico, il resto andrebbe smantellato, quale volgare accozzaglia di edifici privi di uno stile architettonico, privi di una coerenza, di un equilibrio complessivo, ognuno concepito con una funzione propria, con uno scopo egoistico che si è incuneato in quel determinato contesto, incurante della eventuale deturpazione, ed anche le attività che vi si sono create, commerciali, culturali o politico-amministrative, hanno preso luogo in maniera miope, per ragioni di contingente interesse economico privato, o del fatto che altri spazi erano già occupati, benché più adatti.

E non voglio parlare della qualità della circolazione stradale.

Non possono vivere 2700 persone in un chilometro quadrato. Non vorrei la teoria della relatività dello spazio fosse stata concepita per giustificare anche questi fenomeni. Quando ci sono interi acri di terreno ancora completamente disabitati...

Ebbene: il governo si deve occupare, di concerto con la facoltà di Architettura, di creare nuovi stilemi nazionali che diano prestigio e opportuna coerenza a quanto si costruisce. Di costruire nuove città nelle zone disabitate in cui possa confluire tutta la popolazione in eccesso che vive nei grossi centri urbani e in buona misura anche in quelli medi, per consentire il fisico smantellamento di questi scherzi urbanistici e la loro ricostruzione, intorno al centro storico salvato, a chiese e singoli edifici di valore: in modo che tutta la città risulti infine un'opera d'arte. In architettura, come le pause in musica, lo spazio vuoto rappresenta un elemento fondamentale: tale principio è barbaramente trascurato nell'urbanistica moderna. Gli edifici devono respirare...

Quando si costruisce un centro urbano se ne devono prevedere i possibili sviluppi futuri o meglio prescriverli vietando che ne sia snaturata l'essenza. Non si può permettere che la popolazione cresca indefinitamente e che nel seno della città venga importato di tutto e di più. In ogni città dovrebbe esserci quello che le accomuna nella filosofia nazionale, e tutti servizi di cui la popolazione locale ha bisogno, in aggiunta a quelli per accogliere un flusso annuo ragionevole di turisti; poi, quello che giustamente le differenzia dalle altre, per il luogo in cui sorgono o perché le si è battezzate capitali di un certo aspetto della cultura o di attività specifiche, cose che definiranno il carattere di quella città e di chi per affinità viene a viverci. Le necessità di spostarsi per ragioni economiche verranno recise dal governo: ogni cittadino avrà le condizioni materiali per restare a vivere o al contrario per andare a vivere dovunque il suo talento sia al meglio utilizzato professionalmente. Se tale luogo è nella sua zona d'origine, non esiste che egli debba decidere di spostarsi altrove perché quella zona è povera: lo stato si occuperà di arricchirla. Se tale luogo di lavoro e vita ideale si trova lontano dalla sua zona d'origine, lo stato aiuterà il cittadino a trovare opportuno alloggio in quella città, pagherà le spese di trasloco e di viaggio: perché egli non va a cercare fortuna, ma a lavorare per la Patria, che in tal caso gli chiede anche di lasciare la sua terra natia, e deve offrirgli un'opportunità davvero preferibile.

 

Le città dovranno avere una struttura geometrica precisa, un'architettura coerente, ed essere progettate per accogliere un preciso numero di cittadini, più lo spazio per accogliere un quantitativo mai congestionante di turisti. In base al fabbisogno della popolazione e del turismo, si dovrà stabilire quanti empori disporre e in quale precisa zona della città, per ogni tipologia. Stesso discorso per gli uffici pubblici e le sedi delle forze dell'ordine e della protezione civile. La locazione di un'impresa produttiva andrà scelta in base alle caratteristiche del territorio, al rispetto dell'ecologia, e alla posizione strategica sul piano nazionale per consentire la più agevole rete distributiva. Per nessuna ragione si dovrà costruire in un modo che peggiora la viabilità o guasta la bellezza del paesaggio urbano.

 

I monumenti nelle moderne città d’arte sono come diamanti incastonati nel fango. Raggiungerli è drammatico, nel dedalo stradale degradato e rumoroso, sovraffollato e folle, e l’effetto che ne abbiamo, incappando in uno scorcio pittoresco, è simile all’ascolto di un lungo concerto di musica trap marocchina spezzato qua e là da frammenti di sublime musica classica…Un sospiro di sollievo, un respiro di speranza che non raddrizza e non riscatta l’insieme.

 

La bellezza di cui il cittadino deve essere attorniato (in quanto il Bello induce al Buono), non deve spegnersi nemmeno di notte, come appunto la vita di molte persone, per lavoro o per svago. Il paesaggio urbano, quello stradale e quello naturale, devono avere un aspetto confortevole, stimolante, rilassante, poetico, addirittura mistico. È opportuno assolutizzare l’utilizzo della cromoterapia, con l’innesto di luci artistiche, progettate per essere viste da vicino o da lontano, durante un viaggio notturno; in aggiunta alla musicoterapia, già diurna e parzialmente anche notturna, tramite altoparlanti e diffusori di suoni e musica piacevole disparsi in ogni dove. La nostra Italia, quando cala il sole, si metterà in sublime modalità notturna.

 

Quando si sceglie un’automobile, una tastiera, un elettrodomestico, occorre saper ottimizzare il tempo della scelta tramite una pre-conoscenza di questi oggetti: devi sapere cosa guardare per verificare che soddisfi le tue reali esigenze. Allo stesso modo, quando si visita un loco artistico (museo, mostra, monumento, parco, ecc.) occorre ottimizzare la fruizione dell’arte. Schopenhauer diceva che dinanzi a un’opera d’arte dobbiamo comportarci come con un gran signore: guardarlo e aspettare che ci dica qualcosa. Ma questa è una concezione ancora ingenua. È troppo passiva. Non dobbiamo aspettare che ci dica qualcosa, ma fargli domande precise per vedere se egli ha la risposta che cerchiamo. Tale capacità deve essere formata in noi dall’educazione artistica, dalla filosofia dell’arte. Non possiamo metterci una vita a visitare un museo, senza neppure sapere cosa cerchiamo in esso, e vagabondare o ciondolare tra corridoi e sale irresolutamente: è infantile, e irrispettoso verso noi stessi, verso gli altri visitatori e verso l’arte stessa. Dobbiamo evitare anche la sovraesposizione allo stimolo: se siamo recettivi, un quadro non ci mette una vita a dirci quello che ci deve dire; talvolta è evidente al primo sguardo, talaltra pretende una certa riflessione: ma se i tempi eccedono si guasta l’effetto estetico, sicché, o si tratta di un brutto quadro, oppure di una cattiva osservazione da parte nostra, o di mancanza di preparazione. L’educazione artistica deve rientrare in una più ampia educazione turistica: i viaggi e le visite vanno ottimizzati, mentre spesso i turisti vanno alla ventura, quasi a caso, trovandosi poi in balia di disagi, perdite di tempo e denaro, per poi tornarsene a casa stanchi e insoddisfatti.   

 

 


La Proprietà Privata è garantita relativamente alla propria abitazione, a quanto regolarmente si acquista, ma le Imprese sono invece statali ed essendo concepite e utilizzate per l'interesse nazionale non hanno un vero "proprietario", ma solo un gestore, ossia l'imprenditore, che avrà una responsabilità precisa e uno stipendio commisurato a questa e alla sua prestazione oggettiva, come ogni suo dipendente. Ognuno risponde del suo operato al suo diretto superiore, fino al Ministro dell'Economia che risponde direttamente al Capo del Governo.

Ogni unità operativa, in veste autorevole sui suoi dipendenti, non può propriamente licenziare, ma solo segnalare un'eventuale inefficienza nel lavoratore, all'Ufficiale del collocamento (funzionario pubblico), che valuterà il caso. Tuttavia questi eventi saranno molto rari in quanto che il sistema economico è coordinato e pianificato in modo da possedere un sistema immunitario e una elasticità-mobilità tali da poter fronteggiare un incidente, una crisi o un errore di collocamento senza destabilizzarsi né lasciare un suo componente in balia degli eventi. I lavoratori vengono peraltro, come verrà spiegato nel paragrafo seguente, istruiti e selezionati rigorosamente già nel percorso scolastico, pertanto è molto difficile che si verifichi la necessità di un licenziamento.

 

 

 

La Scuola

 

La scuola deve essere un mondo in miniatura, fatto ad immagine e somiglianza del mondo reale, e che a quest'ultimo deve consentire il più armonico passaggio. Il bambino (e forse l’adulto no?) impara solamente divertendosi e l'educazione si baserà sull'esempio da imitare e sulla simulazione ludica e nello stesso tempo seria di attività future. È importante notare che i i bambini prendono i loro giochi molto seriamente: la loro serietà è il gioco, che in futuro diventerà il lavoro, e nello stesso tempo prendono molto seriamente i loro rapporti sociali, perché ne determinano la felicità.

Il concetto di serietà non dovrà dunque essere impartito dall'esterno, dal momento che esso è innato ed i fanciulli lo conoscono già. Piuttosto essi dovranno imparare, empiricamente, ad equiparare il concetto di "doveroso" al concetto di "piacevole". I principi solidaristici e meritocratici verranno praticati nella piccola realtà della classe e in quella dell'istituto cosi come sono praticati nell'intera società. Il ragazzino (o la ragazzina) dotato di maggior carattere e intelligenza verrà fatto capoclasse, ed ognuno sarà invitato, non appena noti in sé stesso una capacità, ad utilizzarla responsabilmente per il bene del gruppo, secondo il principio: autorità verso il basso, responsabilità verso l'alto. Si utilizzeranno Giochi di società studiati per istruire il bambino ai principi della vita economica e sociale dello stato nazionale. Di questi giochi, ne esistono anche sotto il sistema attuale: ad esempio il gioco HOTEL è utile per far comprendere il concetto di investimento graduale, quelli di casualità e imprevedibilità, e l'acquisizione di proprietà differenti che siano fonti di guadagno, solitamente una grossa e una più piccola ma comunque necessaria a creare liquidità e non cadere in bancarotta: tutti concetti essenziali nel sistema capitalista. Il Ministero dell'Istruzione dovrà studiare una versione di questo gioco adatta ad introdurre al sistema organicista. Il gioco RISIKO educa alla necessità di difendere quello che si possiede e a quella di raggiungere i propri obiettivi in maniera indiretta e per tappe, ed altresì illustra i rapporti di forza e i concetti di circolo virtuoso e circolo vizioso. Si utilizzeranno quanti giochi si stimeranno necessari.

 

Quanto alla Matematica, essa deve essere imparata in base alla sua applicazione a problemi pratici di economia e di fisica: discipline che verranno introdotte – almeno nei rudimenti – nelle scuole elementari (e magari anche qualche nozione di chimica, biologia, astronomia – sicuramente comprensibili anche in tenera età, per dare subito una visione poliedrica del sapere umano, nel cui regno dovranno inserirsi presto operativamente scegliendo una strada precisa). Il ragazzino verrà quindi posto di fronte ad un problema pratico e gli sarà mostrato come – dinanzi alle difficoltà di trovare una risposta operativa immediata, si possa giungere a questa risposta tramite il preambolo della teoria: si possa dunque risolvere il problema in astratto tramite la simbologia e le operazioni astratte, le quali sono operazioni che altrimenti andrebbero svolte concretamente sugli oggetti del problema senza garanzia che siano risolutive e che l'azione è compromettente, mentre la teoria no.

 

Quanto all'apprendimento dell'Italiano, non si dovrà studiare la grammatica in quanto essa è un metalinguaggio inessenziale all'apprendimento operativo del linguaggio. Nelle scuole si dovranno inserire insegnanti che parlano e scrivono bene e si dovranno leggere testi dei maggiori stilisti della nostra letteratura nazionale, senza disdegnare buone traduzioni di capolavori stranieri. Ma l'analisi del periodo, quella logica e quella grammaticale sono completamente superflue, dacché la lingua si impara per imitazione e uso diretto, stimolati dall'esigenza espressiva reale. Tramite l'organizzazione di attività di gruppo nelle quali ogni ragazzino assume un preciso ruolo, essi capiranno il concetto di responsabilità unitamente all'importanza della comunicazione: di come questa necessiti, per essere efficace, di essere essenziale, chiara, univoca.

 

Efficace e Bello verranno impartiti come sinonimi.

 

L'inutilità delle analisi linguistiche sopraccitate, dietro le quali i ragazzini perdono suon di tempo e d'inchiostro, anche sotto forma di compiti pomeridiani ed estivi allorché potrebbero meglio andare a correre sulle colline e in riva al mare, verrà brevemente illustrata.

Se dico la frase "mio fratello è stato morso da un cane" i bambini l'hanno capita al volo e, interessati all'argomento, hanno subito aguzzato l'attenzione per sapere i particolari dell'evento, ma... L'insegnante chiede loro di fare l'Analisi Logica... e i bambini sbadigliano perché, effettivamente, cosa c'è da analizzare? È forse una frase di difficile comprensione? Dire che "mio fratello" è il soggetto, "è stato morso" è predicato verbale, "da un cane" complemento d'agente, in qual modo migliora la comprensione della frase e in qual modo mi insegna a parlare meglio? Se aggiungo l'analisi grammaticale, dire che "mio" è aggettivo possessivo, "fratello" nome comune, "è stato morso" verbo, indicativo, passato prossimo, forma passiva, terza persona singolare, "da" preposizione semplice (dacché ve ne sono di articolate, capirai), "un" articolo indeterminativo, "cane" nome comune (perché "Pluto" invece è il cane di Topolino...)... in che modo questa analisi aumenta la mia comprensione del significato dei termini utilizzati, i loro rapporti e quindi il senso della frase? Nessuno. Ed io posso saper usare i congiuntivi e i trapassati remoti senza sapere che si chiamano tali, e si impara a declinare i verbi direttamente utilizzandoli per necessità espressive oppure leggendo e ascoltando, non compilando fiumi di paradigmi. I termini metalinguistici che analogamente designano le proposizioni classificate nell'analisi del periodo (principale, coordinata, subordinata, relativa, comparativa, avversativa, consecutiva, condizionale, modale, incidentale, ecc.) non aggiungono niente, ed anzi appesantiscono il discorso e ne affumicano la comprensione. Si faccia piuttosto notare ai bambini la sensibile differenza tra una formulazione efficace e una inefficace, tra una prosa elegante e scorrevole e una prosa macchinosa e rozza, tra la pletora e l'essenza, tra il difetto e l'eccesso di termini astratti e concreti, la loro migliore mescolanza, tra strutture narrative buone e meno buone, e la tecnica dell'interpunzione: ma lo si faccia tramite gli esempi, non con grandi teorizzazioni, dacché la sensibilità innata, in questo caso detta buon gusto, coglie da sola queste differenze, ne soffre, ne gode, e le cose buone vengono istintivamente imitate. S'impari ad usare le figure retoriche e non a sapere i loro bizzarri nomi, dietro i quali non si nasconde niente di speciale: ma comuni ed istintivi modi di esprimersi. Si faccia piuttosto un poco di teatro, di educazione vocale e mimica, e si filmino i ragazzi mentre parlano, per far loro capire come li vedono e li sentono gli altri.

 

Nego il valore didattico delle lingue antiche, soprattutto nel modo grottesco con cui vengono affrontate nei Licei. Le famigerate versioni, a cosa servono? O devi fare il traduttore, oppure non servono. Tanto più che uno studente del quinto anno necessita di due ore e di un dizionario per tradurre approssimativamente quindici righe. E questi sarebbero Studi Classici? Allora: o si imparano il greco e il latino come si faceva una volta, ossia in modo da saperli leggere scorrevolmente e dunque apprezzare le opere originali, nonché scrivere frammenti letterari o interi trattati direttamente in quelle lingue; oppure si studia la cultura antica ricorrendo a canoniche traduzioni senza nemmeno imbattersi nel problema linguistico. Di lingua, è già sufficiente parlare bene la propria, e dato che parliamo dell'antichità usando terminologie moderne, non vedo perché dovremmo parlare della modernità usando terminologie antiche, a meno che non si siano conservate perché appunto ancora attuali. Se la lingua si è evoluta, solitamente, c'è un motivo; e se si pensa che non si sia evoluta ma al contrario sia degenerata e fossero molto più perfette le lingue antiche, a questo punto si mandi al diavolo Dante Alighieri e si torni al latino come lingua ufficiale. Ma questi studi frammisti non hanno senso alcuno, senonché essi illustrano la confusione dei nostri obiettivi formativi o addirittura la finalità mediocrizzatrice-livellatrice delle generazioni e la volontaria perdita di tempo. Del Latino si conservino orbene le locuzioni memorabili e quelle giuridiche ancora in uso, di fatto inserite nell'Italiano, oppure le si traduca e la si faccia finita. Non si riporti a diniego di questa presa di posizione l'opinione insipiente secondo la quale il Latino insegnerebbe a ragionare, e costituirebbe una sorta di palestra mentale per le altre discipline. Tutte le discipline insegnano a ragionare, ognuna nei suoi termini, dacché non esiste la logica pura, ma solo le nostre capacità razionali applicate a dei contenuti precisi; i quali non sono invero traslabili, anche qualora analoghi, sopra quelli di natura differente, appartenenti a un'altra area semantica, come vorrebbe insinuare il latinista presuntuoso: la consecutio temporum o l'analisi del periodo non ti insegnano a progettare meglio un ponte o a comporre musica migliore, e invano lanceresti – come appunto si lancia un ponte – una analogia a qualcosa che non conosci, come la fisica o la composizione musicale.

 

Tornando all'infanzia...

 

Il Disegno è un'attività ludica ma non necessariamente formativa. Lo si utilizza in maniera massiccia nelle scuole primarie più per tenere i ragazzi impegnati che non per insegnare loro qualcosa. In effetti, la maggior parte dei bambini disegna malissimo e nessuno gli insegna i principi di questa disciplina fino al Liceo artistico. Ma non avrebbe comunque senso insegnare il disegno a chi non ha una buona mano, mentre è necessario cominciare l'apprendistato artistico molto prima a chi abbia un reale talento: come era una volta, quando un ragazzo entrava nello studio di un pittore affermato e già da giovanissimo metteva in mostra le prime grandi creazioni. Questo valga per tutti i talenti: che vanno coltivati presto. La scuola dovrà essere un collante e un laboratorio che insegni alla gente come stare insieme, ad avere senso sociale e nazionale, ma i ragazzi dovranno essere introdotti ai loro rispettivi percorsi molto presto, e di fatto separati nelle attività in base ai talenti riscontrati. Attività collettive come lavorare con la creta, dipingere, costruire oggetti, collage, eccetera, sono sicuramente un buon espediente per tenere i bambini impegnati, ma non hanno certamente un valore educativo; anzi, direi diseducativo, innanzitutto perché essi non imparano a farlo come dio comanda e non capiscono la funzione sociale di quelle attività, ma non capiscono nemmeno cosa debba fare davvero, professionalmente, ogni giorno, uno che voglia guadagnarsi da vivere con esse, e dirà "voglio fare lo scultore", "voglio fare l'architetto", "voglio fare il disegnatore" sulla base di una puerile attrazione estetica per i prodotti di queste attività che pensa di essere anche etica quando non lo è: perché solamente il talento è in grado di affrontare le difficoltà reali che un'attività comporta, ed il bambino la pratica per divertirsi, irresponsabilmente, sprecando tempo e senza essere dall'insegnante messo di fronte ai suoi limiti oggettivi. Queste attività ludiche, così diffuse nelle scuole, servono piuttosto al consumismo speculativo sull'infanzia che vende loro ogni sorta di articoli di cartoleria e giocattoli frivoli e inutili, che dissipano le finanze dei genitori, non nutrono lo spirito e non preparano alla vita. Analogamente il ragazzino diseducato dirà "voglio fare l'astronauta" perché vede un cartone animato sugli alieni, e "voglio fare il programmatore di computer" perché gli piacciono i videogiochi, "voglio fare il musicista" perché ha sentito una bella canzone, senza punto sapere cosa significhi fare veramente quei mestieri. Il ragazzino non può conoscere ancora la complessità della società e la difficoltà della vita adulta, ma fuor di dubbio possiede dei talenti: ebbene, questi vanno notati dall'adulto, che dovrà assumersi la responsabilità di fargli seguire quella strada, quella del suo talento maggiore, sviluppandolo al massimo e quanto prima è possibile, poiché solo con esso si guadagnerà da vivere in maniera piena e senza alienazione, ma al contrario con soddisfazione e riconoscimenti.

 

Da scoraggiare, o punto abbandonare, nelle scuole, è l'insegnamento della Storia.

Perché è tra tutte la disciplina più complessa e che maggiormente necessita, per essere compresa, della conoscenza della vita, poiché non si comprende il presente tramite il passato, ma il passato tramite il presente, per confronto al vissuto, che nel giovane è molto esile e lacunoso. Pertanto, è più proficuo che egli venga introdotto alla conoscenza della società in cui vive, ai suoi diritti e doveri in essa, e vi prenda una parte attiva in base alla quale potrà in futuro, divenuto adulto, prendere eventualmente in considerazione il percorso che ci ha portati ad essere quelli che siamo. Ma quado sei felice perché i problemi sono stati risolti, perde di senso l’incaponirsi col passato (ossia con problemi superati).

 

Anche la Geografia è una disciplina scientifica specialistica le cui nozioni più generali sono già bagaglio della conversazione comune e dell'esperienza diretta, sicché non andranno approfondite a scuola se non a chi debba diventarne un professionista. In alternativa, verranno organizzate gite esplorative volte a consolidare la conoscenza del proprio territorio. Anche in un mondo cosmopolita e dove i viaggi e le comunicazioni sono sempre più veloci, in un certo senso si vive sempre "tra due zolle" ed ognuno deve mettere da qualche parte le proprie radici: la sua vita si articola intorno ad un centro e da lì prende in considerazione la possibilità di espandersi o di spostarsi, ma ognuno di noi cerca quello di cui ha bisogno preminentemente intorno a sé, nella sua zona, e lì dovrebbe trovarlo.

 

L'approccio generale agli studi e alla ricerca di ogni genere deve assumere la seguente forma di pragmatismo:


  1. ciò che non rappresenta un problema operativo non deve rappresentare nemmeno un problema teorico

 

  1. tutto ciò che imparo deve migliorare le mie capacità di scelta e d'azione, altrimenti è controproducente

 

Relativamente alla Storia, chi la conosce deve assumere un ruolo decisionale che presupponga, per essere bene adempiuto, quelle conoscenze, altrimenti queste risultano sterili e socialmente inutili. Ciò che definiamo interessante sono sempre le implicazioni pratiche; ad eccezione dei puri teorici, ai quali interessano, della pratica, le implicazioni teoriche, appunto. Ma le due cose si pongono in circolo virtuoso. Ora, una persona competente di storia rurale moderna potrebbe essere utile come consulente per un'opera cinematografica ambientata nelle campagne francesi del Seicento, più che per decisioni politiche attuali, e primariamente in questa veste consultiva per opere artistiche avrebbero senso gli studi storici e sarebbero ancora coltivati da professionisti. Ma tra poco affermerò l’inutilità codeste opere in ordine allo scopo che si prefigge la Cultura. Sul piano dell'attualità (che certo contiene la storia) più di una persona che conoscesse a menadito la storia dell'Impero Cinese, sarebbe utile una che conoscesse bene la struttura socio-economica della Cina attuale e i suoi rapporti con l'Italia: costei sarebbe assunta al ministero degli esteri. Quello che sensatamente ci interessa ancora del passato, è ciò che di esso si è conservato nel presente, non ciò che è stato abbandonato o eroso dai secoli. Del Medioevo sono rimasti i castelli e i borghi e poco altro, se non terminologie che nel contesto odierno hanno effettivamente un altro significato. E i cittadini francesi di oggi non sono più quelli che hanno preso la Bastiglia, sebbene quei principi si siano affermati nel mondo e siano tuttora vivi in Francia: è molto più importante conoscere la Francia odierna che non quella del passato, per poter compiere scelte ed azioni che la riguardano. Qualsiasi conoscenza esatta circa lo stato presente ha più valore, per la vita, di conoscenze storiche. Non è peraltro un caso che la maggior parte delle opere storiografiche riguardino la storia contemporanea, e via via un numero sempre minore di studi riguardano le epoche precedenti, fino a che troviamo il quasi-vuoto sulle epoche molto remote, anche se oggi possiamo ricostruirle meglio con gli strumenti della scienza; e più si va indietro più si perdono i particolari e ci si accontenta di nozioni generali, perché appunto tali particolari non sono più utili: i conflitti storici hanno dato il loro esito e solo qualcosa è sopravvissuto ed è stato tramandato. Riguardo a ciò che è andato perduto, più che smuovere i macigni del tempo per riesumarlo, risponde alle nostre capacità creative e all'economia il rifondarlo di sana pianta, qualora potesse essere di nuovo utile. Una cultura che non si libera dei fardelli storici è appunto come un albero che non lasciasse cadere le sue parti vecchie o malate, oltre che i suoi frutti gustosi e commestibili: esso soffocherebbe e cadrebbe sotto il peso delle sue immote fronde marcescenti.

 

La concezione organica del tempo implica che una nazione sana non ha storia, poiché si è liberata delle sue parti malate: il corpo nazionale integro e funzionante ha sì un tronco e delle radici, ma sono tutte quante nel presente, non nel passato (non sono altro che le basi odierne della società) e collaborano con tutte le altre parti dell'albero verso il futuro (cioè verso un ulteriore perfezionamento). 

 

Propriamente, la Storia è la somma delle insanità presenti in un corpo sociale, l’insieme delle piaghe di un Paese. Il Politico deve essere il medico della società, pertanto deve individuare – con una analisi completamente attuale – ogni punto non sano. Queste zone insane sono certo figlie degli urti e delle contaminazioni subite nei decenni e nei secoli: ma se conosciamo il rimedio, diviene superfluo indagare l’origine del problema. Ecco che anche un film storico, come un libro, costerebbe allo stato delle risorse superflue alla sua funzione ideale, ossia la sanificazione di una precisa zona del paese.

 

Una cosa filosoficamente infondata è la separazione del percorso formativo in ben quattro cicli scolastici: Elementari, Medie, Superiori, Università. Nei quali ampia parte dei programmi viene addirittura ripetuta, in una versione maggiormente approfondita. Basterebbe invece un solo ciclo scolastico che accompagni lo studente fino alla maturità, ossia all'indipendenza professionale.

 

E dovrebbe essere anche molto più breve, tale da renderlo operativo già in età adolescenziale.

 

La maggior parte del nostro tempo, nelle scuole, e delle nostre energie, sono oltremodo sprecati. Non coltiviamo i nostri veri talenti e non ci vengono mostrate le condizioni del loro proficuo utilizzo. Siamo costretti ad acquisire nozioni di discipline che non ci interessano e che dimenticheremo presto, non utilizzandole professionalmente né socialmente. La specializzazione che avviene solitamente all'università oppure, per talune professioni, nella scuola superiore, va assolutamente anticipata alla scuola primaria. Quindi, in definitiva, la scuola primaria (o scuola elementare) sarà invero il luogo della sperimentazione dei talenti e della selezione dei bambini, laddove impareranno però al contempo i principi comuni della filosofia nazionale, il senso del gruppo, e le nozioni e le abilità che non devono mancare a nessuno: dopodiché, ognuno verrà indirizzato alle scuole professionali. Le elementari potranno durare in questo modo forse tre o cinque anni... poi ci si incammina verso il proprio destino, si comincia a diventare ciò che si è.

 

Durante il ciclo elementare, si faranno praticare ai bambini un po' tutti gli sport, suonare tutti gli strumenti, fare test di ascolto ed analisi, si verificheranno le reazioni emotive ai vari generi musicali, si praticherà il disegno non per passatempo ma per testare la mano e il buon gusto dei bambini, si mostreranno film e opere teatrali per verificare le reazioni d'interesse e la comprensione, si istituirà in ogni scuola un Laboratorio dove verranno testate le abilità e la predisposizione al lavoro manuale, realizzando piccoli lavori di carpenteria, elettrotecnica, riparazione, artigianato, verniciatura, giardinaggio, nei quali verranno utilizzati attrezzi su misura per le piccole mani dei fanciulli. Ci sarà anche una sorta di catena di montaggio in miniatura in cui i piccoli operai dovranno far funzionare delle macchine industriali per realizzare un contingente produttivo nell'unità di tempo, senza smagliature, così comprenderanno le necessità della coordinazione e dell'efficienza mantenuta nel tempo, cosa succede se si crea una interruzione, se dovesse venir meno un elemento, i principi di sicurezza sul lavoro, la gestione del rischio e la responsabilità. I lavori di officina – anche questi monitorati dall'insegnante - dovranno essere realizzati entro un tempo prestabilito: non già per educare i ragazzi alla competizione, ma all'efficienza, a capire quali sono le conseguenze del ritardo nella produzione e nella soddisfazione di un bisogno. Si potranno effettuare, soprattutto nel periodo estivo, sessioni di lavoro nei campi in affiancamento ai contadini della zona: remunerate. Ai maschietti potrà essere mostrato come si smonta e rimonta una motocicletta, cosicché si verifichi come si sono sentiti nel maneggiare ingranaggi e chiavi e a sporcarsi le mani di olio. Si praticherà la cucina e verranno impartiti i principi della buona alimentazione. Si proverà a tagliare i capelli, tagliare la stoffa, piegare i vestiti, cucire. Si proverà a ballare e cantare. Si utilizzeranno programmi informatici per vedere chi ha maggiore dimestichezza. Si formeranno e valuteranno le capacità di calcolo e rappresentazione algebrica delle grandezze. Si studieranno dei test per verificare le attitudini alla professione medica, e si visiteranno ospedali, anche veterinari. Si assegneranno lavori di piccola ricerca, lavori creativi, si testerà quanta autonomia ha un bambino nel parlare in pubblico, se ha carisma, fermezza, modulazione, se si sente a disagio, se tende ad utilizzare un lessico limitato e formule canonizzate, se regge la situazione e ha il coraggio di fare affermazioni personali o al contrario tende a deferire o appoggiarsi ad altri. Durante tutte queste attività, gli insegnanti (potranno in effetti essere 2 o 3 per ogni classe - o anche 4 o 5 - occupandosi quindi, ognuno, massimo di 5 o 6 ragazzini) saranno responsabili del mantenimento dell'ordine e dell'educazione, di inculcare il valore del silenzio operoso, nonché coloro che monitorano e prendono nota delle difficoltà e delle reazioni dei ragazzi. Si faranno, all'indomani delle attività o nel pomeriggio, delle riunioni di classe volte alla valutazione generale, al confronto. Si parlerà sotto la guida dell'insegnante di ciò che si è fatto o visto, ognuno sarà invitato a descrivere le sue sensazioni positive o negative, l'interesse o la noia, il precoce affaticamento o al contrario l'aver retto la cosa più che bene e poter continuare a lungo, da poter fare anche gli straordinari. Si imparerà così a comprendere le ineccepibili differenze tra persona e persona, la soggettività dello sforzo richiesto per ogni mansione, le eventuali intolleranze fisiologiche o psicologiche. Lo scopo di tutto questo è di far comprendere ai ragazzi le fattezze e il reale funzionamento del tessuto produttivo, rendersi conto dei propri talenti e delle proprie incapacità, creare la conoscenza di quello che fanno gli altri, quotidianamente, nel sistema, e così maggiore giustizia nei giudizi reciproci, rispetto delle competenze e integrazione social-nazionale. Il compito di un'insegnante in questo contesto potrebbe apparire eccessivamente gravoso e necessitare di competenze multidisciplinari ed eccessive: in effetti, è così. Allora propongo di ovviare in questo modo: per tutte queste attività scolastiche verrà utilizzato il supporto degli anziani pensionati, ex-lavoratori che ancora conoscono i trucchi del mestiere: dunque tecnici, operai, cuochi, sarti, disegnatori, programmatori, scrittori, musicisti, attori, scienziati. Essi avranno la possibilità, anziché sprecare il proprio tempo al bar, di sentirsi nuovamente utili impartendo il loro sapere ai ragazzini, di fatto i loro nipoti, visto che i genitori saranno molto impegnati, e partecipando alla loro valutazione e selezione. Questo consentirà ad un tempo una riqualificazione dell'anziano, un più scorrevole passaggio delle tradizioni e coesione nazionale. È una bella idea che in ogni paesino gli anziani e i bambini imparino a conoscersi con questo proficuo scambio.

 

Inoltre, anche per gli adulti e a titolo di patrimonio nazionale, verranno realizzati una serie di film documentari volti ad illustrare l'intera attività lavorativa del paese: dunque i singoli mestieri e tutte le loro connessioni. A prescindere dal lavoro che faccia, chiunque avrà uno strumento affidabile per conoscere rapidamente come funzioni il proprio paese. Ciò sarà anche una garanzia di trasparenza.

 

Tutte le tipologie e i livelli dell'insegnamento, tutti i libri di testo e le modalità di valutazione (esami) dovranno avere un approccio pragmatico. Ad esempio, un professore di medicina che stia esaminando uno studente dovrà, indicativamente, prenderlo con sé nel corridoio che conduce alla sala operatoria e, saggiate con brevi domande le sue conoscenze teoriche, entrare nella sala, dinanzi al paziente o manichino che lo rappresenta e dirgli: ecco, lei ha appena sostenuto che [nozione medica sbagliata]e che [altra nozione medica sbagliata]ora, lo sa cosa succede se io [eseguo un'operazione coerente con tali nozioni sbagliate]??? Che il paziente [manifesta sintomi più o meno gravi per colpa sua, di cui dovrà rispondere]. Dunque, vada a studiare e si presenti al prossimo appello!

 

Ecco, questo deve essere lo spirito: quello di mettere il candidato di fronte a quello che dovrà concretamente fare e alle sole nozioni e abilità necessarie ad adempiere al proprio dovere. Questo valga per ogni professione, per accedere alla quale si userà sempre la pratica dell'affiancamento a un professionista già autonomo, che sarà a sua volta responsabile del suo corretto inserimento dinanzi all'Ufficiale del collocamento (o figura analoga che istituiremo).


Il concetto di meritocrazia applicato alla cultura impone tuttavia il seguente revisionismo.
Un uomo deve aver accesso solo alle informazioni che è in grado di giudicare correttamente.
Questo implica che la cultura elevata deve essere proibita al volgo, onde evitare che ne faccia scempio e si senta il diritto di mettere bocca su cose che non comprende, o addirittura le pratichi professionalmente e ci si guadagni da vivere, come nemmeno facevano gli uomini di lettera veramente geniali, nonché artisti e scienziati. Istruire indiscriminatamente le masse è un errore politico madornale: esse diventano arroganti.
La Cultura offre all'imbecille la possibilità di estendere il campo di applicazione della sua stupidità, per non dire dei Titoli di studio riconosciuti da Istituzioni di rango. Pertanto, la cultura sarà invero accessibile a chi la cerchi appassionatamente poiché ne sente il bisogno, ma non la si propinerà appunto, nelle scuole, a tutti i sempliciotti del Paese, che non ne hanno rispetto, e men che meno si conferiranno titoli di studio che abilitino ad attività professionali chi non ne è intellettualmente all'altezza. Sotto lo stato organicista, un titolo di studio sarà garanzia di competenza, non qualcosa di accessibile grosso modo a chiunque.

 

Il tempo libero è un valore non solo personale ma anche sociale per chiunque lo sappia utilizzare
in maniera proficua. Esso andrà assegnato con analogo criterio meritocratico: ci sono persone che lo sprecherebbero, o non saprebbero che farsene, ed anzi abbisognano di avere la giornata impegnata e organizzata dall'esterno perché non hanno interessi da coltivare né autonomia di giudizio. Sarebbe del pari un delitto il mettere catene o limiti temporali a chi massimamente ed autonomamente produce nella libertà. A chi possiede vincoli interni, non bisogna porre vincoli esterni. Ma in generale, volendo il partito organicista realizzare le potenzialità positive dell'uomo, esso deve organizzare la vita nazionale in modo da poter consentire a ciascuno di applicarsi a tutto ciò che davvero gli interessa, sia come attore o come fruitore, di acquisire le conoscenze necessarie, e fare la necessaria pratica. Tagliando tutto il lavoro superfluo e organizzando al massimo quello strettamente necessario, riducendo orbene la giornata lavorativa a 3 ore, questo sarà possibile, coadiuvati dall'altro lato dall'autorevole potatura della cultura superflua e scadente, ossia del culturame, di modo che la rimanente e buona possa essere smaltita in maniera rapida, piacevole, e prontamente applicabile. Un cittadino che possa coltivare i suoi interessi è senza dubbio molto più felice; questo lo rende gioviale, più rispettoso, onesto, meno malizioso, meno astioso, meno invidioso, patriottico, alacre, efficiente, nonché più piacevole e interessante nella vita sociale: il benessere e l'elevazione culturale inducono certamente ad un comportamento migliore, tagliano alla base il germe del dissenso e dissuadono dalla criminalità, e sono quindi un investimento proficuo per lo Stato. D'altro canto, se lo Stato non felicita il cittadino, giustifica sempre in parte il dissenso, la critica e l'infrazione della legge, se non addirittura, nei disadattati creativi, le ambizioni rivoluzionarie.

 

Le giornate vanno strutturate nella maniera più sana: l'allenamento fisico va fatto nelle giuste ore del giorno, bisogna poter mangiare quando è opportuno, studiare quando la mente è lucida e vorace, e in generale il lavoro - insano nella società capitalista - non deve strozzare, marginalizzare o ghettizzare le esigenze personali: a patto che il benessere venga poi prontamente applicato e reinvestito in benefici sociali.

 

È opportuno quindi inserire il Lavoro a Flusso Continuo e la Domenica Rotante: non ha senso che le attività siano chiuse quando qualcuno potrebbe averne bisogno proprio a quell'ora, anche notturna talvolta, e che ci sia un giorno della settimana in cui la maggior parte di uffici e negozi sono chiusi e alcune attività sovraffollate di clienti, mentre nel resto della settimana è il contrario. Nei giorni di festa i nostri bisogni si presentano con le stesse modalità e con la stessa puntualità con cui si presentano gli altri giorni: nello stato organicista le ore del giorno e i giorni della settimana sono quindi equipollenti e acquistano un valore differente solo in base alla sequenza personale con cui li si impiega, che ovviamente non è la stessa per tutti in un mondo organizzato. Pertanto, con il rispetto di ciò che non si può fare di notte per ragioni ambientali o biologiche, la maggior parte delle attività sarà svolta ventiquattro ore su ventiquattro, e ogni giorno dell'anno uffici e negozi saranno aperti regolarmente. 

 

L'Apprendistato avrà i seguenti caratteri economici. Un apprendista lavora al di sotto delle potenzialità produttive di un lavoratore già formato: egli parte da zero e attua una accelerazione che disegna un'area produttiva, fino a giungere alla qualifica ovvero alla produttività di regime. Questa fase accelerativa (formativa) necessita in eguale misura dell'apporto energetico dell'apprendista (che dovrà sforzarsi) e del datore di lavoro che dovrà trainarlo fino all'autonomia: entrambi questi sforzi vanno remunerati dallo Stato (il responsabile dell'integrazione lavorativa di tutti i cittadini). Dunque il giovane avrà il suo stipendio statale da apprendista e il datore di lavoro un'integrazione (sempre statale) per il suo ruolo di insegnante. Quanto al contingente produttivo comunque realizzato nella fase di apprendistato, resta nel patrimonio dell'azienda, che verrà redistribuito tra i lavoratori secondo le percentuali pattuite per legge. Il tirocinio, o apprendistato, verrà svolto indicativamente dal ragazzo nella stessa struttura in cui verrà alla fine assunto, poiché nella sua zona di residenza vi sarà sicuramente la filiale dell'azienda nazionale di riferimento.

 

Qualora le necessità personali o quelle nazionali impongano a un cittadino di cambiare lavoro, egli riceverà un assegno integrativo mensile per vivere (pari 2/3 del suo vecchio stipendio: dacché non è responsabile della sua temporanea perdita di lavoro) e lo Stato organizzerà per lui gratuitamente il corso di formazione eventualmente necessario per essere ricollocato. La ricerca di lavoro, sotto il sistema liberista, è di una irrazionalità grottesca, e irresponsabile da parte dello Stato verso i cittadini. Non solo è difficile che domanda e offerta entrino davvero in contatto, nonostante gli annunci, i caotici siti in rete, i centri per l'impiego e le agenzie, ma anche qualora esse si incontrino, è frequentissimo che la corrispondenza sia molto approssimativa. Addirittura la circostanza in cui una persona si trova ad andare a bussare a tutte le porte in cerca di un lavoro qualsiasi è segno che la civiltà è vicina a morire. Noi razionalizziamo al massimo la produzione nazionale e rendiamo scientifica la ricerca di un lavoro, o meglio il Collocamento in sé stesso, perché l'elemento "ricerca" sarà un'operazione molto agevole, e quasi banale. Infatti il tessuto produttivo è monitorato, così i profili professionali dei cittadini, e costantemente aggiornati: da un lato si sa con precisione di cosa c'è bisogno e dall'altro si sa cosa la persona è precisamente in grado di fare, e non ci saranno mai due "candidati" ugualmente aspiranti ad un posto, sicché non saranno necessari concorsi.

 

Il Ministero e il Cittadino si troveranno sempre d'accordo sul fatto che sia meglio per quest'ultimo il posto DUE anziché il posto UNO, il TRE o il QUATTRO. Analogamente, non sarà necessario redigere alcun contratto di lavoro: gli impegni saranno semplicemente rispettati da ambo le parti perché il sistema a meritocrazia integrale lo consente. Non vi saranno dunque sindacati o magistratura del lavoro, perché questo presuppone un sistema non-meritocratico.

 

Lo Stato avrà un ORGANIGRAMMA capillare, e in ogni casella ci sarà semplicemente scritto un NOME: quello del cittadino che ricopre temporaneamente quel ruolo. Il resto sarà automatico, scontato e rispettato: i suoi doveri, i suoi diritti, la sua remunerazione, le ferie, la malattia, le modalità di sostituzione. Certo verrà messo agli atti ciò che il cittadino ha fatto, anno dopo anno, orbene il suo curriculum, e le sue competenze in divenire.

 

Sarà fondamentale il concetto di Esperienza, debellato quello di Gavetta, tipicamente italiano: esperienza vuol dire crescere gradualmente nella professione, gavetta vuol dire essere messo a fare attività degradanti e non attinenti a ciò che si è studiato e sottostare alle bieche prepotenze personali di un superiore, al fine di salvare uno stipendio altrimenti mancante. Se hai studiato da dirigente d'azienda, farai tirocinio presso un dirigente d'azienda, non ti occuperai per sei mesi di fotocopie, poi di consulenza, poi di cosa non so, ed infine forse del tuo vero mestiere. Non esisteranno corsi di studi che non conducano con certezza ad una professione.

 

Abbiamo detto che un ragazzino accederà agli studi professionali subito dopo le scuole elementari. Questo si giustifica in due ragioni: la prima è che il talento – e quindi la voglia di coltivarlo e portarlo a frutto – sono qualcosa di precoce; la seconda è che il processo richiede molto tempo, sicché è meglio partire presto. Un aspirante ingegnere deve letteralmente crescere in mezzo a macchinari, progetti e calcoli matematici, entro i quali s'inerpichino la sua ambizione, la sua fantasia creativa, la sua ammirazione per i grandi e il desiderio di imitarli. All'Università si congestionano le menti degli studenti con programmi troppo densi per poter essere assimilati nel corso di studi, solitamente della durata di cinque anni, soprattutto senza il supporto progressivo della pratica e considerando che si è partiti molto in ritardo (a 18-20 anni) rispetto all'età ideale. Se all'università ti dai da fare, in cinque anni diventi Ingegnere: ma lo sei solo sulla carta. Dal punto di vista operativo puoi essere ancora un totale incapace. Idem per la Medicina, per la Chimica, per la Biologia, per l'Economia e il Commercio, per la Giurisprudenza, per la Psicologia... Se ti laurei, nel giro di quattro anni, in Lettere e Filosofia, hai un'infarinata canonica dei principali autori, ma questo non ti autorizza ancora ad insegnare nulla che non possa essere agevolmente letto in un qualsiasi manuale. Per padroneggiare davvero la storia del pensiero e la letteratura, devi studiare trent'anni e sei ancora un principiante, anche qualora tu abbia supportato lo studio con una vita intensa e in sé stessa illuminante. Se poi sei un creativo, se sei orbene in grado di produrre opere originali, allora è meglio che a scuola tu non ci vada proprio, perché ne saresti danneggiato e intralciato. La scuola ti dà le "basi" di una disciplina, così dicono. Ma tali basi sono precisamente ciò che il genio è capace di svellere, per fondare una scienza nuova: sono orbene i limiti della scienza presente, presentati come dogmi, il superamento dei quali è a dir bene lo scopo per cui un Genio è venuto al mondo.

 

È confermato, pertanto, che quando un ragazzo risulta difficile da comprendere, si comporta in maniera strana, esprime opinioni eccentriche, è insofferente agli insegnamenti e alle imposizioni, assume un temperamento malinconico, sembra guardare lontano, oltre il seminato, chissà dove, ed ostenta una gran sicurezza in sé stesso, alternando tuttavia fasi di esaltazione di sé, fino all’albagia, a profondi sensi di colpa, perdita dell’autostima e depressione... lo si deve lasciar fare quello che vuole, dargli eventualmente una borsa di studio per sostenere un'attività autodidattica: è infatti probabile che siamo di fronte ad un genio, di cui vedremo i frutti soltanto in ritardo.

 

Per ottimizzare gli studi, bisogna quindi scartare tutto ciò che non è strettamente necessario all'attività lavorativa preconizzata e ad indossare le vesti di cittadino. Il resto sia pratica, pratica, pratica. Un dietologo può benissimo ignorare come sia fatta una proteina, ma non può ignorare quante ce ne siano in un tuorlo d'uovo. Un biologo invece può ignorare il quantitativo proteico dei vari alimenti, ma non può ignorare la struttura delle proteine. Tale esempio sia sufficiente ad illustrare il concetto.

 

Il Progresso, in ogni ambito, implica un processo di crescente specializzazione: questo significa che ciò che una volta veniva fatto da una persona sola, causa l’ipertrofia delle conoscenze d’ogni branca ora viene fatto da una équipe, formata da un organizzatore (che ha nozioni generali e rappresenta il Genere – ossia il connettore delle specie) e un preciso numero di specialisti. Ora, se uno specialista deve a un bel momento studiare, oltre al suo, anche il programma degli altri specialisti, o comunque un programma molto simile, egli non è più uno specialista... è un tuttologo: se non fosse che tale figura non esiste, perché nessuno può acquisire tutta quella roba, tantomeno in pochi anni, e di Leonardo da Vinci ce n’è stato uno, ed è vissuto cinquecento anni fa, agli albori della scienza moderna. Si vanifica in questo modo il concetto di progresso.

 

Quando guardi in un abisso, l’abisso guarda in te. Io ho incontrato l’abisso della filosofia quando avevo 16 anni e mi ci sono tuffato d’istinto… Perché sono un Filosofo… se non lo fossi stato, avrei titubato, intimorito dalle lande inesplorate e buie della conoscenza, dalla mancanza di una guida e di una bussola, dalle sicurezze che stavo perdendo, da ciò che avrei perso lungo il cammino, dall’incomprensione del prossimo e dai suoi giudizi negativi… Il buon giorno si vede dal mattino.  Vuoi valutare se uno può diventare un nuotatore? Digli di tuffarsi in acqua e di nuotare… Se parte d’istinto, senza paura, si tuffa discretamente e anche in acqua si sente a suo agio, può farcela, altrimenti NO. Ti pensi politico? Va in strada a vedere un banchetto di raccolta firme e distribuzione di volantini, recati ad un comizio e ad una manifestazione di piazza: se ti senti a disagio, LASCIA PERDERE, non è il tuo ambiente! Se si vuol fare una prima scrematura degli inadatti ad un lavoro,

non gli si devono fare tanti discorsi teorici introduttivi a tale lavoro, ma mostrargli la sua concretezza quotidiana, e chiedergli come si sente.

 

Non esiste applicazione senza talento: dacché solo il talento può essere applicato e VUOL essere coltivato. Il nostro potenziale oggettivo è il solo soggetto che ambisce a realizzarsi e può essere realizzato. Di conseguenza, non si parli di una fantomatica VOLONTÀ che potrebbe conseguire dei risultati anche in assenza di un reale talento: la volontà non fa un passo oltre il talento, perché non puoi dare quello che non hai. Inoltre, il desiderio di conseguire un OBIETTIVO non si chiama volontà, ma VELLEITÀ, mentre affiancato alla capacità di affrontarne i mezzi e dunque all’amore degli stessi si chiama a buon diritto VOLONTÀ, perché è quella che consegue nell’AZIONE e nella VITTORIA, al contrario della velleità che ci fa solo sognare e sospirare, che muove orbene la mente ma non il corpo, al ché noi diciamo che “vorremmo arrivare lassù” … (sottinteso) SE ne fossimo capaci. Non esiste dunque la voglia senza la forza, senza la superiorità rispetto agli ostacoli che si frappongono tra noi e un obiettivo, e chi si applica maggiormente e consegue risultati migliori spesso attribuisce ad una ipotetica “mente” dei meriti che spettano al suo corpo (in cui è compreso anche il cervello, qualora si valutino prestazioni intellettuali, e che richiedono eventualmente anche lo studio). Quello che non si applica è perché non ne ha, perché è scarso: se ne avesse, avrebbe anche voglia di applicarsi, come qualsiasi vera forza, qualsiasi potenziale reale. Per cui la pigrizia è una debolezza del corpo oppure del cervello, ma in nessun caso può essere ascritta ad una sorta di libero arbitrio. Se non si vuole l’obiettivo, non si può parlare di pigrizia, ma di disinteresse: si parla dunque di pigrizia quando si vuole l’obiettivo ma non si hanno le forze sufficienti per superare i mezzi, sicché sul piatto della bilancia pesa di più la fatica del piacere, e noi “molliamo”. Tutti vorremmo teoricamente tutto, ma siamo capaci solo di fare certe cose, e meno male: altrimenti non sussisterebbe la società, basata sulla divisione dei ruoli, e chiunque, potendo raggiungere qualsiasi obiettivo, non saprebbe a quale dedicarsi e di fatto non ne raggiungerebbe nessuno. Nessuno orbene SCEGLIE (né potrebbe scegliere) di essere un perdente: semplicemente LO È oppure NON LO È. Ma senza i perdenti non ci sarebbero i vincitori.

 

L’intelligenza ha una finalità sociale: questo significa che possedere un determinato grado o tipo di intelligenza ti predestina a svolgere un preciso ruolo sociale o storico. Definiamo l’Intelligenza la fisionomia dello spirito: come quella del corpo, essa ti rende adatto o inadatto a praticare determinati sport. Sono state saggiamente create le varie specialità dell’atletica e le categorie, ma non è stata fatta la stessa cosa con le discipline dello spirito. Sentenziare che un ragazzo “è intelligente, può far quello che vuole” è la più grossa eresia educativa possibile. È una frase stupida, insipiente e disfattista. Noi abbiamo un Destino: e si può quasi dire che esso sia sentenziato e preformato dal nostro livello di intelligenza. E nessuno vuole fare davvero altro da quello che sa fare meglio. Il sistema deve dargliene la possibilità e i mezzi esteriori, quando, il più delle volte, glielo impedisce in modo criminale.

 

Tuttavia: DUCUNT VOLENTEM FATA, NOLENTEM TRAHUNT…

 

Per tutto quel che riguarda la formazione extra-lavorativa della persona – giacché la vita non si esaurisce nel proprio compito professionale – ebbene non può essere messa a carico della scuola, ma ognuno deve provvedere da sé: lo Stato può e deve mettere il soggetto in condizioni di poter attingere facilmente a qualsiasi informazione abbia bisogno, ma non si può chiedere dell'azione formativa scolastica un tale grado di personalizzazione, di precisione, da arrivare a comprendere tutte le particolarità dei singoli, i rivoli della sua sete conoscitiva, che chiedano di essere riempiti affinché egli si senta appagato e completo: essa deve fornire nozioni standard, che ognuno assimilerà a suo modo.

 

È necessario inculcare ai giovani una mentalità coraggiosa e consapevole dei propri diritti, parallelamente a quella dei doveri: non è saggezza né dignità il sottostare ad una ingiustizia, sopportarla per salvare quel che si possiede. Al contrario: quando uno ha fatto il proprio dovere verso il paese (o è ben disposto a farlo) ora possiede il diritto (ossia il dovere verso sé stesso) di rivendicare ciò che gli spetta. L'insubordinazione è un diritto qualora il tuo superiore lo sia solo di ruolo ma non di fatto, e ti comandi qualcosa di ingiusto. Questo vale anche nell'ambito militare: il soldato dimostra onore e coraggio quando si rifiuta di eseguire un ordine dissennato.

 

Il servizio militare tornerà obbligatorio. Da un lato il mestiere delle armi è e deve rimanere un mestiere come tutti gli altri, per il quale occorre essere tagliati e che non si può imporre a chiunque pensando di rispettare la meritocrazia integrale. Tuttavia, quello di difendere la patria in caso di guerra è un dovere particolare che attraversa tutti gli strati sociali a prescindere dalle proprie competenze specifiche, e deve pertanto essere formato, nei suoi fondamenti e per far fronte ad una emergenza, in tutti i cittadini maschi (ed anche le donne – pur non combattendo, o combattendo solo volontarie - dovranno essere istruite a come cambieranno i loro compiti in una nazione in stato di guerra). Ci sarà dunque un esercito regolare e un esercito di riservisti (ossia tutti i cittadini maschi in salute) da poter richiamare in caso di necessità, in qualsiasi momento. Ogni ragazzo sarà chiamato alla leva al compimento del 18° anno di età. Chi non abbia fatto questa esperienza appunto tra i 18 e 20 anni (età ideale per più di una ragione) ne risente durevolmente nello spirito, se non nel corpo, come ad aver mancato un rito di passaggio, che contemporaneamente al valore formativo del singolo costituisce anche una occasione per cementare il legame tra cittadini appartenenti ai più disparati mestieri e zone d'Italia. Tuttavia, gli ufficiali dovranno essere dei veri maestri per i giovani, ed il servizio di leva un'occasione veramente seria ed istruttiva, che deve realmente preparare il cittadino all'eventualità di una guerra, e non sarà dunque una formalità, una perdita di tempo o un'esperienza abborracciata, frustrante o mortificante. Il servizio militare andrà dunque ridefinito e riqualificato. Per farlo, si dovrà attingere alle migliori tradizioni storiche di questo settore: non solo italiane, ma anche straniere.

 

Non ci saranno valutazioni in decimi o in trentesimi: ogni specifica competenza sarà ACQUISITA o NON ACQUISITA, e attesterà il diritto o il non diritto alla sua pratica professionale. Sotto l'attuale sistema, un ingegnere che si laurei con un voto basso, potrà fare le stesse cose di un 110 e lode. Ma un tale ingegnere ha acquisito solo alcune capacità, in pieno, ed altre non le ha acquisite in pieno e quindi non le ha acquisite, non è adatto a ricoprire determinati ruoli. Non vi saranno dunque ingegneri mediocri ed ingegneri eccellenti: quelli definiti mediocri sapranno invero eseguire solo i progetti più elementari, e di questi dovranno professionalmente occuparsi, mentre gli ingegneri definiti eccellenti sono quelli che sanno fare anche progetti oggettivamente difficili: avranno un ruolo più alto e stipendi più alti.

 

L'Attività Fisica dovrà essere il complemento di quella studiosa (o lavorativa). Ma non sarà gestita dalle singole scuole, sarà di fatto un doposcuola e un dopolavoro organizzato da un Istituto nazionale a sé stante, dipendente dal ministero della Sanità e avente sedi in ogni Regione, Provincia e Comune: tale Istituto gestirà palestre, palazzetti, laddove i cittadini potranno esercitarsi ed essere seguiti da professionisti dell'educazione fisica nelle loro specifiche esigenze; organizzerà escursioni e gare non professionistiche per ogni disciplina. Lo Sport professionistico verrà invece gestito in ogni suo aspetto da un'altra Organizzazione Nazionale. L'insegnamento privato, anche in questo settore, e come l'attività economica privata, non esisterà: ogni insegnante di discipline sportive sarà inquadrato nelle organizzazioni nazionali e qui potrà lavorare. I regolamenti e l'etica dello sport, i trattamenti economici e disciplinari, saranno stabiliti dall'Organizzazione nazionale. Nelle competizioni, ognuno gareggerà per la squadra della zona in cui risiede [questa sembrerebbe un'eccezione al principio che ognuno deve portare il proprio talento laddove meglio possa essere sfruttato ai fini nazionali ma se ci pensiamo meglio, li serve proprio in questo modo e dunque non rappresenta un'eccezione, sebbene sottragga la possibilità che tutti i giocatori migliori si ritrovino nelle stesse squadre facoltose, a dare spettacolo a spese di quelle piccole, e come controparte crea maggiore equilibrio, spirito di miglioramento e coesione nazionale]. Gli atleti migliori guadagneranno di più, proporzionalmente al merito, tuttavia nell'ottica di sottrarre il mondo dello sport all'egida del capitalismo, le squadre non saranno società private, ma pubbliche, finanziate da Regione, Provincia e Comune. Non ci sarà mentalità mercenaria né fine di lucro, nello sport, non ci saranno sponsor o altre fonti di strumentalizzazione. Si giocherà per divertirsi, per stare in forma, per esprimere il proprio talento e per forgiare e celebrare i valori nazionali. Si uscirà dal monopolio mediatico del calcio e si darà il giusto spazio promozionale a tutti gli sport, compresi quelli considerati minori: tali discipline acquisiranno il dovuto prestigio e gli atleti saranno pagati meglio. Sempre sotto l'egida dello Stato, potranno essere create Effigie delle partite memorabili e degli atleti, ed anche calendari, libri, gadget, magliette, felpe, sciarpe, giubbotti, eccetera; tuttavia il merchandising (che non a caso cambierà nome) avrà una portata limitata e coerente con la filosofia nazionale, non sarà mai una bieca speculazione. Il Doping non sarà contemplato perché in Italia sarà vietata la produzione di sostanze dopanti o l'importazione delle stesse dall'estero. Non essendoci produttori privati, sottratti all'egida dello Stato, quest'ultimo sarà sgravato anche dall'onere dei controlli tramite agenzie. Nella nuova Italia, tutto quello che si può usare, lo passa il Ministero.

 

Per ottimizzare il tempo – e consapevoli che sprecarlo è un reato contro la vita – occorre possedere la conoscenza di cosa determina la felicità. In ogni caso, per garantirne gli elementi, occorre lavorare in maniera efficiente, ed anche organizzando il lavoro nazionale al meglio, possiamo dire che una mezza giornata vada comunque dedicata ad esso. Ora, a cosa dedicare primariamente l’altra mezza? La nostra concezione è che lo stato debba promuovere la salute nella sua accezione più ampia, fin dalla prima infanzia e per tutto il percorso della vita. La salute comprende anche la forza e la bellezza, il sentirsi a proprio agio nel proprio corpo, renderlo prestante per ciò che s’ha da fare e più gradevole agli occhi esterni. Bandendo ogni ipocrisia, occorre riconoscere l’importanza dell’aspetto edonistico della vita, e che in esso l’occhio vuol la sua parte. Il grosso dei piaceri viene dal corpo sano e bello, in particolare per il suo influsso sulla vita affettiva e sessuale. Lo stato creerà, disseminandoli su tutto il territorio nazionale, dei Poli della Salute, volti alla sanificazione della persona, ed ogni cittadino potrà contare su una equipe di riferimento composta (nell’ordine) da un medico, un allenatore, un estetista, un esperto di vestizione. Ovvio che non dobbiamo essere tutti dei modelli, né tutti perfetti, ma l’investimento più proficuo che possa fare uno stato è quello sulla salute fisica dei cittadini, sulla realizzazione e mantenimento del loro stato di forma ottimale, la cura estetica e posturale con tutti i trattamenti specifici, ed infine la vestizione come complemento del corpo, studiata sulla persona e non sull’improbabile e commerciale immedesimazione in modelli precostituiti e differenti dal nostro fisico. Nello stato nazionalsocialista, la moda non è un vezzo né uno spreco di denaro, ma uno strumento volto a migliorare oggettivamente l’aspetto dei cittadini in ogni luogo in cui essi lo esprimano: e par quasi ovvio che gli indumenti debbano essere ad un tempo belli e confortevoli – e, per quanto possibile, resistenti e durevoli. Da ciò risulterà un beneficio generale, e in particolare per la vita relazionale, dacché molte di più saranno le persone appetibili, e tutti lo saranno di più, di modo che la scelta del partner possa basarsi maggiormente su fattori spirituali (quelli economici saranno stati già grosso modo parificati) e da ciò nasca un’armonia maggiore nelle coppie. I poli della salute saranno per tutti una sorta di seconda casa, nel senso che saranno frequentatissimi una volta riconosciuto il loro valore primario in ordine alla realizzazione della felicità. Annullato lo svenevole e inaffidabile pluralismo dato dalla democratizzazione e venalizzazione della scienza, i metodi di allenamento e le diete saranno quelli ufficiali: saranno affidabili, e cambieranno solamente assecondando un progresso reale della scienza.

 

Alla facoltà di conservazione dei beni culturali dovrebbe corrispondere una facoltà di distruzione dei mali culturali.


Quando vediamo proliferare i libri pensiamo sia aumentata la cultura; in realtà è aumentato il degrado. Infatti, su ciò che va bene si scrive poco, lo si gode e lo si porta avanti, mentre gli eventi negativi o errori innescano una serie infinita di conseguenze sulle quali si sfornano opere. Pertanto, l'ipertrofia culturale è lo specchio dell'ipertrofia del degrado. Il pluralismo interpretativo complica le cose. Infatti, solo una persona autorevole dovrebbe esprimersi su ciascun argomento, orbene indicare una soluzione. Il mondo della cultura dovrebbe prendere ad esempio il mondo della ferramenta: vi è un articolo per ogni funzione e nessuno è inutile. Ma anche qui, il pluralismo del libero mercato fa sì che ci siano sette pinze che non funzionano per una sola che funziona davvero.

 

Si deve assolutamente riqualificare la scuola pubblica, assorbendo tutti i migliori insegnanti e formandoli alla filosofia nazionale; non permettere alle famiglie facoltose percorsi privilegiati in scuole private sulle quali lo Stato non avrebbe controllo e che avrebbero finalità, contenuti e metodi propri. La stessa cosa vale per la Sanità e per ogni altro settore. Il capitalismo pone la sua meritocrazia nell'attività privata: laddove chi è migliore e più s'impegna raggiunge guadagni maggiori. Nel nostro sistema non sono date l'incompetenza e lo scarso impegno: la meritocrazia è spostata nel pubblico e ivi si guadagna di più di quello che si guadagnava nel privato sotto il capitalismo. Il nostro non è un sistema assistenzialista: premia comunque il merito, e "pubblico" non sarà sinonimo di "mediocre" né di "qualunquista", sotto lo Stato non ci si potrà permettere di lavorare di meno o peggio, e non si regaleranno stipendi a nessuno.

 

Il servizio sanitario sarà erogato nel seguente modo. Le strutture, le apparecchiature e i medicinali saranno a carico dello Stato, mentre la prestazione medica sarà pagata dal paziente. Con una eccezione: vi sarà un'assicurazione nazionale che copre tutti i cittadini in caso di gravi traumi o malattie che comportino interventi e terapie molto costosi, di fatto al di sopra delle loro possibilità. Il parziale pagamento delle cure da parte del cittadino vorrebbe impedire che quest'ultimo si faccia visitare o ricoverare per qualsiasi sciocchezza.

Per quanto sia giusto affidarsi ai medici (come agli specialisti di ogni campo) è ragionevole che ci sia una collaborazione tra cittadini e specialisti, in tal caso della medicina, almeno per quanto riguarda la prevenzione delle malattie, causate spesso da comportamenti o dieta insalubri, e i cittadini sappiano effettuare almeno grossolane diagnosi dei loro sintomi, per rivolgersi quindi, in tempo, al dottore. Per rendere possibile ciò, inseriremo in ogni percorso di studi un corso di medicina di base e uno sulla ottimale fruizione del servizio sanitario nazionale, che partirà dalla conoscenza di come è strutturato. Ogni cittadino dovrà essere anche reso consapevole del suo corpo e di tutto quel che nel bene e nel male ha origine ereditaria e lo espone a pericoli o al contrario lo rende più tranquillo in un determinato settore della salute.

 

La suddivisione amministrativa in Regioni, Province e Comuni deve rimanere, in ottemperanza al modello delle scatole cinesi. L'amministrazione italiana va solamente sfoltita e resa più efficiente e onesta: ma non depauperata nella sua struttura. Nella scatola grande può invero stare direttamente anche la scatola più piccola: il problema è che "balla". Mentre se ci metti anche tutte le scatole intermedie, l'insieme è più solido. Ci deve essere coerenza sul piano nazionale e questo significa che nessuna istituzione locale sarà propriamente autonoma, e dovrà sempre rispondere del suo operato all'istituzione superiore nell'ordine gerarchico, ma avrà autonomia gestionale sul proprio territorio. Non si può peraltro essere coerenti laddove manchino dei passaggi logici, delle proposizioni, che sono dunque il contenuto della necessità, la garanzia del passaggio di verità dalla premessa alla conclusione. Per un problema che sorge nella cittadina di Argenta, si deve, per quanto possibile, risolvere il problema in sede. Se non ci si riesce, si farà rifermento a Ferrara, senza scomodare Bologna a meno che il problema non sia davvero grave e rientri di fatto nell'ambito di competenza degli amministratori regionali. Se la questione è ancora più grave, arriverà a Roma, ma sarà comunque presente il sistema di filtraggio costituito dalla struttura amministrativa.

 

Al pari della Formazione, così l'Informazione non sarà un affare privato, ma sempre e comunque pubblico. Le case editrici, quelle discografiche, cinematografiche, le radio, le emittenti televisive, i giornali, le riviste, nonché la rete informatica, saranno tutte entità alle dipendenze del Ministero dell'Informazione, altrimenti detto Ministero della Propaganda, o della Cultura Popolare. Vi sarà un'opera per ogni precisa funzione, commercializzata in vari formati a seconda delle esigenze della fruizione, ed è fuor di dubbio che i messaggi veicolati debbano essere coerenti tra loro e con gli scopi del partito che coincidono con l'interesse nazionale (e di quanti altri all'estero possano scoprirsene affini). Non ha senso che, come avviene sotto il capitalismo, l'offerta informativa sia frammentata in innumerevoli soggetti che, a condizioni proprie, con finanziamenti propri, per fini propri, in forme proprie, con opinioni e giudizi propri, senza controlli statali, dispensano determinate informazioni a chi si imbatta nelle pagine della tal rivista, del tal giornale, della tal collana editoriale, del tal sito, del tal opuscolo, nel tal programma, nel tal romanzo, nel tal comunicato, nel tal film, nel tal disco: e questi privati debbano farsi strada sgomitando nel mercato e pagando campagne pubblicitarie che conquistino il loro spazio visibile. Oltre al problema ovvio dell'arbitrarietà di tali conoscenze, il cittadino si annega nella molteplicità delle fonti e non sa di preciso dove trovare una precisa informazione, sicché deve fare una ricerca laboriosa, analoga a quella operata da chi elabora una tesi di laurea o uno studio qualsiasi, e poi vagliare quelle disponibili; si trova ad usare i motori di ricerca sul web (parziale ma non risolutivo rimedio alla giungla informativa), o "yahoo answers" alla spero in Dio. Nel nostro nuovo sistema, per ogni settore della cultura, le opere legittime sorgeranno dal seno del ministero, nel quale saranno assorbiti tutti gli artisti che intendano lavorare per il paese. Quelli che non staranno a queste regole, se ne andranno a lavorare all'estero, se davvero sperano di trovare condizioni migliori per la realizzazione della loro arte e di "non dipendere da nessuno". L'industria discografica, nel capitalismo, è cinica e dittatoriale, e in generale trovare il proprio spazio e riconoscimento di valore non è affatto garantito, spesso è precluso. E “libertà d'espressione” è un termine teorico che non corrisponde a verità, perché devi fare i conti con l'economia e le sue lobby e con il politicamente corretto. Qui da noi c'è la libertà guidata: valorizziamo tutti i talenti, li proteggiamo, li coltiviamo, li impieghiamo, li paghiamo, li onoriamo, ma non gli lasciamo fare quello che vogliono per un interesse privato che non collimi con quello nazionale stimato dai vertici del partito.

E in effetti gli artisti migliori, ovvero i più intelligenti, non avrebbero di tali interessi ed opinioni contrastanti con quelli di un partito nobile, come lo è il nostro, e lavorerebbero per il governo con gratitudine e onore. C'è una profonda ipocrisia nei gruppi musicali che, nei loro testi, deprecano il mondo moderno e poi si arricchiscono in base alle sue logiche, conferendo poi alla loro musica solo un valore estetico e consumistico, ma non anche un valore etico, vale a dire un cambiamento dei comportamenti della gente e degli artisti stessi, in rivolta concreta contro il sistema. Noi imposteremo un sistema giusto e pertanto i contenuti dell'arte cambieranno in maniera spontanea: il talento degli artisti non sarà piagato dal peso e dal fiele dell'ingiustizia, da sublimare nella creazione, ma quest'ultima svetterà a livelli impensati su una base di benessere. Le opere avranno un valore didattico ed etico, non solo estetico: influenzeranno la realtà. Non è affatto escluso l'utilizzo dei social network per la diretta e libera espressione del pensiero e della creatività del cittadino, sebbene, come in ogni regime che si rispetti, i contenuti siano monitorati e lo Stato di riservi il diritto di censurare o rimuovere ciò che non è lecito (come del resto avviene anche oggi sotto le pseudo-democrazie, in modo tacito e subdolo). Di certo è peggiore la preclusione che opera l'attuale sistema verso tutte le opere di cui non si prevede il successo commerciale: non perché scadenti ma perché di nicchia. Nel capitalismo contano quasi soltanto i grandi numeri, non la qualità: a discapito di molte eccellenze, di personalità e opere che, da sole, potrebbero anche rappresentare una rivoluzione. Un'opera di nicchia può essere quella che per la sua difficoltà richiede il lavoro maggiore di pochi esperti, magari uno soltanto, che ci si dedica anima e corpo in uno sforzo pluriennale e sacrificale che va pagato dal governo, anche se di quell'opera dovessero infine esserne stampate solo tre copie, perché sono quelle necessarie a metterne in pratica i contenuti, da parte di professionisti.

 

Lo scopo dell’Arte, almeno in un’accezione seria della stessa, è quello di contribuire, ognuna con i suoi strumenti, alla sanificazione e al corretto sviluppo di una comunità. Ben lungi, dunque, dal significare genericamente “espressione”, tantomeno “espressione dell’io”, con tanto di concezioni soggettive per lo più erronee, intemperanze e sfoghi personali e magari in forme brutte e inadeguate. Pertanto, l’arte nobile, sottratta all’individualismo bieco e alla mediocrità, deve essere o diventare necessariamente un’Arte di Stato. E uno Stato serio deve premurarsi di tenere controllato lo stato dell’arte, così come quello della scienza, della filosofia, della religione, della Cultura in generale. Disinteressarsene sarebbe irresponsabile. Per espletare correttamente la funzione che le è stata attribuita, l’arte deve tenere conto dell’idealità ma anche della realtà umana cui si rivolge: i messaggi da essa veicolati, devono passare, quindi avere un linguaggio consono ad essere avvertiti e compresi. Essa non avrà dunque forme rigide e precostituite, ma vivrà una fase sperimentale, a dire il vero costante, volta a saggiarne e perfezionarne gli effetti. L’arte amena non può essere del tutto soppressa anche in uno Stato che sposi una visione austera della vita: essendo essa funzionale alla sanificazione del paese, almeno in certa misura. La risata è profondamente sana, ma deve comunque essere di qualità e non eccedere nei tempi, sottraendo terreno alla serietà. Gli italioti sembrano felici di vivere in un paese dove nessuno risolve i problemi, ma tutti ci possono ridere sopra guardando la TV. Nell’era berlusconiana e oltre, l’ameno è stato usato biecamente a scopo politico con l’intento di instupidire le masse e deviare la loro attenzione dalle problematiche serie e reali che affliggevano il paese, e sposato altrettanto biecamente a logiche commerciali che hanno danneggiato parimenti il paese e promosso il consumismo irriflessivo e l’individualismo. Ecco un esempio di come l’amenità possa degenerare e veder neutralizzata la sua funzione sana. Quanto alla Censura, occorre mettere in chiaro che è sempre esistita e sempre esisterà, laddove esista un sistema politico. Nei decenni del dopoguerra, quanti artisti hanno dovuto modificare una frase perché “non si poteva dire”, e se successivamente si è invece potuto dire non è perché la libertà avesse guadagnato terreno, ma perché quei messaggi non erano più pericolosi per il sistema e i suoi padroni, sicché non v’era più motivo di censurarli: mentre ora la censura si è spostata su altri tasti e tematiche. Ma non è mai sparita. Il sistema detta sempre una linea, con la quale tutto ciò che vive ed è istituito sotto di esso deve essere coerente: il Capitalismo non fa eccezione. Esso promuove la libertà di cui ha bisogno per raggiungere i suoi scopi. Nessun sistema può promuovere la libertà assoluta, perché la legge è per definizione una limitazione della libertà, volta ad uscire da quello stato di natura in cui vige la legge della giungla: uno stato pre-sociale dunque, pre-statale, in vigore prima del cosiddetto contratto sociale, con il quale i cittadini si privano di una parte della loro libertà, resa inutile dall’incertezza di conservarla, consegnandola ad una autorità centrale che decide per tutti e impedisce la guerra sconclusionata di tutti contro tutti. Rimando qui il lettore alla postilla numero 8 posta in fondo al libro, volta a corroborare la tesi secondo cui l’espressione è ben lungi dall’essere un diritto inalienabile dell’uomo, per la mera ragione dei danni che crea qualora il contenuto sia falso o la forma inadeguata.

 

La letteratura scientifica deve essere nondimeno artistica ed avere un ottimale potere comunicativo. Pertanto i testi verranno redatti da un esperto della disciplina scientifica affiancato da uno stilista della lingua italiana. Non vi saranno svariati testi su ogni questione, ma uno soltanto: chimica inorganica per farmacisti, chimica inorganica per chimici industriali, chimica inorganica per biologi, ecc.... e sarà l'ufficio stampa della facoltà di Chimica, allineato alle direttive del ministero dell'informazione, a sfornare questi testi e farseli pagare. In ogni caso vi sarà una completa Informatizzazione della produzione letteraria nazionale (ma anche di quella musicale, teatrale, cinematografica, pittorica e plastica). Tutte le opere saranno fruibili in rete gratuitamente e poi chi, per esigenze proprie, vorrà anche la versione cartacea, o vorrà acquistare il disco, li pagherà di tasca propria ai produttori (che si spartiranno le percentuali in base al lavoro svolto – di cui la più alta spetterà sempre all'autore, contrariamente a quanto avviene oggi, dove spesso la provvigione dell'autore non supera il 10% del prezzo di copertina). L'ampia fruizione gratuita si giustifica nel fatto che il lavoro necessario a completare l'opera è già stato pagato dallo Stato all'autore e ai suoi collaboratori: da questo punto in avanti egli non ha il diritto esclusivo di sfruttamento commerciale della sua opera, ma questa deve essere messa al servizio della nazione, e se lo Stato riceverà un introito dalla pubblicazione cartacea o dal disco, corrisponderà la giusta quota all'autore. Il musicista farà comunque il grosso del guadagno con i concerti.

 

Invero, nello stato nazionalsocialista non si può diventare ricchi oltremisura: noi siamo contrari all'accumulo, in quanto disarmonico e foriero di fratture. Qui non ci sono veri e propri miliardari, che moltiplicano le loro proprietà e ne ricevono rendite infinite o giovano di diritti d'autore spropositati e senza limite temporale, anche per le invenzioni brevettate: tutto quello che supera il bisogno effettivo del cittadino, da noi viene prelevato dallo Stato e reinvestito per il bene comune, il quale, realizzato, garantirà ad ognuno un clima così gradevole e un paesaggio così armonico da rendere veramente superflua una ricchezza smodata, che può risolvere molti problemi ma non mette al riparo nessuno dai mali della crudele società individualista. Se il benessere è invece distribuito, cresce, perché quello di ognuno è più facile da realizzare (essendoci meno conflitti, meno competizione).

 

La Cultura è l'insieme degli strumenti di conservazione e sviluppo di un popolo. Tutte le arti, in quanto tramandano conoscenze tramite un linguaggio, una tecnica e una ritualità, collaborano a questo scopo e vanno tutelate anche in periodi di crisi economica o emergenza sanitaria: non solo perché ci sono professionisti che non saprebbero o non potrebbero fare altro, ma perché tali attività conservano la loro funzione anche in tali aggravate circostanze; soltanto: esse devono - per adempiere a questa funzione - adeguarsi alla nuova situazione e non proporre spettacoli che non concorrono al superamento collettivo del disagio contingente. Certamente, se mi si rompe la caldaia o devo curarmi un dente, risparmio i soldi e non vado a vedere uno spettacolo comico dal palco centrale: in questo senso le cose più frivole e inessenziali vanno sacrificate per prime ed è corretto affermare che siano beni voluttuari, da classe sociale ricca o società opulenta in generale. Tuttavia, gli artisti hanno anche una certa versatilità e tutta la macchina culturale di un paese dovrebbe averla, per espletare il suo compito. Ci sono classici che vanno rappresentati sempre ed altre opere che possono avere una funzione di stimolo verso una problematica contingente. Ma questo porta, come alcuni avranno intuito, ad una pianificazione e un controllo dell'attività culturale che suona molto da ministero della propaganda: in effetti, solo in tal modo è possibile sottrarre queste attività alle mere e bieche logiche del mercato, le quali consentono in pieno che quello che la gente non è più interessata a comprare, o non ha più la possibilità di comprare, venga abbandonato a se stesso con tutti i suoi protagonisti; la stessa cosa avviene quando sono i governi, perseguenti l'agenda occulta dei poteri forti, che non ritengono più queste attività come essenziali e sono quindi pronti a sacrificarle. Una attività sacrificata o scarsamente pagata è un'attività disprezzata. Allora lei per prima deve chiedersi perché: se il problema sta nella sua insufficienza o inadeguatezza, o se invece sta nella mentalità della gente o dei potenti; in entrambi i casi, deve combattere per riconquistare il suo ruolo.

 

Gli artisti schierati alla produzione musicale, teatrale e cinematografica saranno, come già spiegato, stati selezionati e coltivati già in tenera età, e lavoreranno per il ministero: sarà quest'ultimo – monitorando la situazione nazionale e mondiale – a delineare i progetti, nonché ad occuparsi della produzione, ma saranno gli artisti stessi a proporre sceneggiature e demo musicali (come avverrà per i progetti architettonici e industriali – che non vengono dallo stato, ossia da abilità amministrative, ma dal talento dei singoli): il ministero valuterà quali opere finanziare.

 

L'Agenzia delle Arti, che sta sotto il ministero, curerà tutta l'organizzazione dei concerti, mostre, rappresentazioni, proiezioni, balletti, festival, sagre, dando sempre la precedenza alle cose più importanti e cercando di creare armonia, senza favorire indebitamente un settore rispetto all'altro perché essi tutti collaborano all'elevazione spirituale del paese e al piacere del cittadino, e tutti gli artisti validi devono trovare il loro spazio espressivo e il loro reddito. Il pittore avrà uno stipendio statale per il semplice fatto che dipinge e fa ricerca pittorica: poi il ministero sceglierà le opere migliori e stabilirà dove esporle, e qui l'autore farà le sue vere e proprie fortune. Solo le opere che non sono state considerate degne di interesse nazionale potranno essere vendute a privati, tramite compravendita diretta o istituzione di aste: a questo si limiterà il mercato dell'arte. [al privato lasciamo orbene gli scarti, tutta la roba buona appartiene alla Nazione].

 

Tutti i testi di importazione straniera saranno rigorosamente tradotti in Italiano, in particolare quelli scientifici su cui domina il mondo anglosassone, nonché i manuali d'istruzioni degli strumenti tecnici. Ce ne sarà comunque sempre meno bisogno perché potenzieremo la ricerca (noi che siamo il paese con più inventori e artisti della Storia) e sarà la nostra industria nazionale a sfornare tecnologia all'avanguardia.

 

Il Giornalismo – come lo si intende nel regime capitalista - sarà un'attività quasi completamente debellata. Il Giornale nazionale e quelli locali si occuperanno di informare essenzialmente il cittadino sull'andamento delle Opere in corso del Governo, ma non ci sarà enfasi indebita, sensazionalismo, né scoramento pessimistico, allarmismo o indignazione in caso di difficoltà, né opinionismo becero: le cose in un paese devono procedere secondo la tabella di marcia, ed essere presentate obiettivamente; se funzionano: attimo di giubilo e poi si va avanti; se hanno battute d'arresto, le si supera e ugualmente si prosegue.

L'articolo di giornale che la gente legge la mattina dovrà avere un tono positivo anche qualora le cose non vadano poi così bene: esso deve di fatto unire nella forza d'animo e nella determinazione ad andare avanti nella direzione intrapresa tutti i cittadini.

Tutti dovranno essere abituati, leggendo il tono degli articoli, a non adagiarsi sugli allori di un successo ma ad usarlo come trampolino di lancio per nuove acquisizioni da perseguire con impegno collettivo, e il giornale non dovrà mai fomentare faziosità interne, contenere denigrazioni di classi sociali, personalità, istituzioni, gruppi o singoli cittadini: il paese deve essere Unito e lavare eventualmente, senza tanto baccano e casse di risonanza, i propri panni sporchi.

La Cronaca sarà pressoché inesistente: non è un bene che un delitto o un caso giudiziario venga sottoposto alla gogna mediatica, tanto meno prima che si abbiano delle certezze, per soddisfare la bieca curiosità maliziosa dei lettori e vendere delle copie. Faranno eccezione casi di cronaca che abbiano interesse nazionale: ma gli articoli non dovranno mai fomentare il dubbio, la libera interpretazione, il malumore, la paura e minare la stabilità del paese, la fede e la disciplinata operosità dei cittadini, l'attenzione verso le priorità nazionali e la concentrazione sul proprio compito. Soprattutto non si vedranno più le deplorevoli scene in cui una persona esce da un edificio e viene assalita da un nugolo di giornalisti con telecamere e microfoni: è una cosa scostumata, barbara, di una maleducazione e volgarità assolute. Eventuali interviste a personaggi avverranno in luoghi ben precisi, dinanzi ad un giornalista, e stabilite di comune accordo con l'intervistando. Ordine. Disciplina. Rispetto. Dobbiamo riabilitare il valore del Silenzio, ed ogni suono sia Musica Sublime o Simbolo.

 

I giornali e tutti i media riporteranno le informazioni circa gli spettacoli e le manifestazioni sportive in programma: ma non ci saranno recensioni, opinioni o commenti personali, nemmeno sugli esiti delle partite. I giornali potranno avere, come aggiunta a quanto il ministero propaganda già con altri mezzi e come formazione base, una pagina culturale in cui l'attenzione della nazione è convogliata su un tema particolarmente importante nella contingenza. In ogni caso il quotidiano avrà una lunghezza ridotta, da poter essere letto agevolmente ogni mattina prima del lavoro, come un vademecum [stessa cosa per il notiziario televisivo e quello in rete] e dovrà avere un linguaggio comprensibile a tutti, dunque non tecnico-specialistico. La parola "giornalismo" deve significare "accompagnamento quotidiano del cittadino" o anche "punto della situazione" in riferimento al percorso collettivo stabilito dal Governo.

 

Un punto fermo del nuovo sistema è che lo Stato, come si adopera in sede formativa per migliorare le capacità comunicative dei cittadini, deve facilitare tecnologicamente e amministrativamente le comunicazioni. Pertanto: Internet sarà assolutamente gratuito e già installato per chiunque acquisti un computer o altro strumento informatico. La connessione sarà solida e veloce, senza restrizioni riguardo la possibilità di visualizzare o scaricare materiale. Il ministero delle telecomunicazioni fornirà il servizio telefonico in maniera altrettanto gratuita e senza restrizioni di utilizzo: dovrai solo comprare il telefono, ma non sottoscrivere abbonamenti o contratti, né effettuare ricariche.

 

Il database delle opere cinematografiche disponibili in Italia con approvazione del ministero sarà presente on-line e ogni film sarà visibile gratuitamente e immediatamente in versione integrale. Ciò valga anche per le opere discografiche.

 

La Pubblicità non sarà contemplata come opera finalizzata ad enfatizzare indimostrati pregi di prodotti appartenenti ad aziende private e dunque ad adescare il maggior numero di consumatori per massimizzare il lucro: e non invaderà spazi adibiti ad altre funzioni. Vi saranno cataloghi e siti internet appositi dove sono illustrati con la massima onestà e precisione tutti i prodotti disponibili sul mercato italiano, ognuno concepito idealmente per una funzione, e il cittadino sarà facilitato a cercare quello che gli serve. Non sarà la pubblicità qui, a cercare il consumatore, ma il consumatore a cercare la pubblicità, quando ne abbia bisogno e quando lo deciderà.

 

Politica energetica e pagamenti. Le forniture energetiche sono tutte nazionalizzate e i costi stabiliti dal governo. Le modalità di pagamento delle utenze saranno il più agevoli ed essenziali possibile, e le stesse per tutti. La grafica delle bollette e di ogni altro documento sarà resa maggiormente leggibile ed il loro contenuto reso essenziale. Siamo invasi da documenti pletorici e con impaginazione paratattica e confusionaria che non facilitano certo la lettura. Per i pagamenti generici: tutti avranno la stessa Tessera accettata ovunque nel paese, oltre alla possibilità del pagamento in contanti. Sarà possibile ricevere gli stipendi già detassati e diminuiti dell'importo delle bollette in base ai consumi automaticamente registrati. Verrà data una comunicazione circa il titolo e l'ammontare di ogni decurtazione.

 

Debellamento dei vizi. Non solo lo Stato non percepirà alcun guadagno da pratiche viziose come tabagismo, alcolismo e gioco d'azzardo, ma vieterà la produzione nazionale e l'importazione di tabacco, di slot-machine, chiuderà tutte le sale gioco, tutti i centri scommesse, tutte le bische e i casinò, sequestrerà tutti i gratta-e-vinci e abolirà le lotterie, e quanto all'alcool (non essendo il proibizionismo integrale la cosa migliore) vi saranno limitazioni alla vendita, al consumo e rigorosi controlli. La droga verrà estirpata dal paese senza mezze misure: non potrà essere prodotta, né importata. Per quanto riguarda quelle droghe che sono anche medicine, verranno prodotte e messe sotto la tutela del Ministero della Sanità, e somministrate con tanto di posologia e prescrizione medica.

 

Regolarizzazione e regolamentazione della prostituzione.

Verranno riaperte le case chiuse e le ragazze tolte dalle strade e salvaguardate dallo sfruttamento. Pagheranno le tasse. Ci saranno norme igieniche e periodici controlli sanitari.

 

 

 

Capitolo IV

POLITICA ESTERA

 

L'Italia dovrà importare esclusivamente quello che non è in grado di produrre.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli o a scopo espansionistico o lucrativo. Essa non è uno stato Imperialista, nemmeno a livello economico, avendo abiurato le logiche del capitalismo. Il Nazionalismo italiano non significa dunque 'egoismo nazionale' né ostilità alle altre nazioni, ma si riferisce alla struttura gerarchica dello stato e alla propria anima socialista che solo dalla prima può essere realizzata, al legame che ci rende italiani e all'attaccamento alle nostre tradizioni. Le culture degli altri paesi verranno rispettate nella misura in cui facciano altrettanto. L'Italia protegge le sue frontiere dall'immigrazione irregolare ed espelle autoritariamente tutti gli individui indesiderati e considerati non integrabili nel suo tessuto economico-sociale. L'Italia uscirà dall'Unione europea ristabilendo la sua sovranità monetaria e politica, avrà una banca nazionale che stamperà unicamente Lire. Revisionerà i trattati vigenti con altri paesi oppure li invaliderà e ne istituirà di nuovi che siano coerenti con la sua nuova identità politica e con l'interesse della nazione. Per il commercio con l'estero, dove conveniente o necessario, sarà reintrodotto il Baratto. Le aziende nazionali italiane non spostano la produzione all'estero se non tramite la stipulazione di eventuali accordi di integrazione tra due nazioni e i rispettivi sistemi economici. Non sarà inizialmente possibile al cittadino italiano commerciare direttamente con l'estero: quello che entra in Italia o esce dall'Italia, passa per organi di stato; da qui viene poi commercializzato secondo le politiche nazionali. L'Italia si impegnerà a sancire alleanze con Nazioni che possano garantire la sua sopravvivenza politico militare in caso di conflitto e la sua sussistenza energetica, mancando di materie prime. Tuttavia lo stato italiano investirà sulla ricerca per ovviare con innovazioni scientifiche (si pensi alle energie alternative) a tali carenze, rendendosi meno vincolata agli approvvigionamenti petroliferi e alla dipendenza dalle importazioni. Gli studi ostracizzati di Nikola Tesla e altri brillanti scienziati verranno ripresi e sviluppati. L'Italia potenzierà comunque il suo esercito in modo da essere rispettata in quanto temibile, dalle altre nazioni. Per quanto nessuno voglia sottovalutare la possibilità di costruire amicizie tra i popoli e il valore della diplomazia, tuttavia ad impedire con un grado rassicurante di certezza l'eventualità di un conflitto armato può essere solo un certo equilibrio di forze belliche tra le potenze, in alternativa al disarmo internazionale [ipotesi cui quasi nessuno sceglierebbe nel tempo di restar fedele]. Pertanto, per ragioni di sicurezza, l'Italia farà tesoro del detto: si vis pacem, para bellum. Analogamente, il governo italiano, per essere rispettato all'estero, dovrà mostrarsi efficiente e autoritario in casa propria, coerente con i principi esposti, capace di mantenere le promesse, il controllo, l'ordine pubblico, la sottomissione della delinquenza, la fioritura economica, la giustizia sociale, ed il rispetto dei capi, che non possono certo farsi sbeffeggiare dai giornali o dalle televisioni nazionali senza che l'effetto non si ripercuota anche nei media esteri e dunque sulla loro reputazione presso i cittadini stranieri. Il modello organicista può senza dubbio essere esportato e globalizzato, sino a creare una federazione di stati nazionalsocialisti: ma noi dobbiamo partire dando l'esempio che funziona. Come la competizione, infatti, non è cosa buona, ma nociva per l'economia nazionale, così lo è tra le nazioni, che non devono attuare una corsa all'espansione dei loro mercati a scapito della nazione vicina, ma rendersi il più possibile coesi all'interno ed autosufficienti, privi di ingiustizie sociali, per poi commerciare in tutta calma con gli altri paesi per ovviare a ciò che manca in patria, fornire e richiedere aiuti economici, militari e tecnici in caso di crisi: dacché il Mondo è un sistema unitario, anch'esso un Organismo, e una sua parte non può essere completamente sana – o restarlo in maniera durevole – se le altre sono malate. L'Italia appoggerà organizzazioni internazionali volte alla salvaguardia dell'ambiente e delle specie in pericolo. Allo stesso modo, ogni Nazione non dovrebbe (l'Italia darà l'esempio) essere gelosa delle proprie scoperte e tecnologie: ma consentire l'utilizzo delle stesse a livello mondiale, affinché il progresso conseguente delle economie straniere si ripercuota positivamente anche sulla propria, in un clima di scambio culturale vincente e commercio pacifico (non concorrenziale). Nella misura in cui gli stati si muovano spontaneamente verso il modello sopra esposto, ci sarà una organizzazione spontanea, eventualmente tramite un ente internazionale che regoli il commercio: avverrà allora una parificazione delle valute nazionali ed il tasso di cambio uguale a 1 consentirà di passare dal baratto e dagli scambi statali all'economia monetaria ed a scambi tra privati.

 

È opportuno che il concetto di cittadinanza resti legato basilarmente a quello di etnia, poiché in quest'ultima è contenuto il germe della cultura che quella nazione metterà insieme e una sorta di affinità caratteriale riconoscibile non solo dagli autoctoni ma anche dagli stranieri. Sarebbe tuttavia eccessivo e sconveniente votarsi ad un estremismo razzista che non tolleri all'interno della propria nazione alcun elemento allogeno, dal momento che, pur ammessa l’esistenza di ceppi originari differenti (le cosiddette "razze pure"), questi si sono variamente mescolati fino a creare dei tipi umani ibridi che sul piano sociale non risultano affatto incompatibili, tant'è che sarebbe facile ad un Italiano trovare maggior intesa con uno Scandinavo che non con un altro Italiano, solo per fare un esempio. Del resto, molti misteri della genetica ci sono tuttora ignoti e gli esempi ci dicono che da due persone d'intelligenza mediocre può aver origine un genio, come da due geni può nascere un cretino: orbene – sino a che non avremo certezze – dobbiamo usare cautela ed elasticità su tali questioni, mantenendoci aperti a varie soluzioni. Nel dubbio, postulare l'uguaglianza è altrettanto e più rischioso che votarsi all'estremismo, e l'atteggiamento migliore risulta essere quello di valutare caso per caso, senza avventate generalizzazioni (un principio egualitario è una generalizzazione al pari degli estremismi discriminatori – per chi non l'avesse considerato). Ora, che esistano gerarchie tra i popoli, è un fatto evidente che si è voluto maliziosamente negare, e che non costituisce certo un bieco pregiudizio. Peraltro, il Pregiudizio è uno strumento di cui la natura ci ha dotati per difenderci da un oggetto potenzialmente pericoloso quando esso si trova ancora ad una certa distanza, sicché non dobbiamo affatto disprezzarlo. Se una pietanza non ha un bell'aspetto, malvolentieri ne sentiamo l'odore, e se poi lo facciamo ed anche questo è sgradevole, non saremo inclini ad assaggiare quel cibo. Allo stesso modo facciamo con le persone e non è sistematicamente sbagliato. Certo l'incapacità di distinguere un tratto contingente da uno caratteriale origina pregiudizi erronei, e di fatto controproducenti perché ci precludono un contatto seguente di segno positivo con la persona che avevamo superficialmente scartato. La suprema abilità etica sta appunto nel discernere l'intrinseco dal contingente, nel valutare le persone singole, come anche i popoli.


Evidente è che le creazioni di cultura superiore provengano quasi tutte dall'Europa, non dall'Africa o dall'Oriente, né dal Sud America o dall'Oceania, e che non si possa addurre come scusante per i popoli meno culturalmente prolifici una scarsità originaria di risorse naturali, dal momento che tutti i continenti ne sono ricchi, sebbene in differenti quantità e tipologie. Schopenhauer sosteneva che per lo più la natura sia adusa a conferire agli uomini un intelletto adeguato a soddisfare i bisogni della sua volontà. Tale concezione è applicabile anche ai popoli. Sono del parere che un popolo sia potenzialmente in grado di costruire gli strumenti di soddisfazione dei suoi reali bisogni, perché solo il tal modo può sfuggire all'infelicità: se nei secoli e nei millenni un popolo abbandonato a sé stesso su un territorio ricco di risorse rimane allo stato tribale e non impara a sfruttare tali risorse, tramite una cultura del lavoro, della ricerca e dell'organizzazione, è segno che non abbisogna di altro, che quello stadio costituisce il suo limite naturale, e la sua sensibilità non conduce oltre. Se non si sposta per cercare ambienti migliori, significa che sta bene dove sta. Mentre un popolo dalla sensibilità raffinata è naturalmente obbligato a costruire nel tempo tutti gli strumenti che possano appagarla, e così è stato, nei popoli più intelligenti: caccia, addomesticamento degli animali, agricoltura, allevamento, vestiario, cucina, utensileria, architettura, industria, politica, guerra, arte, letteratura, musica, filosofia, religione, fino alla specializzazione più avanzata, e laddove non abbia trovato in loco ciò che gli serviva, si è costruito gli strumenti dell'esplorazione per terra e per mare. Sarebbe sì sciocco cercare all'estero ciò che già si possiede in patria ad un livello superiore, e tuttavia si sostiene che gli scambi culturali arricchiscano in ogni caso. Non dunque le risorse di cui ci si appropria espandendo il proprio stato o colonizzandone altri, ma proprio gli elementi delle culture allogene. Elementi non pervenuti ad una cultura per ragioni contingenti (ad esempio la polvere da sparo in Europa) possono certamente arricchire chi ne faccia scoperta grazie all'incontro con altri popoli, anche se di natura intellettuale subalterna ma di già più avanzati grazie a quell'elemento; ma se osserviamo meglio, a sancire il carattere spirituale di un popolo non sono le sostanze (comuni per tutti) ma le forme, ossia il modo in cui le si plasma ed utilizza per soddisfare i propri bisogni. Gli Europei hanno trovato in giro per il mondo, nelle loro esplorazioni e colonizzazioni, elementi che erano assenti in Europa: pensiamo alla gomma, a diversi materiali da costruzione, minerali, spezie, generi alimentari e piante: ma l'utilizzo che ne hanno fatto è stato poi differente e molto più sfaccettato di quello che ne facevano i popoli autoctoni, che vi erano in contatto da sempre. Ci sono poi dei controesempi: popoli che sono rimasti maestri indiscussi di un'arte (pensiamo alla fabbricazione delle spade presso i Giapponesi) anche dopo l'incontro con altri popoli che avrebbero potuto acquisirle e portarle oltre, se davvero ne avessero sentito il bisogno. Caratterizzano quindi i popoli tutte le forme che la materia assume sotto il loro scalpello: dunque l'arte culinaria, gli strumenti, l'architettura, la lingua, le leggi, le strutture politiche, tutte le arti, le scienze e le tecniche, i concetti filosofici e le dottrine e i culti religiosi. Ogni popolo rigetta poi con naturalezza tutto ciò che non gli è affine, ossia non soddisfa i suoi bisogni naturali, e scompagina la forma che ad una materia era stata data da altri, per piegare quest'ultima alla propria indole, al proprio stile, al proprio carattere. Noi europei abbiamo assimilato ben poco delle culture orientali o di quelle africane, e molto di ciò che era nostro loro lo hanno acquisito più per imposizione che non per scelta. Quest'ultimo fenomeno, il colonialismo culturale, è qualcosa di stupido, ingiusto e assolutamente sconveniente, quasi quanto l'asservimento coatto di popoli autoctoni che possedevano una loro indipendenza e cultura, ossia il colonialismo politico-economico. Vi è una questione annosa: quella del diritto di sfruttamento delle risorse del pianeta.

Da questa dipende la giustificazione o la condanna del colonialismo. In alcune legislazioni compare il principio di esproprio statale delle terre incolte. Se un cittadino possiede un terreno che, anziché rendere produttivo, abbandona alla zizzania, lo Stato ha il diritto di espropriarglielo. Ciò si può applicare – ed è stato applicato – anche alle risorse di interi Continenti non adeguatamente sfruttati dalle popolazioni locali. Ciò ne ha storicamente determinato l'invasione, lo sterminio, l'esproprio, la depredazione, il soggiogamento, la schiavitù, lo sradicamento culturale, l'imposizione di una cultura straniera, e come controparte gli invasori hanno fornito infrastrutture, servizi, strumenti e prodotti di cui quei popoli non disponevano e che ha in parte migliorato le loro vite, senza che ciò potesse evitare col tempo una reazione irredentista, la manifestata insofferenza e rivendicazioni d'indipendenza infine vittoriose. Tuttavia lo sfruttamento è solamente passato, dall'egida dei governi nazionalisti, sotto quella delle multinazionali, con la collusione dei governi e non è quindi mai scomparso. Siamo del parere che ogni paese dovrebbe farsi bastare per quanto possibile le risorse che si trovano sul suo territorio, ma è altrettanto considerevole la necessità di attingere – per perfezionare la propria civiltà – a ciò che la natura ha concesso ad altri popoli. Ora, si tratta di capire se sarebbe stato possibile, ed ancora lo sia, un colonialismo etico, che faccia l'interesse di entrambe le popolazioni – la colonizzante e la colonizzata – senza spargimento di sangue e violazione dei cosiddetti diritti umani. Crediamo che ciò sia possibile tramite la diplomazia e la conoscenza delle culture entro cui si va ad inserire la propria, le vere esigenze della popolazione che possano giungere ad un accordo con le nostre.

 

Sul problema migratorio

 

In prima istanza, il problema migratorio quasi non si porrebbe, qualora le Nazioni fossero realmente indipendenti e sovrane, in modo da poter realizzare una politica consona alla natura dei rispettivi popoli (principio di autodeterminazione) che garantisca produttività, sopravvivenza e benessere, e come corollario quel legittimo orgoglio nazionale che li rende sereni e rispettati all’estero. Per essere indipendenti occorrono:

1)     un territorio sufficientemente esteso e ricco

2)     un esercito nazionale

3)     una moneta nazionale

il resto è una conseguenza.                   

In tali condizioni, vivendo tra la propria gente, parlando la propria lingua e avendo ciò di cui si ha bisogno, pochissime persone sentirebbero ugualmente il bisogno di emigrare, se non per l’unico vero motivo che giustifica in pieno tale prassi: quello di sentirsi maggiormente affini ad un’altra cultura. Ma questo è raro: l’uomo è legato alle proprie origini e anche qualora si rechi in paesi stranieri, presto avverte una sorta di richiamo della foresta, la nostalgia della terra natia.

Il degrado delle condizioni socio-economiche all’interno del proprio paese, frutto delle politiche capitaliste e di altri elementi culturali anti-nazionali che hanno minato la salute delle nazioni, è quindi il movente principale delle migrazioni, sebbene – da solo – non ne rappresenti una giustificazione.

Le Nazioni vanno conservate e curate, e nessuna può impunemente perdere i suoi elementi costitutivi, men che meno i migliori e più difficilmente sostituibili. La Cultura è l’insieme degli strumenti di conservazione e sviluppo di un popolo. Ora, il primo “strumento” è ovviamente la mera presenza di questo popolo, su quel territorio, la sua completezza strutturata di elementi, quindi il servigio effettivo dato alla Nazione, garantito nel tempo dal ricambio generazionale. Lo Stato deve garantire pane e salute ai propri figli, e i cittadini devono fare figli che possano garantire la sopravvivenza dello Stato; dunque, in primo luogo, non andarsene alla prima occasione. Altrimenti, presto avremo una popolazione italica costituita per metà da anziani improduttivi e per l’altra metà da immigrati, molti dei quali improduttivi (quelle “risorse” che – a sentire la sinistra – pagheranno le pensioni ai primi).  

Il cosmopolitismo è una follia volta a rovinare le nazioni tutte, una diaspora di tutti i popoli che li mescola senza criterio, ne disperde e limita le capacità produttive, massimamente sviluppate invece in una nazione coesa.

Come gli elementi più qualificati dell’Italia non dovrebbero essere costretti ad emigrare in Germania o dove altro ci siano migliori condizioni, così i migliori elementi dell’Africa non dovrebbero lasciare quel continente, per venire in Italia a raccogliere pomodori o in generale offrire manodopera a basso costo: dovrebbero invece ricoprire ruoli di prestigio nei paesi africani, garantendo a questi conservazione e sviluppo. Sulle coste italiane sta sbarcando di tutto, non certo persone selezionate… ma anche se fosse, dobbiamo chiederci: se i migliori tra i neri vengono da noi a fare gli schiavi, in Africa cosa resta? Una feccia allo sbando? Quando, solo l’autonoma efficienza delle nazioni può garantire alla lunga quell’equilibrio internazionale che evita sia le migrazioni che le guerre. Quanto al misero risparmio che comporta, per un datore di lavoro italiano, l’assunzione in agricoltura di un bracciante africano, esso non compensa il problema sociale conseguente alla sua presenza sul nostro suolo: vale a dire la difficoltà della sua piena integrazione, e non dimostra la mera convenienza della stessa. Per ogni migrante che sbarca, l’Africa ha perso un suo membro legittimo, e l’Italia ha assunto una bega. Inoltre, non è vero che gli italiani non possono o non vogliono più svolgere certe mansioni, se è vero che le hanno svolte fino a due decenni fa: è sufficiente dare loro paghe adeguate, il supporto di tecnologia all’avanguardia e turni di lavoro umani.

È opportuno invitare gli ingenui Cosmopoliti, quelli che sognano un mondo senza frontieresenza ruoli e senza divise, ad abbandonare codesti vaneggiamenti. È stata coniata intelligentemente la frase: I muri uniscono. Se prendiamo ad esempio il corpo umano, vediamo che è composto di tante membrane di separazione tra i vari organi. Nessuna è veramente impermeabile, ma ognuna ha una struttura tale da imporre dei criteri di passaggio, e violandoli si commette una violenza nei confronti dell'intero corpo. Se non ci fossero le membrane, nessun organo potrebbe svolgere adeguatamente la sua funzione. Il mondo può essere dunque unito solo nella debita struttura contenitiva, e le Nazioni (quel che ne è rimasto dopo la globalizzazione) sono gli ultimi baluardi contro la fine dell'Umanità. La parola Rispetto implica innanzitutto il rispettare le singole identità, dunque saperle riconoscere e collocare in un luogo idoneo. Ma il crogiolo etnico-culturale le annienterebbe tutte in una poltiglia informe, così come il mescolare tutti i colori della tavolozza darebbe origine ad un impasto avente il colore del fango della strada, con il quale anche il pittore più abile potrebbe solo imbrattare una tela. Invece, la maestria nell'uso dei colori, fin nelle più minute sfumature, implica innanzitutto la loro separazione, per poi lasciare all'artista gli accostamenti e le fusioni. Analogamente la distruzione del sistema tonale in musica (che è stata tentata) darebbe origine a un'accozzaglia di suoni senza senso e comprensibilità, e una fusione di tutti i generi musicali sarebbe qualcosa di inascoltabile. Analogamente un piatto che racchiudesse in sé tutti i sapori del mondo, o una lingua ibrida di tutti gli idiomi mondiali, che non a caso è un esperimento mai riuscito.

 

Definizione di razzismo. Il razzismo è la conseguenza del possedere una qualsivoglia identità, immersa nelle arene della vita, ossia il discriminare gli enti che si incontrano a seconda che li riconosciamo come affini o non affini - ed in senso più emotivo e semplice, che ci piacciano o non ci piacciano. Ciò che è affine cerca di unirsi e sta bene vicino, ciò che non è affine vuol la separazione e può star bene solo alla debita distanza. Dunque il concetto di Razza non coincide con quello di Etnia, ma è più ampio, comprendendo la razza spirituale: ed è vero che possiamo sentire maggiore affinità con una persona appartenente ad un’altra etnia che con i nostri compaesani. In generale però, avendo l'etnia una influenza sulla spiritualità, i popoli molto distanti etnicamente saranno distanti anche culturalmente e perciò difficilmente potrebbero mescolarsi appieno e convivere senza che nascano stridori importanti. Il proverbio inglese birds of a feather flock together ha un fondamento in leggi naturali, che sono appunto anche sociologiche. All'interno di una stessa etnia vigono principi naturali altrettanto rigorosi che si esplicano nella spontanea formazione di gruppi sociali in base alla minore o maggiore affinità. Tutti siamo discriminatori, poiché tutti abbiamo una identità, che comporta intolleranze e attrazioni: dunque siamo tutti razzisti e non vi è nulla di criminale in questo, a meno che non si voglia criminalizzare la natura. Giammai il razzismo similmente definito può essere accusato di rappresentare una istigazione all'odio razziale: ma proprio il contrario, dacché la legge dell'affinità elettiva è un rimedio naturale all'odio che si creerebbe nella forzata convivenza di caratteri incompatibili. Il concetto di uguaglianza è il viatico peggiore all'unificazione del mondo, ed ottiene l'effetto opposto di disintegrarlo in una poltiglia conflittuale. Il mondo può essere unificato solo riconoscendo ogni specifico carattere e ponendolo nella debita posizione, con un ruolo definito.

I sostenitori dell'uguaglianza disconoscono scioccamente questo, epperò si tradiscono nel momento in cui avversano, come diversi, tutti gli avversari di tale concetto: atteggiamento particolarmente usato dai sinistroidi che si ritengono, innanzitutto, diversi dai fascisti (in quanto razza di discriminatori) e poi diversi anche dai destrorsi liberali, troppo competitivi per i loro gusti. Ma essi si ritengono diversi in positivo, ragion per cui sono più uguali degli altri e hanno il diritto di governare il mondo: di porsi orbene all'apice di una struttura gerarchica che contraddice il principio primo della loro politica. Noi del partito organicista, muniti di onestà intellettuale, ferrea logica e privi d'ipocrisia, diciamo chiaramente che vogliamo governare perché siamo aristoi, e nel nostro campo abbiamo qualcosa da insegnare. Naturalmente, porsi con fierezza ed immodestia su di un alto gradino, espone a dure ritorsioni nel momento in cui non ce ne dimostrassimo all'altezza, e non appena facessimo un errore, la percezione dello sbaglio ne uscirebbe enfatizzata, rispetto a colui che non poneva alte aspettative. Ma chi, del resto, sarebbe disposto a seguire chi non ostenti per primo una grande sicurezza in sé stesso? Infatti, la prudenza, su un tale terreno, non è alcunché di positivo: bisogna senz'altro aver avuto delle prove del proprio valore prima di porsi sfacciatamente su un piedistallo ed essere pronti a giocare, guidandola, una partita che potrebbe avere un esito devastante; tuttavia, una volta che tale valore è stato riscontrato, bisogna avere il coraggio di porre l'asticella dell'ambizione alla debita altezza, ben sapendo che potremmo anche fallire, e nondimeno è giusto che quel ruolo sia stato assegnato a noi, perché altrimenti lo avrebbero avuto persone peggiori, con esiti ancora peggiori. Il migliore non è colui che non sbaglia mai, ma colui che sbaglia meno; e l'essere esposto a cadere rovinosamente non esime il campione dall'essere tale, come ci mostrano carriere di atleti o personaggi della musica, che restano dei grandi nonostante le cadute e talvolta alla pessima fine che hanno fatto. Essi sono coloro che fanno la storia: che hanno avuto qualcosa da dire e lo hanno detto bene, a scapito di tutti i fattori avversi, fosse anche talvolta con una fugace apparizione che però, non a caso, viene ricordata nel tempo. Si può dire senza paranoia che il mondo intero cospiri contro tutto ciò che ambisce ad essere grande, e forse che la grandezza non sia tale senza questo cinico contraltare che le oppone resistenza. La grandezza è essenzialmente tragica ed il motore ispiratore delle tragedie è prima di ogni altro l'Ambizione. Una persona straordinariamente ambiziosa diviene spesso un dramma per la sua famiglia e viceversa, può diventare un flagello per la società intera come questa lo è stata per lui, e molti sono gli esempi di uomini ambiziosi che hanno trascinato intere nazioni nello sfacelo delle loro battaglie cosmiche: in maggioranza persone modeste che ne avrebbero volentieri fatto a meno, e che a posteriori conteggiano i danni e condannano colui che con la sua ambizione ha scatenato il tutto, sebbene possano averlo precedentemente osannato entusiasti e partecipato delle sue acquisizioni, o al contrario lo abbiano combattuto strenuamente anziché aiutarlo. La dialettica della storia sembra però fatta inesorabilmente di questi due elementi contrapposti, i quali nutrono una mortale invidia reciproca: i grandi e i piccoli uomini. Ai primi toccano la sofferenza e la gloria, ai secondi la serenità e l'anonimità. Un movimento per la meritocrazia integrale sembrerebbe volerla infrangere, questa legge storica, dispianando di fatto la strada a tutto ciò che è talento: poiché ci siamo sempre chiesti dove diamine sarebbero potuti arrivare i talenti senza le palle al piede della propria epoca e le infauste circostanze personali. Tale ambizione, ancor valida la suddetta dialettica, presumo vedrà quindi la più radicale opposizione da parte del mondo.

 

Capitolo V

POLITICA RELIGIOSA

Sarei qui tentato di fare di tutta l’erba un fascio. Un testo che parla di temi di levatura apicale come si presenta un testo religioso, dovrebbe innanzitutto avere un fascino magnetico, essere scritto in maniera brillante e suadente, e avere un potere immediatamente illuminante, come ogni frutto degli spiriti più intelligenti, qui addirittura pretesi “ispirati” da “divinità”. Invece, quando leggo un testo religioso, non importa molto di quale epoca, confessione o provenienza, provo innanzitutto una grande noia; proseguo quindi forzatamente la lettura, assetato di un concetto interessante, mentre ho la frequente sensazione di essere entrato in un manicomio… Ammetto di non essere un esperto di religioni, né tanto meno un erudito: il fatto è che, data la premessa, non vedo il motivo per cui dovrei diventarlo, prima di parlare. Le insulse farneticazioni sono interessanti? Non tutto merita studio approfondito; ed un arrosto che non sia avvolto da un profumo fragrante, non stimola l’appetito e dubito che sia molto buono. Peraltro, gli alberi si giudicano dai frutti… cosa hanno portato nel mondo le religioni? Ordine? Pace? Giustizia? Salvezza? Redenzione? Saggezza? Hanno portato solo nuova confusione, errori grossolani, contraddizioni, assurdità, traviamenti e plagi mentali, diatribe sterili, inesattezze storiche, faziosità, divieti insensati, pratiche abiette, sensi di colpa, istituzioni sordide, oppressione, persecuzioni, odio, omicidi e guerre. E noi dovremmo perderci tra le righe delle loro dottrine? Chi se ne fa prendere e persuadere, è innanzitutto una persona poco intelligente e per certi versi uno spirito debole. Tanto che, se sento un sacerdote emettere un predicozzo e della gente andargli dietro, sono tentato di denunciarlo per circonvenzione d’incapace. E cosa (parlando di Cristianesimo) ha a che fare la magnificenza dell’architettura e dell’arte cristiana con il contenuto vero e proprio della sua dottrina?

Hanno monopolizzato mezzi economici ed artistici imponenti per trasmettere un messaggio che, nel suo contenuto positivo e probabilmente autentico, si lasciava riassumere in poche massime e virtù invero non solamente cristiane ma semplicemente appartenenti ad uno spirito nobile: mentre il resto è feccia allo stato puro.

Assolutamente: all’umanità bastano la scienza e la filosofia, slanci nobili dello spirito umano nell’indagine della realtà, sino ai suoi limiti indagabili; la religione non raggiunge mai questo rango, sebbene si vanti addirittura di superarlo, al pari dei suddetti limiti: e può essere debellata, con tutte le sue dottrine, mitologie, feste, culti, sacramenti, templi, istituzioni e officianti.

 

Le istituzioni religiose hanno comunque i loro organi di stampa e i loro pulpiti dai quali influenzare le menti dei cittadini, condizionarne il giudizio e il comportamento, ed anche il voto, in un paese democratico: pertanto un movimento politico che voglia rinnovare il paese imponendo la sua visione non può ignorare la religione, relegandola ad una pratica cultuale apparentemente innocua e che non presenta elementi politici. Allo stesso modo deve dare la sua impostazione alla comunità scientifica, informarla della sua weltanschauung.

 

Lo Stato Organicista è laico e religioso nello stesso tempo, nel senso che pone la trascendenza nell'immanenza e dunque quale obiettivo da conquistare con azioni quotidiane che esulano dal mero culto estetico per inglobarlo ed estenderlo ad un culto etico che comprende tutta la vita nazionale, dunque pubblica e privata. L'Ideologia politica dello stato organicista ha già un contenuto religioso e può dunque fare a meno delle religioni propriamente dette. Se anche esistono analogie concettuali e valoriali tra questa ideologia ed elementi delle religioni più disparate, non vedo perché ridondare: il troppo stroppia. E il pluralismo crea confusione.

 

Il fatto che alcune idee ed istituzioni siano sopravvissute per migliaia di anni non parla necessariamente a favore delle stesse, ma a discapito della credulità e della stupidità umana, nonché della sua passività, ossequiosità e mancanza di coraggio dissacratore: quello che hanno sempre in pochi e come tali è facile che ci rimettano le penne. Così come il successo di determinati libri o dischi non depone a favore della loro qualità, ma del cattivo gusto e del conformismo di milioni di lettori e ascoltatori. Spesso non è la dottrina ad essere forte, ma l'opposizione ad essere debole. E l'istintiva indignazione dei "fedeli" (spesso miserabili ipocriti) verso l'eretico – od il porre lui in ridicolo - è in realtà soltanto paura di essere destabilizzati nell'infrazione del dogma rassicurante o una segreta invidia del suo coraggio e della sua indipendenza intellettuale. Mettiamoci in testa che le nostre idee bizzarre apparirebbero come verità scontate e marmoree se fossero di già al potere... Cosi come le idee che oggi sono al potere sarebbero considerate anche più bizzarre, assurde e senza valore qualora materialmente impotenti ed emarginate, se non addirittura empie. Tutto ciò che è arrivato infine ad imporsi, grazie alla tenacia, un tempo è stato considerato bizzarro. Ogni “Dio” che si rispetti è stato prima un Eretico. Ora, criticare il capitalismo non è molto difficile intellettualmente, così come non lo era discutere la presunta scientificità del marxismo: ma è difficile moralmente (per i giudizi personali che si ricevono) - e lo è fisicamente, per via della quantità di persone ed oggetti schierati nelle file di questa dottrina. Ora, le Idee devono essere più forti della materia – non devono essere intimidite dalla loro mera teoricità contrapposta all'altrui soverchiante concretezza: e lo diventano quando si insinuano a far breccia nelle falle del sistema materiale costruito in nome delle idee avversarie.

 

Un'idea giusta è difficile da criticare in teoria, perché non presenta incoerenze, ed è altrettanto difficile da vincere sul piano materiale, perché è solida e compatta. Ma le idee in qualche modo contraddittorie sono destinate a creare sistemi politico-economici che col tempo si logorano e sfaldano. Ora, prima si illuminano le coscienze dei popoli con la forza del linguaggio: l'arma della critica crea uno spirito rivoluzionario. A questo punto, quando il parallelo degrado di un sistema fallimentare è giunto a maturazione, al punto di rottura, inizia la critica delle armi: e sarà qui la pressione barbarica dei ribelli ad abbatterlo ed installare sul trono del potere una nuova idea.  

 

Non sembri questo un paradosso, ma: una Fede si costruisce con la Ragione. La fede è il risultato, il compimento di un processo razionale volto a sostenere un’Idea. Un’idea può essere trovata affascinante da molti (ad esempio perché rivoluzionerebbe in positivo le nostre vite), ma se ancora non è argomentata, non sarà convincente e pertanto non riscuoterà successo, approvazione, adesione spirituale e quindi fede. Un’idea forte, che risulti inattaccabile filosoficamente, che non contenga falsità o incoerenze, è un’idea affidabile, ossia meritevole di fede. Naturalmente, e conseguentemente a ciò, è ben più facile persuadere un sempliciotto che non un uomo intelligente e colto, di una qualsivoglia idea: purché gli si presenti un’argomentazione plausibile in suo sostegno, tarata sui suoi limiti intellettuali. Anche qualora si abbiano degli avversari, i quali gli presentino idee diverse, starà nella capacità argomentativa la chiave della persuasione del soggetto; se dinanzi a costui si argomenta un’idea migliore, ma in maniera inadeguata, la sua fede propenderà per l’altra idea, oggettivamente inferiore. Perché un movimento sia vincente nel lungo termine, occorre innanzitutto che sia fondato su un’idea giusta. Poi, che tale idea sia argomentata perfettamente, in modo da sventare non solo gli attacchi effettivamente lanciati, ma anche quelli futuri e meramente potenziali: in tal modo essa sarà persuasiva per le varie fasce della popolazione, delle quali si cerca il consenso, ed è giusto ma non scontato che l’offerta argomentativa debba essere segmentata in base al livello intellettuale e culturale del soggetto da persuadere. Se, durante l’azione, sorge anche solo il sospetto che la nostra idea sia sbagliata e non conduca al nostro interesse, questo provocherà malcontento, esitazione, dubbio, ripensamenti, rallentamento, arresto o una vera e propria defezione. Ma tutto questo riguarda l’aspetto intellettuale della questione, ossia la Bandiera. Esiste l’aspetto fisico, simboleggiato dalla Spada. Una volta giunti alla fede, alla completezza della bandiera, occorrono ebbene gli strumenti per farla penetrare ed affermarsi nel mondo. Anche la propria possanza fisica e la destrezza vanno spesso conquistate, grazie alla forza dello spirito, che è in grado di ambire, ossia di lanciarsi oltre i suoi limiti presenti, trascinando ebbene il corpo verso il suo potenziale. Il corpo, quando l’idea si diffonde, diviene poi quello di un gruppo organizzato, con i suoi avamposti e le sue sedi operative, ossia con la sua materialità. Una fede che non sia ancora una realtà può essere identificata con un’ambizione. Quanto più l’idea è lontana dal mondo presente, tanto più saranno necessari spiriti forti in suo sostegno, che abbiano il coraggio di muovere il passo per primi in quella nuova direzione. Perché tutto ciò che non è ancora corpo va conquistato dallo spirito. Vincere significa trasformare qualcosa che doveva essere sostenuto in qualcosa che ci sostiene: quello che era un pensiero (faticoso anche solo da pensare perché non poggiante su basi materiali affini) diventa dapprima un libro, un’opera d’arte, poi un partito e infine un’istituzione, un progresso materiale, la sottomissione di un nemico. Per questo, si dice che uno spirito forte è quello che, pur subendo mille sconfitte o dovendo restare a lungo sospeso e bloccato nell’inattività frustrata, o in una azione solo mentale e molto lenta, che però comporta sempre una resistenza e un atteggiamento anche pratici nei confronti del mondo esterno, egli tuttavia non dispera della sua finale realizzazione, non smette di puntare alla vittoria. Quando un ideale viene realizzato, si ha una secolarizzazione del Dio (dio non è che la rappresentazione di un nostro ideale), talché i suoi seguaci, da idealisti che erano (invero costretti ad essere) divengono materialisti e quindi “atei”, ossia si appoggiano sulla nuova realtà perfezionata, adattate le sue basi alla loro esigenza. Il loro idealismo si conserva nella necessità di contrastare nuovi nemici, sebbene ora da una posizione vantaggiosa, e nel portare avanti le nuove Tradizioni, fare manutenzione a tutti gli aspetti della nuova realtà che rischiano di logorarsi. La religiosità, per il dominatore, non dovendo trovarsi più nella sfera ideale e dunque nello spirito, consiste nel rigore e nella costanza dell’azione coerente con l’ideale affermatosi. Questo, precisamente, significa “tener viva la fiamma”, non tanto il compiere l’analogo gesto presso un santuario, abbastanza inutile qualora i costumi siano ormai degenerati ed il sistema si stia pericolosamente incrinando. Ora, bisogna saper distinguere gli spiriti forti da quelli deboli. Se si vuole portare una persona forte dalla propria parte, si deve smontare filosoficamente l’idea avversaria a prescindere da quanto essa sia affermata materialmente. Infatti costui non si lascia intimorire dallo status quo e possiamo fare affidamento su di lui come alleato, se davvero lo persuadiamo. Ma se si vuole far posare le armi a uno spirito debole, non bisogna pigliarlo dal lato intellettuale, bensì da quello morale (ossia far leva sulla stessa debolezza che lo ha fatto aderire a un ideale sbagliato solo perché era maggiormente affidabile sul piano materiale – in quanto incarnato in una istituzione potente). Se costui era dunque un cattolico, non si perda tempo ad attaccare la dottrina cattolica: si combatta direttamente la Chiesa e, se questa un giorno crollerà o diverrà debole, sarà lui a distaccarsene autonomamente, perduto il senso di sicurezza che rappresentava. Bisogna dunque capire se l’adesione ad una fede è stata determinata da un profondo convincimento razionale oppure dalla mera convenienza, quasi sempre apparente e superficiale: tuttavia le persone che aderiscono ad una fede per simili modalità, di solito non sono dei buoni praticanti, il più delle volte sono grossi incoerenti, ed osservando appunto tali incoerenze abbiamo l’indizio per valutare come costui sia stato assoldato e come possa quindi facilmente cambiare sponda. La maggior parte delle persone sono spiriti deboli in quanto, banalmente, poco intelligenti: sposano quindi facilmente idee bislacche e pure argomentate male, semplicemente perché manca la concorrenza oppure, anche qualora ci sia, costoro non colgono le differenze ed invero non si sono nemmeno mai poste il problema, per cui una soluzione vale l’altra, e tanto vale seguire quella maggiormente seguita.  

 

CAPITOLO VI

INTORNO ALLA NATURA DI QUESTO "REGIME"


Siamo teoricamente e fattualmente contrari ad ogni forma di oppressione, il che sembra confliggere con il concetto di dittatura, quando invece, proprio il nostro concetto di Libertà, correttamente ridefinito, rende le due istanze compatibili. La libertà non è star sopra un albero, ma non è neppure, ingenuamente, come cantava Giorgio Gaber, "partecipazione". La Libertà è l'insieme delle condizioni di realizzazione dell'Uomo: e tale insieme è costituito da un sistema a gerarchia sociale perfetta. Il rispetto delle differenze e la loro sistemazione meritocratica sono i due fattori imprescindibili del benessere di una comunità. In ottemperanza a questo, non imporremo nemmeno una divisa comune ai cittadini italiani, se non laddove abbia una funzione precisa che presupponga l'effettiva appartenenza ideale di tutti i partecipanti. Se è vero che l'interiorità e l'esteriorità devono corrispondere, orbene l'etica e l'estetica, la fede e l'azione, è corollario che sia fallimentare il tentativo di tenere artificiosamente unito ciò che per natura differisce e diverge. Non esiste una vera e propria identità nazionale, essendo i cittadini tutti diversi, ancorché ugualmente educati: l'italianità sarà data dalle nostre politiche, correttamente riconosciute all'estero. Analogamente, non imporremo una sorta di eroismo di stato in stile marinettiano: consapevoli che l'eroismo è qualità innata di una minoranza di spiriti nobili, al pari del talento musicale o dell'abilità artigiana. È un fatto appurato che la natura si ribelli a chi la costringe, sia a qualcosa di più piccolo, sia a qualcosa che supera le sue capacità. Il compito dello Stato è estrarre dal cittadino il massimo potenziale, non aumentare quest'ultimo: impresa invero impossibile. Ad illustrazione di questi concetti appongo uno stralcio della poesia

 

L’odor delle rose

 

Né democratico né totalitario
dovrà forse esser lo Stato futuro
ma meritocratico, col solitario
principio di non guastar ciò che è puro
 
ma non vedo bene imposta divisa
di qualsiasi colore, ad uomo qualunque
che d'oggi la vesta, come la sua chiesa
quando può averne anche quattro o cinque

e presto si stanchi di quel colore,
di quella foggia, di quel tessuto
o nemmen sappia cosa voglia dire
essendo sempre più stolto che acuto
 
e ciò valga ben per le parole d'ordine
o pensier che si vogliano incisi nel marmo
sian come la creta, ossia siano morbide
e siano anche pronte ad andare in letargo
 
tanto se ne stufa anche chi ci ha creduto
e financo quelli che li hanno coniati
e tanto hai parlato, che vuoi restar muto
e che ti si perdonino quelli sbagliati
 
del resto anche quando eran tutti schierati
uomini e donne nell'identico gesto
in quanti modi venivan pensati
e sentiti quegli usi, se vuoi essere onesto?
 
Non inganni dunque la superficie
che s'increspa e si sfalda quando il mare si muove
l'aver dato un'unica direttrice
non vuol dire che tutti ce l'abbian nel cuore
 
...ed il cuore invecchia, si ammala e poi muta
vede sì evolversi le sue passioni
e ciò che era oro alla stagion passata
adesso è piombo che grava sui rami


Il concetto di Stato Organicista implica la presa in considerazione del divenire dell'uomo, delle differenze tra le fasi della vita, cosi come di quelle della civiltà, che non può conservarsi eternamente in forme rigide: queste cambieranno negli anni e nei decenni secondo l'esigenza di sviluppo della vita nazionale e mondiale.

Sebbene tesi di revisionismo storico abbiano attestato responsabilità Alleate nello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è pur certo che il bellicismo e l'imperialismo entravano a pieno titolo nella mentalità fascista; studi evoliani e altri di varia epoca e provenienza hanno esaltato la guerra come esperienza mistica di elevazione interiore a prescindere dal suo risultato o dalla sua precisa necessità. Sebbene tali concezioni abbiano un fondo di verità, non le si può generalizzare: e noi siamo inclini a preservare l'umanità da una terza Tragedia... non a correrle incontro. Questo movimento non intende riesumare e riconfermare vecchie contrapposizioni ideologiche o programmi di partito, non vuol dividere, ma unire per quanto possibile gli italiani sotto una nuova bandiera che faccia tesoro delle esperienze passate e sia compatibile con le loro reali e personali esigenze. È il partito di chi vuol ricominciare: dovunque provenga, marciando in una direzione nuova. Certo chi è reduce da crimini di particolare gravità non vedrà condoni di pena e in generale non sarà possibile un cambiamento che non sia graduale, ebbene sorga da una preventiva tabula rasa della società presente: tuttavia molti avranno la possibilità di azzerare dei conti che stavano in sospeso solo in virtù di regole sbagliate, e volgersi serenamente all'avvenire.

Il grande aforista francese François de la Rochefoucauld, osservò che 

Le dispute non durerebbero a lungo, se la ragione stesse tutta da una parte. 

La più significativa impresa attuale, nella dottrina filosofica prima e nella politica poi, è quella di conciliare le mentalità apparentemente inconciliabili di chi ha perso l'ultima guerra e di chi l'ha vinta: austerità ed eroismo da un lato, nazionalismo sopra l'individuo, rigorismo etico; dall'altro edonismo, tolleranza e libertà individuale. Chi ha sperimentato la necessità di entrambi, ossia la profonda duplicità dell'essere umano, il suo partecipare ora della forza, ora della debolezza, comprende che questo dualismo non può risolversi in una guerra tra fazioni come non deve costituire una battaglia interiore. Noi dobbiamo superarlo quindi, se vogliamo far mostra di aver imparato la lezione impartitaci dal Novecento. L'esito della seconda guerra mondiale ha dimostrato che l'intransigenza non paga: per il semplice motivo che i deboli sono troppi. L'unico modo di non fare concessioni al pensiero debole sarebbe quello di eliminare i deboli, che guarda caso costituiscono la stragrande maggioranza dell'umanità e temporaneamente chiunque partecipa di forme di debolezza, che esigono il paradosso di essere rispettate, altrimenti lottano con le unghie e con i denti per la propria sopravvivenza, per il proprio diritto di esistere ed essere ugualmente felici. Il vizio diviene dunque virtuoso per difendersi dalle pretese della virtù. E non dobbiamo essere ipocriti, sostenendo che la virtù è lo scopo della vita, quando è soltanto un mezzo per ottenere il benessere. Noi dobbiamo realizzare un sistema che consenta di essere virtuosi e gaudenti nello stesso tempo: l'uomo deve fornire quel tanto di virtù che non guasta il piacere e possedere quel tanto di piacere che non nuoce alla virtù, poiché sappiamo che gli eccessi, da una parte e dall'altra, lo corrompono fino ad annientarlo. Se ognuno fa la sua parte e rispetta i propri limiti, è più facile essere virtuosi ed anche ottenere la propria soddisfazione. Non si vedranno militanti del partito organicista impegnati in tafferugli con i vecchi comunisti e liberali, dal momento che non siamo qui per riesumare l'ultima guerra civile, ma per salvarci tutti dalla deriva in corso. Chi lo farà, dimostrerà di non aver compreso il nuovo spirito, e chiamiamolo pure Spirito della Nuova Destra. E basta con Sparta contro Atene, con Paganesimo contro Cristianesimo, con vecchie diatribe che vogliano la netta imposizione di un modello sull'altro, di un valore sull'altro, quando il problema è organizzare la sterminata varietà e complessità dei tipi umani in modo che possano vivere felicemente.

Il simbolo del movimento e del partito organicista - denominato Fuori dal Caos - sarà un Gabbiano. Ha la regalità dell'aquila, e se si arrabbia fa paura, ma è un uccello di mare dall'aspetto più pacifico, meno aggressivo, richiama l'ambientalismo, e il fatto che si cibi spesso di rifiuti può alludere al nostro proposito di ripulire questa nazione.


Errore dell'estrema destra. La pecca della destra radicale consiste nell'ingenuità sociologica di assolutizzare il tipo d'uomo guerriero, come se chiunque dovesse adempiervi, trascurando le altre due 'anime' della classica tripartizione platonica, ossia la casta elitaria dei governanti (nei quali prevale l'anima razionale) e quella dei lavoratori (prevalenza dell'anima concupiscibile). La classe che svolge quotidianamente il suo compito produttivo, una onesta professione, senza possedere precipuamente virtù guerriere o intellettuali, costituisce la fetta maggioritaria della popolazione: a costoro non si può chiedere allegramente di scendere alla pugna sperando che accettino con entusiasmo, così come non si potrebbero chiedere loro grande creatività o doti governative. L'estetica e la retorica dei movimenti neofascisti sono tutte incentrate su caratteri, concetti, simboli, slogan, immagini, miti e atteggiamenti bellicosi. I quali non possono che allontanare la gente, poiché paiono aggressivi verso di loro anziché benevoli.

Folgori, fiamme, lupi, leoni, asce, martelli, spade, scudi, croci, rune...un armamentario che mette inquietudine. Essi hanno trascurato il detto: pugno di ferro in guanto di velluto, od anche la necessità di ricoprire una pillola amara ma benefica con due strati di zucchero intrisi di sciroppo di limone. Altrimenti la gente non la ingoia. Un movimento deve certo esprimere un nucleo di forza, ma questa, per essere rassicurante, non deve mai dare l'impressione erronea di rivolgersi contro di loro.

Dobbiamo considerare che il grosso dell'elettorato italiano è composto da: madri e padri di famiglia con poco tempo a disposizione, affaticati e preoccupati per il futuro incolume dei loro figlioletti; moltissimi anziani, per lo più acciaccati; giovani rammolliti e ignoranti, piegati 24 ore al giorno sullo smartphone e ivi rincoglioniti; ospedalizzati, obesi, anoressici, persone affette da qualche patologia fisica o psichica, persone seguite da assistenti sociali; bevitori e fumatori; disoccupati tendenti alla depressione, persone abuliche e sfiduciate. Alla carrellata di 'menomati' fisicamente si aggiunge la panoramica delle storture mentali, dovute soltanto in parte alla natura umana fatta di stupidaggine, ottusità, egoismo, perversione, dissolutezza, ma anche all'incultura e alla diseducazione cui sono stati sottoposti gli italiani negli ultimi 70 anni: la mancanza di una sana dieta spirituale e spiritual esercizio; e non già lo sterile ed arbitrario nozionismo che ricevono nelle scuole, bensì delle concezioni cardine che ti facciano leggere chiaro nella vita e nel mondo, e ti consentano di compiere scelte e agire virtuosamente. Chi voglia assumere il governo di un paese come l'Italia deve rendersi conto che si prende in consegno una nazione profondamente malata, nel corpo e nello spirito. E il desiderio di un malato che conservi ancora una lucidità è – prima di ogni altro – la guarigione. Un corpo ed uno spirito nazionali quali quelli sopra descritti saranno forse inclini a credere e ad obbedire, ma se vi fosse la necessità di combattere, in qualsivoglia senso, su qualsivoglia terreno, sappiamo che per farlo bisogna essere in buona salute.

Chi volesse ottenere il loro voto, dovrebbe pertanto intimare loro preminentemente la seguente garanzia: io ti guarirò! Perché se si sta male non si può partecipare con gioia e profitto a niente, a nessuna delle attività che si svolgono nel paese, che siano formative, lavorative, sportive, artistiche, celebrative, né tanto meno (scongiurandone la necessità) belliche. Noi dobbiamo quindi trasmettere l'idea che il nostro carro raccoglierà tutti e li metterà in condizioni di partecipare positivamente della vita italiana e dell'italiano percorso. Aumentando la salute generale dei cittadini, aumenteranno il loro senso civico, il patriottismo, la cordialità, la solidarietà, mentre diminuirà la conflittualità, dal momento che aggressività (anche verbale) e malizia sono spesso figlie dell'insoddisfazione e dell'insicurezza. Un esperto di arti marziali - sicuro dei suoi mezzi - paradossalmente vi ricorrerà molto meno, e solo appunto per autodifesa. Una persona intellettualmente davvero preparata, tenderà ad utilizzare il suo sapere positivamente e non per strapazzare, ingannare, od umiliare il prossimo. L'aumento della propria prestanza è un viatico alla pace, non alla guerra, poiché elide il senso d'insufficienza (che chiama l'orgoglioso a dimostrare qualcosa) e la paura (che porta a reazioni avventate e scomposte). Per diminuire il tasso di ostilità tra i cittadini, l'unica soluzione è di renderli tutti più felici, e questo significa generalmente prestanti e mai privati di ciò che oggettivamente meritano, o inibiti nel proprio potenziale positivo.


Questo intento dovrà essere chiaramente percepibile dai nostri simboli, discorsi, slogan, iniziative.

 

POSTILLE

 

 

         1. Breve teoria dei motivi


 

 

Il buon idealista s'illude di poter muovere la gente con motivi ideali: come se nel commercio uno vendesse ciò che piace a lui. Nulla di più ingenuo, sebbene non sia facile promuovere un prodotto che ti ripugna. Gli uomini possono essere mossi, in una suddivisione grossolana eppur necessaria, da tre ordini di motivi, classificati in base alla densità del gruppo umano che è ad essi suscettibile.

Quelli primari sono i motivi materiali. La fame, la sete, il caldo, il freddo, la pulsione sessuale, il guadagno, la stanchezza, la paura: tutti sentono questi stimoli, e una fetta piuttosto ampia dell'umanità non ha altri moventi per le proprie azioni. Quelli secondari ineriscono alla sfera narcisistica e si declinano in: orgoglio, reputazione, invidia e gelosia (sebbene queste ultime due stiano in una intersezione tra i moventi legati all'immagine e moventi materiali). Infine una terza categoria riguarda i motivi ideali, quali il senso di giustizia, l'amor di patria, il perfezionamento del mondo: e inutile dire che – volendo muovere un popolo esclusivamente con tali motivi, forse dieci persone risponderebbero all'appello, e alcune con una certa titubanza. Chi possiede motivazioni ideali, possiede invero anche tutte le altre, e in un mondo appunto IDEALE non vi sarebbe contrasto fra i tre ordini di motivi. Questo compare laddove persone di medio e basso livello (cioè mosse unicamente da motivi narcisistici o materiali) impongono le loro priorità mortificando la sfera ideale cui non sono direttamente suscettibili, alché l'uomo idealista rischia di perdere la sua fetta di benessere (che gli sta a cuore quanto a tutti gli altri) ed il suo buon nome, per difendere appunto codesta sfera. La differenza tra le sfere è data dalla sensibilità, e più precisamente dalla capacità di percepire ciò che non è immediato, che si trova lontano dal proprio corpo. La miopia consente di non soffrire direttamente d'ingiustizie che si trovano in lontananza, ma indirettamente il soggetto ne riceve comunque le ripercussioni (e allora si lamenta che le cose vanno male e che il mondo è ingiusto – senza rendersi conto che esse vanno male ed il mondo è ingiusto per colpa di persone come lui). L'egoista persegue dunque sempre un benessere a breve termine, se non è imbrigliato e guidato dall'alto con obblighi e divieti: causa il suo difetto percettivo, che lo rende incapace di perseguire il bene generale e lo predestina a compiere dei danni se lasciato libero. Il legislatore nobile, deve essere anche saggio e sapere che per dissuadere il volgo da comportamenti ingiusti (lesivi della sfera ideale) può solamente porre ad essi dei motivi dissuasori inerenti alle medesime due sfere cui sia suscettibile: ingiungere quindi ad un reato una pena fisica o narcisistica. Il narcisista può servire la GIUSTIZIA (la sfera ideale) solo per vanità, ed indirettamente dunque: eppure con il gingillo della reputazione e della gloria egli dovrà essere solleticato, se lo vogliamo assoldato alla causa del bene. Il materialista, del pari, dovrà essere adescato con premi in natura e in denaro, ed invano si cercherebbe di attivarlo con lusinghe o addirittura con visioni idealistiche. L'importante è che il BENE venga raggiunto, non i motivi personali. E in una società strutturata correttamente (meritocratica) le tre sfere di interessi non vedono conflitti, ed ognuno riesce ad essere felice, poiché la felicità è garantita da questa struttura, al cui apice resti ben salda la sfera ideale, garante del progresso e del non regresso, che si innescherebbe invece non appena essa venisse tagliata fuori e ignorata: questo avviene laddove i narcisisti e i materialisti salgono al Potere.


 

 

        2. La meritocrazia

 

Sostengono che la meritocrazia esista anche sotto il Capitalismo: che i migliori riescono comunque ad emergere. Ciò è vero in parte: se si escludono innanzitutto i migliori dei migliori, i veri fuoriclasse, orbene i dissidenti che mettono in discussione i dogmi del capitalismo stesso [entro i quali soltanto è possibile emergere], quelli di una società costituzionalmente imperfetta. Costoro arrivano addirittura ad essere emarginati ed equiparati ai buoni a nulla o ai nullafacenti - quando il loro astenersi o fallire, invece, è una legittima obiezione di coscienza, il rifiuto di partecipare ad un gioco di livello inferiore alla loro anima. Infatti, esiste un livello di virtù che non può non trovarsi stretta entro la cornice delle regole e dei valori in base ai quali dovrebbe dare il meglio di sé, sicché le sue forze si rivolgono in prima istanza contro la Cornice. Inoltre, anche le persone semplicemente talentuose, sotto tale sistema arrivano, sì, ad emergere, ma a qual prezzo!

 

Il sistema organicista è come un motore progettato con intelligenza tale da aver eliminato tutti gli attriti e le circonvoluzioni superflue: sicché ottiene un rendimento molto maggiore. E questo è, in fondo, lo scopo dell'economia.

 

Nella scienza politica sono da tentare ancora molti esperimenti. Le ideologie del passato, prese integralmente, sono di certo incompatibili; ma cogliendone dei frammenti e unendoli accortamente assieme, si possono ottenere degli ibridi che reggono. Questi non devono essere necessariamente dei miscugli - inerenti ancora alla sfera fisica, di sostanze che possono essere separate con semplici metodi fisici e dunque a rischio di facile disgregazione se sottoposti a sollecitazioni - bensì proprio delle fusioni chimiche, producendo composti che siano contemporaneamente stabili, leggeri, elastici, resistenti a trazione, pressione, torsione, penetrazione, alle basse e alle alte temperature, e siano inattaccabili da agenti chimici.

 

Il nazismo – molto coeso ed efficiente all'interno – si è pur rivelato vulnerabile agli attacchi esterni, e sottoposto alla tenaglia pluto-bolscevica ha dovuto cedere. La croce uncinata era forse fatta, dunque, di acciaio ossidabile. Il nazionalsocialismo è intimamente venato di romanticismo; e le vene romantiche sono, alla prova dei fatti, fonti di fragilità più che non di forza. Il romanticismo è cosa da adolescenti... mentre l'amore maturo è più concreto, astuto, consapevole, ed attento alla reale compatibilità dei tratti caratteriali e contingenti. Il giovane si crede invincibile, si sente caro agli dèi perché animato da un sentimento puro e s'illude che il suo amore sia da questi protetto: quando essi hanno forse già sentenziato a priori il suo fallimento; sicché invano egli si sforza di contrastare il destino. A posteriori, lungamente deluso, facendo il computo delle energie spese, di lacrime e sangue, confrontati con i risultati oggettivamente ottenuti, egli si rammarica d'aver tolto spazio al freddo calcolo per ascoltare il suo cuore. Il romanticismo, come ci mostrano la letteratura e il teatro, rende le storie più belle, ma è anche quello che fa morire gli eroi, fallire i progetti e le ambizioni, soffrire i protagonisti. Il nazismo è stato stroncato che era ancora adolescente (aveva a dir bene solo 12 anni) e la caduta di Berlino è stata appunto tragica.

 

Il movimento organicista vuole togliere dal suo statuto tutti gli errori riconducibili alla giovinezza, ossia all'ingenuità e all'inesperienza. Per questo io mi devo premurare di avere una vita longeva, viste le responsabilità che, da filosofo, mi assumo, delle quali il giovane non si rende mai pienamente conto; e sarò lieto di poter dare ai miei scritti la revisione della maturità e possibilmente quella della vecchiaia.

 

La morale è argomento da considerare con la massima perizia e cautela: concezioni che paiono nobili e ragionevoli si rivelano essere, a una più attenta analisi, delle stupide remore, dei sottili inganni, dei bigottismi arcaici o rinovelli, buoni solo a perdere le guerre, far sanguinare il cuore e arrovellare il cervello. Sul tema morale io emetterò il più tardi possibile la mia definitiva parola. 

 

Un’ideologia è un insieme di proposizioni interiormente coerente. Questo implica che, confrontate sul piano del reale, le proposizioni che compongono un’ideologia o sono tutte vere oppure sono tutte false.

Se in questa sede troviamo del vero e del falso, significa che quell’ideologia era incoerente. Ma un’ideologia coerente sia internamente che esternamente, ossia Vera, deve essere anche unica: ve ne piò essere solo una. Che ovviamente deve ancora essere trovata. Infatti, se una di quelle presenti o passate fosse stata perfetta (ossia vera e coerente) i problemi sarebbero stati risolti e quell’ideologia si sarebbe dimostrata invincibile anche sul piano materiale.

 

 

È esistito un fascismo ante litteram? Un fascismo prima di Mussolini? Come Avatar certamente no, ma come Archetipo il Fascismo è sempre esistito, così come il suo antagonista, il Capitalismo. Gli avatar, ossia le storiche incarnazioni dell’archetipo, compaiono una sola volta; mentre gli archetipi si stagliano propriamente – come idee eterne – dietro il palcoscenico della storia, come presupposti degli avvenimenti in cui essa consiste. Ogni civiltà, fin dall’antichità, è stata contemporaneamente fascista e capitalista. Perché, come l’elemento archetipico capitalista, insito nella natura umana, inteso come egoismo, che si manifesta nella tendenza all’accumulo a scapito del prossimo, dunque nella prassi dello sfruttamento, è sempre esistito, così il suo antagonista, il Fascismo, coincidente con il concetto di Civiltà intesa come corpo organico avente un centro direttivo chiamato Stato, una forza centripeta che si esprime nella tendenza a sacrificare parte del proprio interesse per il bene della comunità (altruismo), e parte dell’interesse presente all’interesse futuro (lungimiranza), è anch’esso sempre esistito e rappresenta il solo mezzo che garantisce la stabilità e la durevolezza dell’interesse privato, nonché il progresso e quindi l’aumento di tale interesse. Il concetto di investimento – di crescita graduale – è or dunque fascista e non originariamente capitalista. Il Fascismo è allora un capitalismo avveduto e sano, costruttivo, mentre il capitalismo in sé è cieco, insano e distruttivo, destinato a crollare. Anche il comunismo, inteso come anelito o rivendicazione egualitaria animata dall’invidia del prossimo, è sempre esistito. Inteso invece come regime, come si inserisce in quella dicotomia? Da nessuna parte, se non quella dell’inganno. La dottrina marxista, presentatasi sul campo come lotta di classe con finalità anti-classista epperò sistema statalizzato (Civiltà) rappresenta un ossimoro e dunque un non-ente, un’impossibilità empirica, perché nega la gerarchia ossia un ordine meritocratico per lasciare una sola classe, quella infima, a ricoprire ogni ruolo (cosa impossibile), e dunque debba contaminarsi con altre idee per poter sussistere (e così è stato). La finta soluzione marxista fu usata per conquistare e privatizzare quella metà del mondo non ancora privatizzata con la democrazia. Anche il capitalismo puro (ovvero anarco-capitalismo) non può sussistere, perché nega il principio orizzontale (socialismo) della Civiltà, altrettanto necessario al suo funzionamento quanto il principio verticale (meritocrazia), alché deve cedere spazio all’istituzione dello Stato e dunque al Fascismo, che diviene qui sinonimo di Regolatore di un gioco originariamente senza regole. Gli archetipi sono e restano solo due: Caos e Ordine. Ed il benessere generale aumenta nella misura in cui ci si avvicina all’ordine. Chi afferma di possedere maggior benessere sotto il Capitalismo, intendendo con ciò un avvicinamento all’Anarchia, una dissoluzione delle regole e quindi dei principi solidaristici e meritocratici, è quindi un egoista che è riuscito ad accaparrarsi temporaneamente una ricchezza ed una sicurezza che appaiono sufficienti e durature, ma a scapito di altri, sicché non saranno mai tali. Il Materialismo che caratterizza altresì questa filosofia e prassi di vita è invero sinonimo di Individualismo, perché appunto venera lo status quo cercando di trarne il massimo possibile per sé, senza preoccuparsi di criticarlo positivamente e farlo evolvere (il che sarebbe idealismo). Se gli idealisti lottano ugualmente per il progresso e ne escono in qualche modo vincitori, ancorché martiri, ebbene: di tale progresso gioveranno i materialisti di domani, che è lecito a questo punto chiamare parassiti della storia e anche traditori dei benefattori. Qualora invece i creatori di futuro fossero stati consapevolmente finanziati dai protagonisti del presente, ebbene l’affare sarebbe bilateralmente conveniente e quindi giusto.

 

Chiedersi se tornerà il Fascismo è ingenuo. La risposta è negativa per il semplice fatto che la storia va solo avanti. Ogni figura storica è comparsa una sola volta e nel preciso momento e nel preciso paese dove ciò non poteva che accadere. Vi è stata una sola Antichità, con i suoi imperi. Così un solo Medioevo, un solo Rinascimento, una sola Età dei Lumi, una sola Belle Epoque e questo vale per l’epoca dei Totalitarismi, nonché per questo periodo democratico (e per tutte le sue fasi) che un giorno finirà… Per lasciare il posto a cosa, non lo sappiamo, non è affatto esclusa una nuova virata autoritaria, giacché quando il caos eccede ed entra in crisi nera la rivoluzione è un nuovo Ordine: ma sarà appunto nuovo, nel pensiero e nell’azione, non sarà niente che abbiamo già visto. È come chiedersi se può tornare il rock anni Settanta…era bello, per i cultori del genere, ma lo abbiamo già sentito, e ha già avuto il suo influsso. Va bene riascoltarlo, studiarlo, ma sapendo che è un pezzo vintage, non attecchirebbe sugli orecchi moderni come musica nuova, e non avrebbe successo…

Questa riflessione sgrava la mente e il cuore degli antifascisti come dei fascisti: gli uni non devono sbattersi a riesumare un cadavere, a rivitalizzare un fossile, e gli altri ad impedire che ciò avvenga…

Quando i cambiamenti sono maturi, avvengono senza eccessivi sforzi, come gli amori, e allora possiamo dire che “il fato è dalla loro parte”, come altrove segnerà la loro fine…

Chi auspica un cambiamento, dovrà continuare a prepararlo, a lottare, ma sapendo di non poter forzare i tempi, che stanno già decadendo verso il punto di rottura, gli stanno venendo incontro… e invano i conservatori si sforzeranno di salvare una barca destinata a collassare…

 

 

 

  1. L'amore e la virtù

 

 

Cosa pensare di questo frammento...

 

 

Agli uomini dei quali mi importa qualcosa io auguro sofferenze, abbandono, malattie, maltrattamenti, disprezzo - io desidero che non restino loro sconosciuti il profondo disprezzo di sé, il martirio della diffidenza di sé, la miseria del vinto: non ho compassione di loro, perché auguro loro la sola cosa che oggi possa dimostrare se un uomo abbia o non abbia valore - gli auguro di resistere...

 

                                                                                                       Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi

 

 

Siamo dinanzi all'ideale eroico, figlio legittimo di quell'epoca. Reazione al pessimismo precedente e ad altre correnti. Tuttavia, vi è in esso un'ampia sopravvalutazione del detto VULNERE VIRESCIT VIRTUS, e una corrispondente sottovalutazione del ruolo dell'amore e del conseguente benessere nel far fiorire e fruttificare la Virtù. Le asperità della vita fanno soccombere il debole e costringono l'uomo virtuoso a tirare fuori tutto quello che ha, al fine di sopravvivere e portare avanti le sue cause. Tuttavia, in nessun modo questo può aumentare il quantitativo naturale della virtù di un uomo, e pone ad essa solamente dei gravosi ostacoli che di fatto sperperano parte delle sue energie, oltre a logorarne la salute: e nessuno può sostenere che questo favorisca il raggiungimento degli obiettivi, senza i quali, beninteso, nessuno abbisognerebbe di essere virtuoso. La sofferenza fa crescere solo nella testa, ed anche questo perché molte delle pulsioni naturali vengono qui trasferite producendo i dedali della riflessione, specchio della complessità del reale entro cui il virtuoso è chiamato a muoversi ed è spesso impossibilitato ad agire direttamente. Ma se questa realtà fosse un poco meno complessa e ostile, orbene se l'elemento esterno fosse più conciliante l'elemento interno, che chiamiamo virtù, se fosse quindi anch'esso virtuoso, ebbene, tale crescita interiore sarebbe superflua e l'uomo potrebbe esplicare la sua virtù, aumentando il benessere generale, ovvero il suo e quello degli altri, con molta meno sofferenza ed infine, in una corrispondenza perfetta, senza sofferenza alcuna.

Il cuore umano necessita, per stare bene, di esperienze OPPOSTE a quelle elencate da Nietzsche: in sostanza necessita di essere curato ed amato per essere più efficiente. Sostenere che la sofferenza fortifichi è invero assurdo, dacché una pianta giammai innaffiata e posta lontano dal sole potrà - per quanto forte - solo appassire e seccare, ed appoggiarsi, per crescere, a strati di rancore sclerotizzato. Il forte è più forte se viene amato, e la sua magnanimità naturale fa sì che egli ripaghi a chi gli giova con una dose decuplicata di giovamento. Il virtuoso è consapevole di ciò e lo rimpiange, nei momenti più duri della sua esistenza, poiché sa di meritare di più e di poter dare di più qualora gli fosse dato quel che merita.

Le esperienze fatte da Nietzsche, quali egli ha elencate, sono dovute al fatto che egli era un uomo di transizione, come immodestamente mi sento io, che quelle esperienze ho ampiamente conosciute.

Chi possedeva la sua mentalità e ha vissuto la breve parentesi dei fascismi ha trovato di fatto sotto di sé un terreno migliore ed è stato più felice. Prima dello sfacelo finale, ovviamente. Io sostengo che la virtù non meriti di soffrire più a lungo e non debba dimostrare più niente. Che nella prossima epoca debba semplicemente dominare fiera e serena: è questa la principale innovazione, a cui ho lavorato per l'avvenire. Ci sono state epoche in cui i deboli hanno subito i soprusi dei forti e dei ricchi. Altre, democratiche, in cui i forti hanno subito i soprusi dei deboli, accorpati tra loro e alleati nientemeno che ai nuovi ricchi, i signori della finanza. La meritocrazia integrale annullerebbe la sofferenza del forte e trasformerebbe quella del debole in mera subalternità e obbedienza.  Ricordo il detto "La montagna kantiana ha partorito un topolino cristiano". Ora mi sento di aggiungere che "La montagna nicciana ha partorito un eroe solo, pazzo ed infelice"... poiché tale solo può essere la vita di un'umanità che seguisse alla lettera quell'ideale, di già mutuato dai fascismi e fuso con quello socialista, in un ibrido che gli ha consentito di stare in piedi, una volta strutturato in sistema politico, e di produrre efficienza e benessere superiori, ma anche di crollare nel confronto con le soverchianti forze pluto-democratiche che hanno potuto far leva su un quantitativo assai maggiore di persone improntate al pensiero debole. Io credo di aver inserito nel mio ideale il quantitativo di elementi disparati che possano soddisfare lo spirito umano in tutta la sua declinazione di tipi umani.

 

 

Che dire altresì, di queste parole...

 

«Lei viene.

...

Poiché Ella è in cammino andrò incontro alla sua falce con il mio destino. Voi che dite? Non serve? Lo so: bella scoperta! Perché battersi solo quando certi della vittoria? Più bello quando inutile, tra scoppi di scintille»

 

Questa mentalità è tipica della gioventù, energica di corpo e spirito.

Nella carenza e nella debolezza, la «giusta causa» o «necessità» ci richiama nostro malgrado alla battaglia, ed essa non è cosa godibile – come tutto ciò di cui non si è pienamente all'altezza: ma propriamente un sacrificio. Nella sovrabbondanza, la necessità è quella di esprimere la propria potenza (pensiamo ai gattini o ai lupacchiotti che si azzuffano di continuo senza un motivo particolare) e la «giusta causa» ed eventualmente l'ingiusta, non diviene che un pretesto per mostrare il proprio valore e per scaricare i propri impulsi aggressivi, e non qualcosa che abbia valore in sé stessa.

Di conseguenza, i giovani non correttamente guidati, formati e inquadrati, viventi in epoche oscure e dissolute, sprecano il fiore delle loro energie in battaglie futili o controproducenti... E quando arriva l'età della saggezza, e tu sapresti dove indirizzare le tue frecce, ecco che le forze non ci sono più.

Questo mostra come il giovane, più ancora del vecchio, abbia bisogno dello Stato, in veste di educatore, che lo indirizzi, consentendogli di far confluire le sue capacità in qualcosa di costruttivo, si tratti di battaglie, lavoro, arte, e che i suoi "contributi" siano effettivamente pietre che egli porta all'edificio della patria, quale corpo vivente rivolto alla crescita e ad un miglior avvenire, e non un espediente per avere una pensione in grado di tenerci in vita quando vitali non siamo più, e purtroppo non lo è nemmeno la Nazione, rovinata dal materialismo, né i nuovi giovani o le nuove "leve", che non possono essere in grado, così malridotti e noi che non gli abbiamo insegnato nulla, di sollevare il macigno del Male...

 

 

 

4.     Idealismo e materialismo.

 

 

Non vi è ordinamento legislativo che elimini l'arbitrio dell'azione penale, della definizione di crimine, della pena stessa...

 

Ho pensato che l'arte, come accumulo di bellezza in un singolo oggetto, racchiuso egoisticamente in una cornice o posto su un piedistallo, sia una forma di capitalismo. Così il pubblico si raccoglie e "ammira", ossia spera che dell'opera cadano gocce di bellezza sulle loro fronti ignude, come dalle tasche di un milionario qualche scellino.

 

Ogni vero piacere è materiale, ma va conquistato... Il materialismo lo vuole già pronto e non può innovare per mancanza di coraggio, spirito di sacrificio e lungimiranza. L'idealismo accetta di doverlo conquistare tramite il perfezionamento della materia...

 

Idealismo = tensione all'ordine assoluto

 

Materialismo = stasi senza perfezione = accettazione dello status quo = predestinazione al regresso, perché chi consuma senza innovare, presto non potrà nemmeno più consumare perché le risorse finiscono, e non basterà più sostituirle, occorrerà un sistema di produzione nuovo.

 

Il Capitalismo e il Comunismo sono sistemi riduzionisti: il primo toglie la classe nobile e impone la dittatura del mercante, il secondo mozza anche quest'ultimo e impone la dittatura del proletariato. Ma se togli a una organizzazione sociale un elemento qualsiasi, la destini al crollo, come togliere una specie da un ecosistema. Tutto quello che, in un sistema ridotto, tuttavia sta in piedi, ancorché a livello micrologico, è perché conserva la struttura completa, ossia fascista, dell'essere.

Le aziende che funzionano meglio sono nazionalsocialiste, i pezzi d'arte migliori e durevoli sono aristocratici.

 

Il Cristianesimo raccoglie i deboli, il Comunismo raccoglie gli invidiosi, il Capitalismo raccoglie gli egoisti, l’Anarchismo raccoglie gli irresponsabili… tutte le ideologie inferiori fanno leva su un vizio umano, e chi possiede tale vizio lo vuole al potere, sicché sia assolutizzato e quindi assolto… Poi dagli altri e dallo Stato stesso chiedono e si aspettano probità e virtù… perché sanno che sono necessarie al funzionamento e al benessere, ma non vogliono fornirle in prima persona.

Le ideologie ibride sono sostenute invece da chi possiede vari tra questi difetti.

Vedi Pd: Liberal-Comunismo; Cattocomunismo: debolezza + invidia; Liberi ed Eguali: anarco-comunismo-liberale… Il Nazionalsocialismo fa leva su una serie di virtù che possiedono in pochi… Non a caso ha avuto successo in un solo paese, e su qualche gruppo all’estero, ed è durato solo 12 anni.

 

Nella preistoria, il coraggio e la destrezza in combattimento erano valori primari in quanto necessari a sopravvivere, portando a casa la carne per sé e per la famiglia: logico allora che una donna scegliesse un uomo con tali caratteristiche, e la comunità stessa di cui faceva parte onorasse tale uomo, attribuisse lui il comando e gli riconoscesse il diritto alla donna più ambita in quanto bella e prosperosa. Quando la civiltà si evolve, vincendo dapprima la battaglia contro il bisogno, contro la fame, e poi quella di difendersi da popoli e gruppi avversari, ecco che la necessità di fare la guerra decade e con essa il valore del guerriero, i valori militari. Non si fa mai di virtù necessità, ma di necessità virtù. Cambiano sempre i valori, quando cambiano le necessità, ossia le condizioni di esistenza. La competizione, come palestra selettiva di guerrieri reali, era presente anche ai primordi della civiltà, perché i migliori – così selezionati – dovevano essere spediti nelle prime linee contro un nemico esterno comune. Nelle società opulente, si ripropone invece come intrattenimento per gente ricca e oziosa, che ha scordato la lotta per la sopravvivenza ma non l'istinto battagliero, il quale verrebbe piagato dalla noia se non si riappagasse in tale modo: tramite l'immedesimazione nelle gesta di combattenti professionisti, che possono a loro volta combattere sul serio, come i gladiatori nell'arena, o essere dei commedianti. La società moderna ha addirittura bandito ogni forma di violenza che non sia istituzionale, sicché il coraggio e la destrezza non sono assolutamente più dei valori fondanti, ed è molto più utile possedere soldi e un buon avvocato, in quanto i conflitti ed il potere coercitivo sono convertiti sul piano economico e di macchinose procedure burocratiche.

 

Onorare qualcuno significa riconoscergli una virtù e consegnargli i diritti corrispondenti. Sui pugnali delle SS era scritto Il mio onore si chiama fedeltà. Un'espressione pleonastica sebbene efficace psicologicamente: dacché l'onore è sempre attribuito a virtù che hanno alla base il legame a una comunità che garantisce la sopravvivenza dell'uomo che ne fa parte, e che dalle prestazioni di quest'ultimo analogamente dipende. Qualora tale legame però si riveli ormai fittizio, solo nominale e non reale, la fedeltà viene istintivamente meno e senza disonore: poiché non vi è più interdipendenza tra la realizzazione del singolo e quella del gruppo. Questo risulta evidente nelle defezioni di coloro che smettono di seguire un capo che viene sconfitto con demerito, o in coloro che, elevati al di sopra del livello di un popolo o dei suoi governanti, ne sdegnano i comportamenti e si rifiutano a un certo punto di servirlo - e vogliono cambiare bandiera. Il loro è un tradimento legittimo in quanto naturale, funzionale alla realizzazione dell'uomo, come il divorzio tra persone che non si amano più. Non essendo funzionale al benessere di nessuna comunità la conservazione di un legame tra persone che non si amano, diviene irrazionale lo stigma che colpisse tali persone. Società intelligenti e pertanto molto evolute deridono le morali di popoli retrogradi, in quanto costoro considerano necessarie e dunque doverose ed onorevoli azioni che invero non lo sono, oppure lo restano soltanto in un contesto retrogrado, e analogamente tali popoli condannano e stigmatizzano determinate azioni o caratteristiche che non nuocciono assolutamente al corpo sociale: agendo quindi contro se stessi.

Lo stigma (qualsivoglia punizione) è volto far comportare ragionevolmente persone che non lo fanno con naturalezza: oppure (quando il moralizzatore è più stupido del moralizzando) ad impedire – tramite l'ingiunzione di un dolore – ad una persona razionale di agire di conseguenza.

Un mondo tecnologicamente avanzato ha di fatto debellato la necessità della lunga resistenza alla fatica, sicché questa non può essere più un valore fondante, ed anzi, scade dinanzi al valore dell'intelligenza e della cultura tecnologica, il saper usare gli strumenti. L'obsoleto è sempre sbagliato in quanto inutilizzabile: non necessario.

La morale non scompare mai, sia che si voglia chiamare religiosa o laica, filosofica o scientifica (anche queste istanze hanno valori differenti in differenti contesti, sono sottoposte alla metamorfosi dei valori)... semplicemente muta di epoca in epoca, di circostanza in circostanza.

L'idealismo – contrapposto al materialismo – non è assolutamente un disconoscere il valore e il supporto necessario della concretezza: ma è un riconoscere la necessità di un suo perfezionamento, dunque una necessità evolutiva. Ciò che cessa di evolversi, inizia a regredire nei confronti di altri popoli che invece si sono evoluti, che prima o poi muoveranno guerra verso i secondi, per necessità espansive e di sfruttamento delle risorse inutilizzate da questi: essi saranno destinati a scomparire, o ad essere ridotti in schiavitù, per ferree leggi naturali. Il materialismo è dunque l'incapacità di riconoscere le necessità evolutive della materia, intesa anche come corpo sociale, come civiltà, e ha come conseguenza l'abbandono ad abitudini consolidate, il disprezzo di tutto ciò che ne esula, per la falsa convinzione che solo tali abitudini siano funzionali alla conservazione.

 

I materialisti sono persone di razza volgare, ossia superficiali che non possono essere illuminati e convertiti a una sensibilità maggiore per profondità: dovrebbero pertanto essere abbandonati al loro venerato status quo, far parte di un altro popolo che gli idealisti (ossia persone di sensibilità più profonda) dovranno sconfiggere materialmente, dopo averli sconfitti idealmente, ossia con un distacco e la creazione autonoma di una civiltà più evoluta.

 

 

 

 

 

               5. La storia, la musica, la vita.

 

 

Quando leggiamo un libro di storia, rimaniamo spesso delusi dal non trovare le risposte alle nostre vere domande, che restano sottese alla nostra lettura, attendendo appagamento, o dello stile non appassionante, la forma non bella, non agile ed essenziale con cui ci vengono presentate. L'autore dovrebbe innazitutto sapere e sempre dichiarare a chi è rivolto il libro, poiché ogni lettore ha delle precise curiosità che vuol veder colmate piacevolmente; mentre spesso, il primo si dilunga su ciò che a lui interessa maggiormente, spegnendo l'interesse del secondo. Nell'editoria bisognerebbe, come nel mondo dell'arte culinaria, istituire delle regole di presentazione delle opere: affinché il lettore, come l'avventore, possa sapere con certezza quello che ordina, evitando delusioni. Nei ristoranti, i piatti dovrebbero essere presentati visivamente, e giovare di una breve legenda degli ingredienti principali: il nome del piatto in sé potrebbe infatti ingannare, essendo spesso molto suadente, proprio come accade con i titoli dei libri e con le copertine. Altresì, osserviamo nella musica presentarsi generalmente due schiere: musicisti molto creativi ma con evidenti limiti tecnici, ed altri tecnicissimi, ma tremendamente noiosi – con tutta la gamma dei gradi intermedi, ma rarissimo è trovare un musicista completo, ossia contemporaneamente molto tecnico e creativo; così nella storiografia, osserviamo analoga dicotomia: storici che sono un pozzo di nozioni, ma te le elencano passivamente come fossero la lista della spesa, la tesi resta impalpabile e i giudizi fiacchi, ed altri che sono invece ottimi narratori e sentenziatori, ma sostanzialmente sanno meno cose, presentano lacune nozionistiche che riempiono romanzando il racconto e usando la fantasia. Il rigoroso sforzo documentativo è infatti più leggero per i non-creativi, quelli che dovrebbero invero essere presi come operai della cultura, alle dipendenze degli scrittori creativi: laddove invece questi ultimi non hanno pazienza, perché la loro mente fervida ha già lanciato, sulla base delle poche nozioni realmente possedute, un'ipotesi originale, che abbisogna però del confronto coi dati storici per diventare una Tesi. Io stesso appartengo a questa categoria, nel settore filosofico: mi mancano invero molte nozioni, e laddove mi appiglio all'esistente, non lo trovo quasi mai soddisfacente, sicché subito cerco di ovviare alla mancanza con la creatività sul campo; ma anche laddove inventare non è precisamente lecito (perché la storia è storia e la scienza è scienza), sono un tessitore concettuale talmente abile da riuscire a tappare artisticamente i buchi della maglia in modo che essa risulti ugualmente calzante, ossia verosimile. L'arte mescola infatti la fantasia con la realtà: sicché i realisti integrali usualmente bacchettano gli artisti, che invece agli idealisti piacciono lo stesso. Vi è peraltro una questione annosa: se la nostra opera sia un mezzo per conquistarci una vita, o se la nostra vita venga ad essere un mezzo per realizzare un'opera. La seconda realtà, il porre le opere come scopi e non come mezzi, genera i capolavori duraturi, che raccolgono la gloria dei secoli, se non altro perché sono costati il sacrificio di una vita. Sebbene lo scopo reale e recondito sia sempre quello di potenziare le proprie possibilità di vita. Vi sono vite che non necessitano, per esser bene vissute, di poggiarsi sul fondamento di una grande opera, la quale sia poi divenuta una rivoluzione: mentre ci sono vite che necessitano esattamente di questo.

 

 

 

6. Liberismo e Qualità

 

 

Spesso lamentiamo la scarsa qualità di un prodotto, ad esempio la mancanza di una pratica modalità di apertura-chiusura in un pacchetto di salviette, della forma non ottimale di una bottiglia di olio, di un flacone di detersivo, o qualche difetto nella veste grafica, per non parlare del contenuto effettivo del prodotto. Ora, la perfezione viene dall'ideazione e dal lavoro: e un prodotto molto migliore costa di più perchè è costato di più in termini di produzione, in quanto vi ha lavorato una persona più talentuosa e determinata, che ha focalizzato il suo sforzo su quel prodotto, è stato sul pezzo, perché lo amava maggiormente. Ma chi si affiderebbe, per un bisogno qualsiasi, ad una persona non talentuosa o non sufficientemente motivata, non amorevole verso il suo lavoro? Ebbene: moltissime persone, sotto il capitalismo, lavorano presuntuosamente o sotto costrizione, poiché non hanno né talento né amore per quello che fanno, e ciò viene ritenuto giusto non solo moralmente, in un sistema basato sullo sfruttamento dato dal paradigma individualista, ma anche più efficiente economicamente: e questo è veramente un paradosso tale da negare l'evidenza.

Le difficoltà, parrebbero sostenere costoro, sono un elemento naturale di scrematura dei capaci dagli incapaci, dei motivati dai demotivati, dunque dei meritevoli dagli immeritevoli. E qui ritorniamo all'ideale eroico che seleziona i migliori attraverso la guerra. Il problema è che ci sono guerre necessarie, tra fazioni incompatibili e inconvertibili; e ci sono guerre stupide, laddove sarebbe più proficuo accordarsi e collaborare. Al di là che la guerra seleziona i migliori solamente se è equa: se tutti giocano ad armi pari, mentre gli eroi sono spesso i primi che ci lasciano le penne, sobbarcandosi, per fedeltà alla bandiera e lealtà, le prove più dure e pericolose, anche se fossero stati, al contrario di altri, peggio addestrati e si trovassero in peggiori condizioni di salute. Ma in ambito economico, la competizione, ossia una guerra parziale che riguarda l'accesso alle risorse, è qualcosa di assolutamente folle. Essa è il vero motivo per cui tutto è imperfetto (perchè a tutto viene sottratto qualcosa), il vero motivo per cui i progetti più ambiziosi non vengono addirittura minimamente finanziati e con essi i migliori propositi finiscono nel nulla, ed ogni produzione è più faticosa e rischiosa di quanto potrebbe essere, e dunque logora il produttore nello stesso momento in cui peggiora il prodotto; allorché, chi vuole veramente la perfezione del suo prodotto, deve ad un certo punto scegliere tra sé stesso e la sua opera, e martirizzare il primo sull'altare della seconda, oppure la seconda sull'altare del primo: perchè nessuno capisce l'importanza collettiva e dunque generale di tale opera, né ha rispetto per tale uomo. Se l'opera riesce, avendo avuto un costo (qui anche in termini di sofferenza) più alto del necessario, ecco che l'autore pretende che venga pagata un prezzo analogamente alto: sicché l'acquirente, per potersela permettere, deve aver compiuto, altrove, uno sforzo consimile producendo qualcosa di uguale valore, in un contesto ostile. Nessuna opera necessiterebbe invero di un lunghissimo tempo di realizzazione, se tutti vi collaborassero, ognuno nel debito ruolo; ed anzi il tempo e la fatica variano in funzione della quantità di fattori che si oppongono, rifiutando il loro appoggio. Quando, l'unica rinuncia che il sistema dovrebbe fare per essere perfetto in ogni sua parte sarebbe il rifiutare di convogliare risorse nella produzione di cose scadenti e al perseguimento di cause bieche, dunque di conferire diritti ai mediocri e agli egoisti. Se si favorisce la Quantità (sempre superflua oltre un certo limite) non può che risentirne la Qualità; e se si favorisce il Singolo, non può che risentirne l'Insieme. Il principio individualista è quindi duplicemente pernicioso, in quanto 1) non ha rispetto per la Qualità (e lo dimostra lasciando spazio e risorse alla mediocrità) e 2) non rispetta l'Uomo in generale, ossia il produttore (e lo dimostra sacrificandolo sull'altare di una produzione a sua volta imperfetta). Questo, sebbene quel principio assuma vesti filantropiche, ascrivendo a ciascun individuo il diritto alla "ricerca" della felicità, come distaccandosi pionieristicamente da una visione Sociale vista come qualcosa di pernicioso, e come se tale felicità potesse essere raggiunta dal singolo indipendentemente da quella del corpo sociale: questa illusione sta alla base di ogni problema. Il liberismo (lungi dal garantire una vera Libertà dei cittadini) impone a dei soggetti di fatto interdipendenti di agire come se fossero indipendenti. Sicchè ognuno dal loco suo danneggia il prossimo, credendo di non esserne a sua volta danneggiato: cosa che inderogabilmente avviene, anche secondo un principio cosmico orientale chiamato Karma, e che dunque unisce Oriente ad Occidente. 

 

Il sistema organicista, formalmente illiberale, garantirebbe infine una libertà più autentica, sana e completa.

 

7. L’intelligenza e la virtù

 

 

Dal punto di vista intellettuale, le persone si dividono, grossolanamente, in tre gruppi: quelli che le cose le capiscono da sé, quelli che le capiscono se gliele spieghi, e quelli che non le capiscono neppure se gliele spieghi. Così moralmente, c’è chi si comporta bene perché detiene un istinto nobile, chi invece abbisogna che la virtù gli venga indicata ed illustrata – ed in tal caso la coglie e agisce di conseguenza; e c’è chi ha bisogno di essere spronato da vicino e continuamente, addirittura minacciato di gravi punizioni, per stare in riga. Ora bisogna osservare una cosa importante: l’insegnamento della virtù ai mediocri costa comunque delle risorse che i nobili devono fornire, e ancor più costosa è la gestione delle persone pessime, quelle che non possono essere educate ma solo costrette a rigare diritto da un apparato poliziesco-giudiziario-carcerario. Dobbiamo chiederci quanto sia lecito chiedere questo sforzo alle persone nobili, il farsi carico della gentaglia… quando, potessero i nobili vivere in una comunità separata, non servirebbero nemmeno leggi, in quanto espressione verbale di istinti nobili comunque e già presenti, i quali renderebbero vano anche il grosso dell’Insegnamento, dacché basta la gradualità con cui si inseriscano nel sistema le nuove reclute. La soluzione ideale sarebbe eliminare le mele marce dal mondo; quella intermedia, il creare tre nazioni indipendenti, corrispondenti ai livelli intellettuali e morali delle umane genti; quella gravosa eppure forse l’unica realizzabile, è l’accettare uno stato in cui convivono persone di tutti i livelli, imponendo però ad esso la struttura meritocratica, senza cui va tutto a catafascio. La virtù di fatto che in questo modo viene a crearsi, è qualcosa di artefatto, bada bene, un ordine disciplinato che verrebbe meno non appena togliessimo le briglie della struttura sociale e della tradizione (quando il gatto non c’è i topi ballano), ma è purtroppo il massimo cui possiamo ambire senza essere chiamati utopisti. 

 

 

8. La libertà di pensiero

 

Gli esseri umani sono solitamente strenui difensori della libertà teorica nella stessa misura in cui sono invece, nella pratica, pedissequi esecutori di qualsiasi autorità costituita e vigente, pronti ad adattarvisi supinamente e a difenderla da chi la attacca, quale fonte della loro sicurezza. Analogamente, pensano come è stato loro insegnato, e non osano pensare diversamente. Anzi, manifestano insofferenza, biasimo e ostilità verso qualsivoglia pensiero fuori dalle righe. Pertanto, sembrerebbe superfluo (ed anzi controproducente) argomentare a favore di un pensiero in qualche modo liberticida, e opportuno invece proclamare a gran voce il contrario: fiduciosi nel fatto che, una volta preso il potere, potremo imporre qualsiasi regola, fino alla più assurda e abietta, ricevendo pronta obbedienza dalle masse.

Questo hanno fatto, del resto, le lobby che hanno pilotato le più significative rivoluzioni della storia: adescare i popoli con parole come Libertà, Uguaglianza, Fratellanza, dietro cui si celava la propria brama di dominio, puntualmente realizzato in seguito, e creando un mondo analogamente non libero, non egualitario, ed assai poco fraterno. Del resto, un potere malintenzionato non può che ricorrere alla menzogna ed all’inganno, per ottenere e mantenere la complicità del popolo; mentre ad una persona bene intenzionata conviene la più cristallina trasparenza, e l’argomentazione puntigliosa a sostegno delle proprie tesi, accogliendo ogni sorta di obiezione onesta e pertinente: dacché la verità gioca a suo favore.

Controllare il pensiero della gente è possibile nella misura in cui si controllano la sua vita materiale e le sue fonti informative. Resterà sempre un residuo di pensiero non controllabile; e tuttavia è sufficiente all’autorità politica il controllare e limitare, se si tratta di un pensiero negativo, le sue espressioni perniciose.

Intelligenza e cultura sono entità distribuite in maniera impari tra le genti e sono entrambe necessarie, in un determinato quantitativo per ciascun ruolo e per fare ciascuna affermazione, a garantire il benessere di una comunità, evitando errori.

Il pensiero non è qualcosa di innocente, perché non è qualcosa di innocuo. Solo la verità produce giustizia.  E solo la giustizia produce verità. Dobbiamo innescare il circolo virtuoso, evitando di cadere nel suo opposto.

Sancire il diritto all’opinione significa avallare miliardi di menzogne, innalzare il vessillo dell’oscurantismo e del caos, dare il nulla osta all’innesco di processi degenerativi e dannosi in ogni angolo del mondo, spargere sangue e malattia, sprecare oceani di soldi, discutere all’infinito con chiunque senza trovare soluzioni applicabili in tempo utile, e quand’anche si avesse una soluzione accolta da una fazione maggioritaria, quella minoritaria in ogni forma avrebbe il diritto di ostacolarne l’applicazione. Significa altresì permettere ad individui spregevoli di vessare, torturare, spegnere, plagiare, violentare, oltraggiare, deprimere, scoraggiare, guastare, frenare impunemente spiriti innocenti e virtuosi. Ecco quanto è innocua un’opinione sbagliata.

Ma visto che pianificare un sistema che sia talmente perfetto da non lasciare spazio alla nascita ed alla affermazione sanguinaria di alcuna menzogna appare un’impresa impossibile, ognuno diventa un paraculo e cerca di affrancarsi dalle personali conseguenze di determinate menzogne, o di punire in via eccezionale ed eventualmente tacita, chi lo abbia oltraggiato o danneggiato. Questo è l’egoismo vigliacco e antisociale degli pseudo idealisti. Sono dei criminali. Non solo fanno il proprio interesse, ma si dipingono anche come i fautori della giustizia e i depositari dei retti principi i quali, oltre ad essere falsi e posti come veri, essi tradiscono quotidianamente senza nemmeno rispondere del loro operato, mascherandolo e fregandosene di estenderli sul serio all’intero manto sociale…

Il pensiero offende in sé stesso, ed offende doppiamente con le sue conseguenze pratiche: non lede nessuno solo quando è vero, sicché è innocente solo in questo caso. Chi non pensa la verità, non ha il diritto di pensare! Tantomeno di parlare, decidere, agire di conseguenza. Ma inserire una rete di sanzioni psicologiche direttamente agli atti intellettuali illeciti (come da sempre fa la morale – incutendo vergogna) è un espediente molto utile per la prevenzione dell’ingiustizia. Ora, affermo con orgoglio di essere un liberticida: poiché la libertà stessa, come la si intende di solito, non è che un crimine, una parola che nasconde la brama di commettere ingiustizie - e pensare menzogne - impunemente.

Un’opinione è come un ordigno pronto a scoppiare. Vi è mai passato per la testa che avere un’opinione sia un atto di presunzione ed altresì l’assunzione di una precisa responsabilità? Ma il mondo democratico ha deresponsabilizzato le opinioni, sputato sulla dignità della conoscenza ed in tale modo ha scavato la fossa all’umanità.

C’è chi un’opinione se la guadagna attraversando selve oscure, inferi, purgatori, guidato da un’istintiva fede e armato di onestà, coraggio, disposizione a sopportar l’ingiusto per arrivare al giusto, ed essa giunge lui come un ormai inaspettato raggio di luce benedetta. Poi c’è chi vivacchia, sghignazza, arraffa, inganna, inquina, violenta, si adegua, svicola, offusca, insabbia, travisa, risparmia, protegge, deturpa, tarpa, banalizza, anestetizza, vagheggia, vaneggia, scoreggia. Ma il principio democratico afferma che le due categorie vanno messe sullo stesso piano ed anzi, se i secondi sono più dei primi (lo sono sempre) hanno ragione loro. Questa è la democrazia.   

La storia delle nazioni democratiche non è che una interminata sequenza di soprusi, prepotenze ed angherie attuate dai mediocri sulle persone intelligenti. Già questo rende la Democrazia un regime criminale; ma siccome indirettamente l’umanità intera risente delle ripercussioni di tali ingiustizie, si può   affermare che ognuna di esse sia un crimine contro l’umanità.

Ci sono assolutamente solo due modi che l’umanità possiede per evitare il male: che tutti conoscano la verità oppure che tutti coloro che non la possiedono siano ridotti all’impotenza. Non ce n’è un terzo. Se non perverremo a una di queste soluzioni, i problemi saranno sempre ed eternamente gli stessi, e voi potete parlare e agire a vanvera finché vi pare.

Quella che è stata annoverata tra le Libertà Fondamentali, ossia la libertà di esprimere il proprio pensiero e divulgarlo, addirittura farne scuola, è sì fondamentale: per scavare la fossa ad un paese!

 

COROLLARI

 

1)     Che qualcuno comandi è inevitabile: facciamo in modo che costui sia il migliore.

2)     Che qualche opinione si affermi è inevitabile: facciamo che sia quella vera.

3)     La sociologia è semplice: se non impartisci ordini, li prendi.

4)     L’unica alternativa alla prepotenza della verità è la prepotenza delle menzogne.

5)     L’unica alternativa alla violenza del giusto, è la violenza degli ingiusti.

 

Occorre in prima istanza scoraggiare le persone limitate dal far uso del proprio intelletto sopra questioni di più alto rango: tematiche che essi devono, invero, completamente ignorare, fiduciosi nel fatto che gli addetti ai lavori se ne stanno occupando anche per loro. Questa è una massima anti-illuminista, diametralmente opposta al famoso “sapere aude!”, un invito che si addice ragionevolmente solo a persone di intelligenza distinta che vivano – al pari del popolo - in posizione subalterna ad un governo bieco ed illegittimo, oppressore e autore di soprusi. Ma il popolo deve invece affidarsi totalmente ai suoi intellettuali: sia che abbiano già preso il potere, sia che ancora lo debbano prendere.

 

Sebbene gli stolti siano narcisisticamente lusingati dalla democrazia, che ascrive loro il diritto di occuparsi di Politica e di Cultura, invero accetteranno con gratitudine un sistema che li sgravi totalmente di quest’onere (non ascrivendo loro questo onore). Tanto più che i danni astronomici perpetrati dalla gestione indegna di politica e cultura, impediscono poi ai migliori di occuparsene adeguatamente, emarginandoli, disprezzandoli, imponendo orbene a veri artisti e seri filosofi di non poter vivere di ciò che sanno fare: e mandandoli a bottega, mortificano turpemente le loro vite e il loro potenziale.

 

Il mondo ha bisogno di pochi cervelli e molte braccia: è da sempre così e così sarà per sempre.  

 

Indici un giorno di anarchia e troverai la popolazione nel panico. Libertà significa infatti autonomia intellettuale e coraggio nell'assumersi responsabilità: qualità possedute da pochi. Dona la libertà a chi non le possiede e lo vedrai innanzitutto guardarsi intorno per sincerarsi di cosa stiano facendo gli altri: il gruppo più numeroso (dunque all'apparenza affidabile) oppure una persona forte che possa fungere da guida. Il metodo migliore per stroncare, ed in tal modo vanificare, le pretese intellettuali dei mediocri, è quello di metterle di fronte alla solitudine e alla responsabilità del giudizio: qui crollano tutte le loro certezze. In Democrazia le decisioni non sono mai personali, ma sempre collegiali o collettive, e la responsabilità è distribuita e diluita fino ad essere di fatto dissolta e non più percepita come tale, nonché concretamente impunita. Il popolo non si rende conto che solo a queste condizioni, ossia sotto l'egida protettiva di un gruppo fattivamente irresponsabile, è disposto ad assumersi quella Sovranità, attribuitagli come diritto inalienabile dalle carte costituzionali.

Qualora poi gli venisse fatto presente che il vero potere non spetta a lui, e nemmeno ai suoi rappresentanti eletti, ma a soggetti terzi altolocati ed indicati genericamente e vagamente con epiteti come "Poteri Forti", egli non farebbe una piega, non leverebbe una sola parola di protesta: il loro spirito gregario esprimerebbe invece la tacita sentenza "laddove c'è forza, io mi ci assoggetto" e proseguirebbe il cammino, narcisisticamente illuso di governare ma invero inconsciamente rassicurato del non doverlo mai fare. Le rivoluzioni democratiche sono infatti volute e pianificate da tali gruppi di potere, dagli intenti sovversivi, giammai direttamente dal popolo, che viene solo utilizzato per instaurare una nuova autorità di fatto, sia essa dichiarata od occulta.

 

Perché in democrazia pigliare per il culo i politici è consentito?

1)     Perché se lo meritano e lo sanno

2)     Perché i veri potenti non ne vengono toccati

3)     Perché alla gente piace ridere e scambia spesso la satira con la soluzione del problema

 

Una volta agguantato il potere, sarebbe assai giusto e gustoso il punire tutti i subumani, coloro che hanno peccato contro la civiltà per stupidità e paraculismo, servendo il Male. Tuttavia, promuoverei in tal caso una AMNISTIA GENERALE dei suddetti crimini: non già perché essi meritino il perdono, ma perché punire ciascuno secondo la propria colpa sarebbe più complicato che asservire queste anime miserabili al nuovo sistema. Questo sia dunque il patto: l’amnistia in cambio dell’ubbidienza. Le persone senza cervello, che non hanno orbene pensieri ma solo bisogni, servono indifferentemente il Bene o il Male, a seconda che sia il primo oppure il secondo a garantirne la soddisfazione. Stanno, in sostanza, col più forte: col Potere. Il sistema pone le condizioni alle quali poter vivere una buona vita: conseguire titoli di studio, lavorare, arricchirsi, scopare, ricoprire cariche, essere sereni, e bene accetti nella vita sociale. La piena accettazione delle regole garantisce l’inserimento. Questo è valido per tutti i sistemi, e nemmeno il nostro farà eccezione: perché non può. Non faremo che sostituire, ad una guida criminale e folle, una guida saggia.

 

 

9. Un crimine contro l’umanità

 

Persino la Costituzione Italiana, della cui sacrità non sono mai stato un difensore, allude al principio (art. 4) che il Lavoro non è un diritto-dovere semplicemente generico, ma anche specifico: devi scegliere un’attività che possa concorrere al progresso materiale o culturale della società. Questo, bambini miei, ha delle implicazioni… (sebbene la legge italiana non le contempli). La prima è che nessuno possa costringerti a fare un lavoro che 1) non corrisponde alla tua scelta – dettata da principi di affinità e idoneità; 2) non concorra al progresso materiale o culturale della società. Chi facesse questo, utilizzando il ricatto economico o altre forme di pressioni coercitive, commetterebbe innanzitutto un REATO DI ESTORSIONE, ossia l’estorsione di prestazioni indebite. Proprio come una ragazza che fosse costretta a prostituirsi per poter campare o perché è stata minacciata. La logica è la stessa: e trattasi di una ingiustizia. Analogamente, in base al secondo principio: se riusciamo a dimostrare che un lavoro non concorre al progresso materiale o culturale del paese (o addirittura concorre ad un regresso) dovremmo ottenere la pubblica e ufficiale MESSA AL BANDO di quell’attività, e punire chiunque costringa dei cittadini a prendervi parte.

 

Sentiamo la superficialità con cui si usa calunniare i giovani che “non hanno più voglia di lavorare”, come se non fossero sempre esistiti i perdigiorno, gli scalda-sedie, i furbetti, e per contro non fossero sempre esistiti ed esistano ancora i grandi lavoratori, le persone impegnate ed ambiziose. In ogni caso, anche se quel giudizio fosse fondato, la questione andrebbe ebbene indagata nella sua eziologia. Posso dire che l’elemento primario di demotivazione al lavoro, nei giovani come nei meno giovani, resta l’oggettivo disinteresse per la mansione, l’estraneità al settore, il non esserci tagliati, il non desiderare misurarsi in quel ruolo e non voler essere in esso riconosciuti, o come altro ci vogliamo esprimere in merito: e questo rifiuto dell’Alienazione è un sacrosanto diritto, non il vezzo di persone viziate, tra l’altro denunciato come tale da persone che non ne soffrono nella medesima misura, e fanno dunque i froci col culo degli altri, con tutto il rispetto per chi lo fa con il proprio. Chiunque abbia contribuito a creare condizioni di lavoro alienanti andrebbe perseguito, processato e punito. Perché questo distrugge la civiltà assieme al cittadino e rappresenta quindi un crimine contro l’umanità. Mettere le persone fuori ruolo è la più grossa cazzata che si possa fare, e viene compiuta con la più stupefacente leggerezza! Anche lavorare con modalità inadeguate (insalubri o usuranti), anche in termini di orari e turni, per stupidità organizzativa, trascuratezza, o perché si servono scopi sbagliati (una bieca iper-produttività o l’arricchimento eccessivo e indebito di determinate persone), sono crimini che vanno denunciati e messi in luce, e sono il secondo motivo che rende la gente restia ad accettare un lavoro o facile ad abbandonarlo. Forse soltanto il terzo motivo riguarda la scarsa remunerazione, analogamente criminosa. Vi è inoltre, sovrapposta a questi elementi, una demotivazione generale dovuta all’epoca in cui viviamo, priva di speranza nel futuro, che pervade tutti i settori della società come un’atmosfera malefica e per la quale, anche essendo correttamente posizionati, adeguatamente amministrati e giustamente pagati, tutti abbiamo la sensazione di tirare solo a campare e non a creare un futuro, per noi e per i nostri figli. Anche questo fenomeno ha dei responsabili, colpevoli di atti criminosi, che vanno prima o poi identificati, disarmati, puniti, e si possa proseguire a problema risolto.

 

Non è dunque il Lavoro a misura d’Uomo, ma l’uomo che deve adattarsi a standard produttivi assurdi, ingranaggio di un sistema che stronca la felicità per produrre l’inutilità. Nemmeno ha il tempo, l’operaio, come ormai la maggior parte delle categorie sociali, che possono esservi assimilate, di chiedersi dove vada, e se sia realmente necessario produrre tutto questo pane, tutta questa frutta, tutta questa plastica… Ma anche sapendolo (che la maggior parte della merce viene sprecata) egli non avrebbe voce in capitolo, pur essendo l’energia che alimenta la macchina infernale, ed è sottoposto al Ricatto Economico: lavorare per sopravvivere, che in un mondo nel quale tali standard produttivi sono assurti a divinità diviene anche Ricatto Morale… Se ti rifiuti di assoggettarti a questi falsi Dei perdi la tua Dignità, personale e sociale… Ma cosa c’è di dignitoso nel perseguire una follia a scapito della vita umana? Addirittura si afferma che il lavoro (un tale lavoro) NOBILITI l’uomo, quindi gli conferisca una dignità spiccata, quando lo straccia fisicamente e moralmente…In onore di una causa di ordine superiore? No, di qualcosa che fa lentamente declinare la società tutta, per il bieco arricchimento di pochi sulle spalle di molti. Perché non andiamo oltre, dicendo che il lavoro GLORIFICA l’uomo, introducendo quel Martirio che sarebbe glorioso, appunto, solo se compiuto o subito durante l’espletamento di una missione che ci deve condurre Oltre nel nostro destino: più in alto, non più in basso. No… non è il lavoro che nobilita l’uomo, ma l’uomo che nobilita il lavoro, con la sua saggezza, con la meta che pone ai suoi sforzi, con l’intelligenza e la perizia con la quale la persegue. Questo nuovo Umanesimo che rinnega il Dio Mercato e si sottrae ai suoi dettami, ai suoi dogmi, alla sua falsa autorità, è oggi la via della liberazione.